Omelia (26-09-2010)
don Roberto Seregni
Il povero Lazzaro e l'innominato festaiolo

Per la terza domenica di fila, la liturgia ci porta a meditare su una parabola del racconto di Luca. Mi piace continuare a stupirmi della genialità, dell'imprevedibilità con cui Gesù riusciva a toccare il cuore e la mente dei suoi discepoli e dei suoi ascoltatori.
Nel mese di luglio ho avuto la fortuna di condividere una bellissima settimana con un gruppo di adolescenti e giovani della mia comunità. Ogni giornata è stata scandita da una parabola. Devo confessare che è stata un' esperienza molto importante per me, perché mi ha costretto a rimettermi in gioco, a ritrovare entusiasmo e soprattutto a stare davanti alla Parola con stupore.
A volte ho l'impressione che a noi preti, agli "addetti al lavoro", a chi si sente esperto, manchi proprio lo stupore. Ringrazio il Signore, perché ho avuto la fortuna di (ri)impararlo proprio dai miei ragazzi.
Bene, allora lasciamoci stupire da questa parabola!
I due protagonisti sono descritti abilmente da Luca: il ricco è senza nome, si veste come un vip del suo tempo e gozzoviglia tra un banchetto e un ricevimento; il povero, invece, ha un nome, si chiama Lazzaro - diminutivo di Eleazaro che significa "Dio aiuta" - e sta alla porta del ricco mangione cercando qualche avanzo per sfamarsi.
Vorrei sottolineare che il centro della parabola non sta nel ribaltamento della seconda scena, Gesù non vuole attirare la nostra attenzione sulla punizione che spetta all'innominato festaiolo.
Il ricco non è condannato per le sue ricchezze, ma per la sua totale indifferenza verso il povero Lazzaro. Questo è il centro della parabola.
Il ricco e il povero sono vicini, vicinissimi, ma l'uno nemmeno si accorge dell'altro. Questo, lo ripeto, è il centro. Il ricco non è né cattivo, né violento, né oppressore verso il povero Lazzaro. Semplicemente non lo vede. Terribilmente non si accorge di lui.
Questa indifferenza è l'abisso che separa l'uno dall'altro, valico incolmabile scavato dalla superficialità e dalla supponenza del ricco godereccio.
Quest'ultimo non fa nulla di male: non lo uccide, non lo picchia, non peggiora la sua situazione. Ma proprio su questo, la parabola vuole attirare la nostra attenzione: sul minimalismo che ci abita, sulla supponenza che ci gonfia fino a far sparire le persone che ci stanno vicine, sulla superficialità che ci svuota e ci rende terribilmente miopi, sulle ricchezze che appesantiscono e impediscono il cammino verso l'altro.

Quanto ci dedichiamo alle persone che incrociamo ogni giorno? Quanto tempo regaliamo per ascoltare, accogliere, riconoscere situazioni di bisogno o di necessità che ci circondano? Quanto siamo pronti a rinunciare alla frenesia e alla fretta che ci risucchiano in vortici di superficialità, per regalare del tempo ad un amico? Quanta energia investiamo nel colmare gli abissi che l'indifferenza scava tra cuore e cuore?

Animo, fratelli! Sbarazziamo della miopia e della fretta che ci tengono ostaggi, non permettiamo alle ricchezze di zavorrarci nelle nostre presunzioni e chiediamo a Dio un cuore che sappia amare con passione!
Un missionario mi disse: "Chi ama tanto, vede tanti poveri; chi ama poco vede pochi poveri; chi non ama, non vede nessuno."


Tra poche settimana uscirà per Ancora un mio piccolo libretto dal titolo "Vangeli in jeans", se digitate in YouTube il titolo potete vedere la presentazione.


Buona settimana
don Roberto
robertoseregni@libero.it