Omelia (08-06-2008) |
mons. Antonio Riboldi |
Seguimi Leggendo il Vangelo, ossia come Gesù ha interpretato la missione avuta dal Padre, per salvarci e per fare della sua vita un modello per tutti quanti Lo vorranno seguire, ci riempie di stupore come Egli si immerga nella folla, preferendo coloro che hanno più bisogno della sua opera di salvezza - potrei dire che la Sua Chiesa era la strada, dove si incontra l'uomo con tutte le sue problematiche - e con scelte, che ancora oggi ci interpellano, 'chiama chi vuole a seguirLo da vicino, ossia a essere suo discepolo'. È Gesù stesso che spiega il suo stile di missione tra la gente. Racconta Matteo: "Gesù, passando, vide un uomo seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: Seguimi. Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori? Gesù li udì e disse: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori" (Mt 9,9-13). Ogni parola, di questo breve brano di vita di Gesù tra di noi, è davvero una miniera di insegnamenti, come si fosse spezzato il velo della nostra ignoranza su Dio, e si svelasse il meraviglioso scenario che è aperto a tutti, incondizionatamente. Sono parole che ci fanno un grande bene; da una parte per il modo con cui Dio chiama ciascuno di noi: 'Seguimi', dall'altra per la sua ricerca di chi ha più bisogno della Sua Misericordia, come poi più diffusamente spiegherà nella stupenda parabola del figlio prodigo o della pecorella smarrita. Sono parole divine, che hanno il sapore della rugiada, su questo nostro tempo, che sa di deserto e implora acqua. Sapete che ho una particolare passione per i commenti che Paolo VI faceva dei Vangeli. Certamente perché è il Papa che mi ha voluto vescovo, ma anche per l'incredibile attualità del suo pensiero, unita all'arte del comunicare con chiarezza e profondità, senza nulla togliere alle stupende lezioni di vita, che ci vengono da altri Pontefici, come Giovanni Paolo II e il nostro carissimo Papa, Benedetto XVI. Tutti sono stati, e sono, i grandi maestri di vita che, nei loro viaggi apostolici nel mondo, hanno fatto proprio lo stile di Gesù: andare tra la gente e portare la Lieta Novella. Così Paolo VI, in una omelia, interpretava il brano di Vangelo, che oggi la liturgia ci propone. "Potremmo figurarci per comodità culturale, questo quadro così: lo scenario è la storia, questa nostra storia, questo nostro tempo, nel quale stiamo cercando i 'segni dei tempi'; uno scenario diseguale, pieno di luci e di tenebre, devastato da raffiche d'uragano, che sembrano irresistibili, e da qualche brezza di primavera, di soffi dello Spirito, 'che soffia dove vuole'. Su questo scenario tre personaggi: uno, che tutto lo occupa, la moltitudine incalcolabile degli uomini di oggi, crescenti, salienti, coscienti, come non lo erano mai stati, carichi di strumenti formidabili che danno loro potenza, che sa di prodigio, angelico o diabolico, salutare o micidiale, e che li rende dominatori della terra e del cielo e spesso schiavi di se stessi: sono giganti e barcollano deboli e ciechi, agitati e furiosi in cerca di quiete e di ordine, sapienti su ogni cosa e scettici su tutto, e sul proprio destino, sfrenati nella carne e folli nello spirito. Un carattere pare per tutti comune: sono infelici, manca loro qualcosa di essenziale. Chi li può avvicinare? Chi istruire sulle cose necessarie per la vita, quando tante ne conoscono di superflue? Chi li può interpretare e può sciogliere i dubbi che li tormentano? Chi svelare la propria vocazione che hanno implicita nel loro cuore? Sono l'umanità. Essa occupa tutta la scena, essa vi passa lentamente e tumultuosamente; è lei che fa la storia. Ma ecco un altro personaggio. Piccolo come una formica, debole. Egli cerca di farsi largo in mezzo alla marea della gente, tenta di dire una parola; si fa ostinato; cerca di farsi ascoltare e assume aspetto di maestro, di profeta; assicura di non proferire parole sue, ma una parola arcana e infallibile; una parola dai mille echi, che risuona nei mille linguaggi degli uomini. Ma ciò che più colpisce, dal confronto che si è prodotto con questa presenza, è la sproporzione. Ma il piccolo uomo è l'apostolo, il messaggero del Vangelo, è il testimone; in questo caso, sì, il Papa, che osa misurarsi con gli uomini. Il piccolo uomo, quando riesce ad ottenere un po' di silenzio e qualche ascoltatore, parla con tono di certezza tutto suo; dice cose inconcepibili, misteri di un mondo invisibile, e più vicino il mondo divino, il mondo cristiano. Alcuni ridono, altri gli dicono - come a S. Paolo nell'aeropago di Atene: "Ti ascolteremo un'altra volta". Però qualcuno lo ha ascoltato e sempre ascolta e ci si accorge che in quella flebile e sicura parola si distinguono due accenti singolari e dolcissimi i quali risuonano meravigliosamente nel fondo del loro spirito: l'accento di verità e l'accento di amore. Si accorgono che la parola non è che strumentalmente di colui che la pronuncia: è una Parola a sé, una Parola di un Altro. Dov'era e dov'è questo Altro? Non poteva e non può essere che un Essere vivo, una Persona essenzialmente Parola, il Verbo fatto uomo, il Verbo di Dio. Dov'era e dov'è il Verbo di Dio fatto carne? Perché ormai era ed è chiaro che Egli era ed è presente! E questo è il terzo personaggio della scena del mondo: il Personaggio che la sovrasta e la occupa tutta là dove gli è fatta accoglienza, per una via distinta, la via della fede. o Gesù, sei Tu? Tu la Verità? Tu l'Amore? Sei qui? Sei con noi? In questo mondo così evoluto e confuso? Così corrotto e crudele, quando vuole essere contento di sé, e così innocente, quando si fa evangelicamente bambino? Questo mondo così intelligente, ma così profano e spesso volutamente cieco e sordo ai tuoi segni? Questo mondo che Tu hai amato, Tu, fonde della vita, fino alla morte: Tu, che ti sei cioè rivelato in amore? Tu salvezza, Tu gioia, del genere umano? Tu sei qui, dove la Chiesa, tuo sacramento di salvezza e tuo strumento, ti annuncia e ti porta? È davvero questa la scena perenne che nei secoli si svolge" (25 novembre 1970). Davvero, leggendo queste parole appassionate di Paolo VI, sembra di 'vedere' Gesù, oggi, tra noi peccatori, in nostra compagnia, a cercare di recuperarci. Un Gesù vicino, ancor più vicino se noi siamo nella schiera dei 'pubblicani e peccatori', che lo avevano invitato a mensa. Dio, davvero, non ha paura delle nostre debolezze, ma cerca in tutti i modi di 'liberarci', per farci entrare nel Suo mondo. A volte la gente si scandalizza quando noi, sacerdoti o laici cristiani, ci facciamo vicini a chi sbaglia, a chi ha perso il senso della vita ed esperimenta il buio profondo del peccato o del fallimento, ma è proprio questo il luogo dove si fa strada il Suo grande Amore Misericordioso. Ricordo negli anni del dopo terrorismo, chiamato da tanti 'dissociati', forse per risentire il sapore dell'amore del Padre, fui aspramente criticato da tanti, che si dicevano cristiani; un poco come accadde a Gesù quel giorno, raccontato dal Vangelo. E ricordo quanto mi fece male sentirmi investito da un gruppo di cosiddetti fratelli nella fede che, letteralmente, espressero la loro condanna con parole dure: 'Non si vergogna, come vescovo, di fare quello che fa? Chi sbaglia deve pagare, altro che andarli a visitare!'. Ma ebbi anche la gioia di vedere come tanti si fecero avanti, per accostarsi ai fratelli che - Dio solo sa perché - sbagliano, comprendendo che questa è grande carità, che aiuta a far ritrovare speranza e voglia di bontà. Risuonano come 'pianto del Padre', le parole del profeta Osèa, che oggi la Chiesa ci offre: "Affrettiamoci a conoscere il Signore, la sua venuta è sicura come l'aurora. Verrà a noi come la pioggia in autunno, come la pioggia di primavera che feconda la terra. Che dovrò fare per te, Efraim? Che dovrò fare per te, Giuda? Il vostro amore è come una nube del mattino, come la rugiada che all'alba svanisce. Per questo li ho colpiti per mezzo dei profeti; li ho uccisi con le parole della mia bocca. E il mio giudizio sorge come la luce, poiché io voglio l'amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti" (Os 6,3-6). Sembra quasi impossibile che Dio possa desiderare il nostro amore, come se fosse Lui ad averne bisogno e non noi! Ma Lui è Padre e, come tale, non può accettare che noi Gli siamo indifferenti e lontani. Vuole farei conoscere il Suo abbraccio. Non resta che la nostra risposta e torna spontanea la preghiera di un 'cosiddetto' ateo russo, Zinoi: "Ti supplico, mio Dio, cerca di esistere, almeno per un poco, per me. Apri i Tuoi occhi su di me, ti supplico. Non avrai altro da fare che questo: seguire ciò che succede in me e intorno a me. Può sembrare ben poca cosa ai Tuoi occhi, o Signore! Sforzati di vedere e vedermi, te ne prego! Vivere senza testimoni, quale inferno! Per questo, forzando la mia voce, io grido, io urlo: Padre mio, ti supplico e piango: esisti...fatti vicino...che veda il Tuo amore!". |