Omelia (07-12-2010) |
Monaci Benedettini Silvestrini |
La pecorella smarrita Il testo di Isaia si legge tutto d'un fiato. Tanto conquista l'animo con le sue invocazioni, riflessioni, promesse di salvezza gridata a squarciagola sui monti ma anche con il richiamo alla inconsistenza dell'uomo, paragonato all'erba del prato che a sera è già secca mentre la parola del Signore dura sempre. Ma l'immagine che conforta e rimane indelebile nel cuore viene offerta nell'ultimo versetto, quando egli presenta la bontà di Dio paragonandola al pastore "che porta gli agnellini sul petto e conduce pian piano le pecore madri". Qui c'è tutta la tenerezza di un Dio che si fa carne per amore dell'uomo, che cura con delicatezza e attenzione. La figura del buon pastore che ha fortemente impressionato i nostri fratelli anche nel tempo di persecuzione, tanto da raffigurarlo nelle catacombe, viene riproposta anche nella narrazione del vangelo odierno. Chi è questo buon pastore che lascia le novantanove sui monti per andare alla ricerca di quella smarrita? E' proprio Lui, il Cristo incarnato che viene in cerca dell'umanità tutta perché tutti vuole salvi ma in particolare per quanti sentono il peso della propria debolezza e si sentono ultimi. L'esempio di Gesù è seguito da anime grandi che sono rivestiti dei suoi stessi sentimenti: tra queste possiamo ammirare Sant'Ambrogio che la Chiesa milanese oggi ricorda con particole solennità essendo stato l'iniziatore del rito ambrosiano. Eletto vescovo di Milano per acclamazione, ancora catecumeno, dovette accettare, riconoscendo la volontà del Signore nell'acclamazione dei fedeli. Fu padre dei poveri, soccorritore di ogni oppresso, difensore della Chiesa da ogni potere politico, opponendosi al senato, all'imperatrice filoariana, all'imperatore Teodosio a cui impedì di entrare in chiesa prima di fare pubblica penitenza per il massacro di innocenti ordinato in Grecia per vendicare la morte di un alto ufficiale dell'Impero. |