Omelia (06-07-2008)
mons. Antonio Riboldi
I piccoli che Dio ama

Ci sono brani del Vangelo che si staccano nettamente dal nostro comune modo di pensare e agire; brani che sembrano uno spaccato di cielo, che si apre alla mente degli uomini, per mostrarci come Gesù riserva ai 'piccoli' la Sua tenerezza e quella particolare dolcezza che difficilmente si sperimenta tra noi uomini.
Si ha tanta nostalgia di quel 'essere piccoli, come bambini', ma poi si cede alla superbia che vuole che appariamo 'grandi', della potenza del mondo, che può solo fare e farci del male.
Nulla è più bello del sorriso di un adulto, semplice e umile, che riflette il vero volto dei figli di Dio.
Così come nulla ci fa paura come lo sguardo di uno che si sente 'grande' ed è cieco di fronte alla bellezza dell'umiltà.
Commuove sentire Gesù che afferma:
"Ti benedico, Padre, Signore del Cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio e nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare". (Mt. Il,25-27)
Ed è certamente in queste parole di Gesù, che cogliamo il segreto delle persone 'sante', scoprendo, se si ha la grazia di incontrarle, che hanno l'animo 'dei piccoli', ossia tanto umili da lasciare il cuore sgombro da ogni desiderio di grandezza o di potere, che sanno solo ospitare la superbia.
Come dimenticare la grande umiltà di tanti che ho conosciuto?
Ne cito uno che, forse, pochi di voi hanno avuto modo di conoscere: don Clemente Rebora, grande poeta del '900. Dopo la conversione e diventato Rosminiano, cancellò la grandezza umana e si fece piccolo, tanto da non parlare mai del suo passato e io, giovane novizio, che vivevo nella stessa comunità, lo pensavo uomo di poca cultura, ma ero conquistato dalla sua dolcezza, come un libro totalmente aperto al Padre. Quando finalmente venni a conoscenza di quanto fosse stimato come poeta, tanto, davvero compresi le parole di Gesù, oggi.
Ricordo anche le parole del beato Ferrini, un grande intellettuale, cui piaceva molto passeggiare nella solitudine della montagna e fermarsi a parlare con la gente semplice.
Un giorno ebbe a dire: 'C'è più conoscenza di Dio in queste meravigliose vecchiette, che forse non sanno scrivere e leggere, che in tanti teologi che studiano'.
Così, Paolo VI, descriveva l'umiltà di Maria SS.ma:
"Noi parliamo del mondo come fossimo padroni della nostra vita, e non responsabili del suo impiego. Parliamo del mondo come fosse nostro, e non avesse altri rapporti interessanti che quelli che noi creiamo con la nostra conoscenza. Ci chiudiamo nella nostra esperienza specifica, personale, professionale. Il senso che abbiamo di noi stessi ci appaga, anche se è privo del senso dei rapporti con Dio.
Siamo egoisti e perciò orgogliosi e presuntuosi. Se avessimo il senso delle proporzioni vere e totali, dell'essere, avremmo maggiore entusiasmo di ciò che siamo realmente, ma saremmo insieme meravigliati di tutto dovere al Datore di ogni bene...come Maria.
Maria ha il senso dell'essere creato, che tanto più è debitore della Causa prima, Dio, quanto più ne ha ricevuto di grandezza. Un maestro caro a S. Teresa ci dona la formula esatta: 'Quanto più è grande la creatura, tanto più ha bisogno di Dio'. L'umiltà perciò non è negazione dell'uomo: è l'attribuzione alla sua unica fonte. Non è depressiva, e tanto meno ipocrita, è fiduciosa e sincera. L'umiltà vera riconosce che tutto è dono prezioso del Sommo Amore. Sotto questo aspetto, l'umiltà è la saggezza fondamentale da cui dipende la stessa religione; è la condizione previa a tutte le virtù.
'Dio ha guardato all'umiltà della sua serva, canta Maria, d'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata'. (dall'omelia del 5 agosto 1957)
Quanto risuonano dolci allora le parole di Gesù, oggi: "Ti benedico, Padre, Signore del Cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli".
Chi di noi non vorrebbe avere in sé anche solo un angolo dell'umiltà di Maria, quel divenire 'piccoli' per fare posto alla grandezza delle bellezze di Dio?
Nello stesso Vangelo di oggi c'è, subito dopo, un 'gioiello del Cuore di Gesù', che offre tanta serenità.
Un 'gioiello' che nuovamente si stacca dal nostro comune modo di pensare. Siamo infatti abituati, tante volte, ad avere esperienze di 'spalle curve' per la croce che ci accompagna, senza distinzioni, nella vita.
Per alcuni forse può sembrare una maledizione, che non ci si riesce a levar di dosso, pur cercando le più svariate vie per eliminarla: la via degli stupefacenti, che con il tempo si rivelano l'onda alta della morte, la via larga del divertimento a tutti i costi, che ci lascia solo svuotati nel cuore non sono "la via crucis"!
Per altri, al contrario, la croce è il segno inconfondibile del prezzo che si versa per entrare nel clima dell'amore, che in quanto tale non può mai essere 'egoistico', ma, per sua natura divina, è dono di sé fino al sacrificio. Gesù per tutto il tempo che visse tra noi, traversando così le vie della storia, vedendo l'uomo suo contemporaneo oppresso dalla nostra stessa 'passione' - anche se questa cambia molte volte i nostri ruoli: carnefici o vittime - aveva sempre l'occhio e il cuore attento alle folle che Lo seguivano.
Esse vedevano in Lui l'ultima sponda della speranza e, quindi, della felicità.
Davanti a questa umanità in ricerca, tante volte ha espresso la Sua compassione profonda: una compassione mai superficiale sentimento, che lascia tutto come prima, ma totale condivisione! Anzi Gesù fa della passione dell'uomo la Sua stessa passione e morte, perché ognuno di noi, pur portando la necessaria croce, che è componente naturale di ogni vita che si affaccia su questa terra, faccia esperienza che sotto la sua croce, spalla a spalla, c'è Lui a portarla con noi.
E non si può nascondere lo stupore sul volto e il fiato sospeso dalla meraviglia, al solo pensare che le spalle di Dio sono tanto vicine alle nostre, anche e soprattutto quando si piegano per il grande dolore.
Ciò dà al dolore stesso il valore 'della dolcezza che ci viene dal Suo amore fatto compassione. Sorge il profondo desiderio di dire. 'GRAZIE!', non per la croce in sé, che fa sempre male, ma perché, portata insieme, ci fa conoscere dal vero quanto Dio si prenda cura di noi e ci voglia bene. Così la croce che grava sulle nostre spalle diventa un modo di dire "sì" a Chi ama senza limiti, sempre: Gesù.
Per questo assaporiamo le altre parole che Gesù ci dice:
'Venite a me, voi tutti che siete affaticati ed oppressi e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi, ed imparate da me che sono mite ed umile di cuore e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce, il mio carico leggero'. (Mt. Il,28-30)
Quanta forza e consolazione, quanto cielo, per chi crede, è dentro queste parole. Vi è un Dio che invita, con amore accorato e dolce, proprio come sa fare una madre, che non tiene mai conto della fatica di essere sempre pronta ad accogliere i figli, soprattutto quando sono sfiduciati e oppressi. Una tenerezza che vorrebbe cancellare stanchezza e delusioni, facendole proprie, donando in cambio la serenità del suo cuore; somigliano le braccia di una madre alle braccia di Dio, sempre aperte ed invitanti, pronte ad accogliere tutti - e ognuno - dei suoi figli.
"Venite a me, voi tutti che siete affaticati ed oppressi e io vi ristorerò".
Vorrebbero attirare l'immensità dei dolori di miliardi di uomini - anche dei nostri, se sappiamo affidarci a Lui - che in quelle braccia diventerebbero 'poca cosa'.
Troppo grande il Cuore di Dio!
Non ha più ragione allora piegarsi su se stessi, come fossimo orfani senza padre e senza speranza e conforto, quando sappiamo che c'è Chi, non solo apre le braccia, ma dolcemente ci guida per la giusta via: 'Imparate da Me, che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per le vostre anime' e ci rassicura: 'Il mio giogo infatti è soave e il mio carico leggero'. Non possiamo non fidarci!
Ma i sentimenti di Dio verso di noi, dovrebbero essere anche i nostri nei confronti dei fratelli. Affermava Paolo VI:
"Oggi la fratellanza si impone: l'amicizia è il principio di ogni moderna convivenza umana. Invece di vedere nel nostro fratello l'estraneo, il rivale, l'antipatico, l'avversario, dobbiamo abituarci a vedere il fratello, il figlio dello stesso Padre: un fratello che chiede di essere pari a noi, degno di rispetto, di stima, di amore, come a noi stessi. Ritorna a risuonare al nostro spirito la parola stupenda del santo dottore Agostino: 'Che i confini dell'amore si allarghino'. Bisogna- che cadano le barriere dell' egoismo; che l'affermazione dei propri legittimi interessi non sia mai offesa per gli altri".
Con Madre Teresa di Calcutta preghiamo:
"Signore, insegnami a non parlare come un bronzo risonante
o un cembalo squillante, ma con amore. Rendimi capace di comprendere
e dammi la fede che muove le montagne, ma con amore.
Insegnami quell' amore che è sempre paziente, sempre gentile;
mai geloso, presuntuoso, egoista o permaloso,
ma l'amore che prova gioia nella verità, sempre pronto a perdonare,
a credere, a sperare, a sopportare.
Infine, quando le cose finite si dissolveranno e tutto sarà chiaro,
che io possa essere stato il debole, ma costante riflesso del Tuo amore".