Omelia (10-04-2011) |
mons. Gianfranco Poma |
Guarda come lo amava! Ci avviamo alla conclusione del cammino quaresimale che culminerà nel grande triduo pasquale con la celebrazione del mistero pasquale, della morte e della risurrezione di Gesù, centro della fede cristiana: la Liturgia rende presente "per noi" il mistero pasquale, perché con Cristo, viviamo l'Amore con cui il Padre ci ama nel nostro essere deboli, fragili, peccatori, fino alla morte, per introdurci nella vita senza fine. Nella quinta domenica di quaresima leggiamo, dal Vangelo di Giovanni (11,1-45), il racconto della risurrezione di Lazzaro. Dopo l'esperienza della fede della donna samaritana e dell'uomo cieco dalla nascita, la storia di Lazzaro mette la fede di fronte alla domanda più angosciante: perché la morte? Perché la drammaticità della morte per i figli che Dio proclama di amare? Come è possibile credere nell'amore di un Padre che non salva il proprio figlio dalla morte? Questo racconto della risurrezione di Lazzaro è stupendo nella ricchezza con cui descrive le reazioni dei diversi personaggi, è drammatico nel porre le domande più radicali che nascono nel cuore di ogni uomo che sa ascoltarsi, è coraggiosamente meraviglioso nello scendere nell'intimità misteriosa dell'umanità abitata dal Figlio di Dio: si tratta di una pagina costruita in modo raffinato, tanto che potrebbe essere trasferita immediatamente sulla scena, con i movimenti veloci che si succedono, le personalità perfettamente delineate, i discepoli e la gente che li accompagna con le diverse reazioni, il dramma che si svolge fino alla soluzione che rimane comunque avvolta in un velo di mistero. Del resto, dall'inizio Gesù ha proclamato: "Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato", e alla fine: "Padre, ti ringrazio...perché credano che tu mi hai mandato". Come nell'evento del cieco, tutto è finalizzato alla fede, all'incontro con il Figlio di Dio, alla gloria di Dio: per entrare nella gloria di Dio occorre passare attraverso l'oscurità della morte, con tutta l'angoscia che questo comporta. La "risurrezione" di Lazzaro ci porta al limite estremo entro il quale il Figlio di Dio entrato nella vita e nella storia dell'uomo, può parlare e comunicare all'uomo che muore l'amore del Padre: ma rimane sempre "al di qua", quindi nell'ombra di una luce che continua a rimanere "oltre". Tutto si svolge nel clima intenso dell'amore: "le sorelle, Maria e Marta, mandarono a dire a Gesù: Signore, ecco, colui al quale vuoi bene, soffre." E nota l'evangelista: "Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro". Ma immediatamente ci introduce in un'esperienza di amore che è fatto di attenzioni concrete, di affetto, di tenerezza, di commozione, di sofferenza e di pianto, e poi, di qualcosa di infinitamente più grande, che viene dall' "alto": l'Amore" è lasciar passare attraverso tutto ciò che è umano, l'intensità del dono del Padre. Le sorelle dicono: Signore, colui al quale "vuoi bene", soffre, ma Gesù "ama" Marta e Maria e Lazzaro. Alla notizia della sofferenza di Lazzaro, Gesù rimane fermo, apparentemente indifferente: forse allora non è vero che lo ama? E invece lo ama veramente, di un amore totale, che non ha paura di mettere in questione la sua stessa vita: da questo momento ciò che accade non fa' che mettere in evidenza l'amore di Gesù per Lazzaro, un Amore che i discepoli stessi ancora non capiscono perché è il riflesso della luce di cui risplende il Figlio di Dio. Comincia così il cammino della fede, di fronte al problema della sofferenza e della morte: se Gesù è il Figlio di Dio, perché non si muove per evitare la sofferenza di colui che egli ama? E' la domanda che non può non turbare nel profondo Gesù stesso: "Padre, se vuoi, passi da me questo calice!" Per questo, l'amore di Gesù per Lazzaro che soffre, deve illuminarsi alla luce misteriosa dell'Amore di Colui che rimane nel silenzio e che Gesù continua a chiamare "Padre": "Ma non la mia, ma la tua volontà si faccia". E Gesù ci rivela che l'Amore passa attraverso la volontà misteriosa del Padre. "Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto": insiste Marta nella sua fede ancora in cammino. E' certa che Gesù ama suo fratello, è certa che Gesù è il Messia, è certa che il Padre lo ascolta: la sua fede ancora circoscritta a questo ambito di vita le dà la certezza che la sua presenza avrebbe impedito la morte. Ma Lui non c'era. "Io sono la risurrezione e la vita": Gesù già parla di una vita "altra" che Marta ancora non comprende, ormai tutto è rimandato alla fine. L'ingresso sulla scena di Maria apre orizzonti nuovi e misteriosi: è lei che da questo momento diventa il personaggio principale (solo uno studio attento di ogni singola espressione ci fa cogliere l'intensità del significato della sua presenza). "C'è il Maestro e chiama te", le va a dire Marta, di nascosto. E' come se Gesù avesse bisogno di Maria, per condividere con lei l'esperienza di una vita che nasce soltanto da un ineffabile Amore. Quando sente di essere chiamata da lui, Maria "subito è risorta ed è andata da lui" che si trova ancora là, dove Marta gli era andata incontro, dove ha incominciato la sua esperienza di fede. Adesso è Gesù che chiama Maria, la fa risorgere e lei subito lo incontra: ciò che Marta cerca a Maria è donato. I Giudei che l'hanno vista "risorgere", pensavano che andasse a piangere alla tomba: ma lei andava da Gesù. L'evangelista ci ha già detto che Maria è colei che ha compiuto i gesti che esprimono tutto l'amore per colui che per lei ha dato la vita: la fede di Maria in Gesù è l'affidamento totale in lui. Maria crede l'Amore che Gesù le dona. Quando lo vide si gettò ai suoi piedi e disse: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto". Sono le stesse parole di Marta, ma in bocca a Maria hanno un significato diverso: per lei, l'essere con Gesù, gustare il suo Amore, è essere nella vita. Ma essere con Gesù come è possibile? Ed appare a questo punto il problema della morte. Nel momento nel quale Maria sente l'Amore di Cristo che la fa vivere, lo abbraccia, sente che pure le sfugge. "Se tu fossi stato qui...!": e Maria piange e con lei piangono anche gli altri. E Gesù "si turbò profondamente e si commosse...e scoppiò in pianto": siamo qui nel cuore del mistero di Dio, dell'uomo, di Cristo. "Guarda come lo amava!", "Ma non poteva fare che non morisse?": ma perché Gesù piange?, perché questo radicale turbamento di Gesù? perché se l'Amore di Dio è la vita dell'uomo, l'uomo muore? Perché bisogna che cada tutto ciò che separa l'uomo da Dio, perché l'Amore di Dio sia tutto per l'uomo. Bisogna che Gesù muoia, discenda e sperimenti l'angoscia del nulla della morte per essere risuscitato dall'infinito Amore del Padre, ed essere per sempre con Lui nella pienezza della vita: bisogna che Gesù chiami Maria, pianga con lei, si commuova, condivida l'angoscia, si turbi per l'impotenza di Dio di fronte alla morte, ma perché lei cominci a pregustare la bellezza di un Amore che solo passando attraverso la morte raggiunge la sua infinita pienezza. Lazzaro esce dal sepolcro chiamato dalla voce di Gesù, ma ha ancora i piedi e le mani legati con bende e il viso avvolto da un sudario: questa è ancora la vita precedente. Il suo ritorno alla vita è per dirci che non è questa la vita nella quale gustiamo in pieno l'Amore: bisogna morire per andare "oltre" e incontrare e gustare la Vita. "Guarda come lo amava": l'Amore che Dio ha per noi è misteriosamente più potente del "potere di non farci morire". Nel "fremito interiore di Gesù", nel suo commuoversi, nel suo piangere con Maria sta l'onnipotenza di Dio che ci ama fino a fare del nostro nulla, dei figli che vivono la sua vita infinita. |