Omelia (20-07-2008)
don Daniele Muraro


"Seminare zizzania" è una frase fatta che significa: "provocare discordia e confusione tra parti in discussione".
Questo modo di dire viene dal Vangelo, ma non centra precisamente il significato della parabola raccontata da Gesù.
La zizzania, detta anche loglio, è una pianta della famiglia del frumento che produce grani nerastri dall'effetto tossico. Le due piante, frumento e loglio, si assomigliano molto e fino allo sviluppo delle spighe sullo stelo anche un occhio esperto fatica a distinguerle (entrambe possono crescere fino a sessanta centimetri). Perciò l'azione del nemico contro il padrone del campo è particolarmente raffinata e insidiosa.
Secondo la spiegazione di Gesù la zizzania sono "i figli del Maligno" e il nemico che l'ha seminata è "il diavolo". Esistono anche "i figli del Regno" che costituiscono il seme buono, cioè coloro che accogliendo la Parola di Gesù portano un frutto positivo per la crescita del Regno di Dio. Il Seminatore è appunto Gesù e contro di Lui è diretta l'azione del Maligno.
Seminando zizzania, cioè inquinando la sua opera buona nel campo di grano che è il mondo, il diavolo, satana intende fare un dispetto prima di tutto al padrone del campo, cioè a Dio stesso.
"Grande tu sei e compi meraviglie: tu solo sei Dio" dice il salmo responsoriale, ma satana che è spirito di contraddizione ribatte: eppure esiste il male che intossica l'opera della creazione.
La simultaneità di apparenza positiva e di contaminazione velenosa suscita non poco sconcerto nei servi del padrone, cioè in coloro che stanno dalla parte di Dio.
Essi sono coloro che si preoccupano non solo di essere buoni per se stessi, ma di coltivare il campo di Dio, trasmettendo anche ad altri la volontà di portare frutto.
Di fronte al male che lussureggia nel mondo la tentazione di fare pulizia è forte: una volta saputo che la zizzania non fa parte del progetto originale del padrone e che il suo ingresso nel mondo è stata opera di invidia e di cattiveria i servi si propongono di intervenire: "Vuoi che andiamo a raccoglierla?".
Sembrerebbe la decisione più saggia: "Perché un'erba infestante e tossica deve sfruttare inutilmente il terreno, e sottrarre risorse allo sviluppo del buon grano? Non sarebbe opportuno toglierla finché è giovane e ancora tenera?"
Alla soluzione immediata e di forza si oppone però la considerazione che così facendo si rischierebbe di danneggiare anche il buon grano. Come abbiamo detto prima le due piante non sono facilmente distinguibili fino al tempo della maturazione del seme e a quel momento il più delle volte il loglio ha già intersecato inestricabilmente le radici sue con quelle del frumento, sicché svellere lo stelo sterile comportebbe inevitabilmente di scalzare anche quello produttivo.
Secondo il parere del padrone del campo, cioè di Dio stesso, è meglio rimandare tutto al momento della mietitura, cioè alla fine del mondo, allora sarà possibile senza pericolo e con facilità distinguere il grano dal loglio e assegnare il primo ai granai eterni e del secondo invece fare mannelli da bruciare sul momento.
Dentro la piccola storia di un terreno coltivato, sulla premessa di una lite fra confinanti Gesù sembra far stare l'intera storia del mondo: la creazione buona, la corruzione del peccato, l'opera della redenzione e infine il giudizio finale con i due esiti opposti della beatitudine eterna o dell'eterna condanna.
Ad essere precisi sembra che qui manchi il momento centrale della redenzione: di fronte al proliferare del male nel mondo il padrone del campo, cioè Dio, si limita a suggerire il rimando e l'attesa.
Le altre due parabole raccontate di seguito da Gesù intervengono a chiarire proprio questo aspetto: il Regno di Dio sembra una piccola cosa, come un granellino di senape che è la più piccola di tutte le sementi, o come un pugno di lievito che si perde nella pasta, ma come in breve tempo la pianta della senape si sviluppa fino a superare tutti gli altri arbusti e come la massa della pasta cresce sotto l'azione misteriosa del lievito, così il Regno di Dio non tarderà a manifestare tutte le sue potenzialità positive.
Ci accorgiamo a questo punto che la parabola della zizzania riguarda più la storia della Chiesa che genericamente quella del mondo. La zizzania viene sparsa sul campo dopo la semina buona operata da Gesù, cioè dopo l'annuncio del Regno dei Cieli.
La stessa introduzione della parabola ci instrada verso questa interpretazione: "Il regno dei cieli, cioè la Chiesa, è simile a..."
Dunque Gesù quando chiede di avere pazienza si riferisce alle incongruenze e anche agli scandali che possono capitare all'interno della Chiesa. Non tocca a noi di giudicare, ci penserà Lui alla fine dei tempi a svelare i pensieri dei cuori e a dare a ciascuno la ricompensa delle sue azioni. Lui solo conosce le intenzioni delle menti e concede a ciascun credente un tempo di aspettativa in vista della conversione e per il perfezionamento della condotta di vita.
Sbaglieremmo se pensassimo che raccontando la parabola della zizzania nel campo Gesù intendesse giustificare la pretesa di tanta gente di essere lasciata in pace a vivere come gli pare. È che purtroppo il male è presente anche nella Chiesa che dovrebbe essere la comunità dei salvati e dei santi. A questa constatazione dolorosa Gesù oppone il pensiero che nella Chiesa il bene trionferà: alla fine dei tempi il bilancio della Chiesa nella storia sarà ampiamente positivo. Dal momento però che siamo tutti in cammino il compimento del Regno dei Cieli e che la méta resta lontana, fra di noi credenti dobbiamo avere comprensione e pazienza.
A Dio nulla sfugge, ma se per correggere il nostro possiamo usciamo dalla carità non solo il nostro intervento spesso fallisce, ma noi stessi rischiamo di escluderci dall'unica comunità dei salvati che è la Chiesa.
"Migliorate voi stessi!", sembra dire Gesù, "...e allora anche le carenze degli altri sembreranno meno importanti in proporzione del frutto di bene che viene accumulandosi".