Omelia (22-05-2011) |
Monastero Domenicano Matris Domini |
Commenti su Giovanni 14,1-12 Lectio Questo brano si pone all'interno del discorso di addio che Gesù pronuncia per i suoi discepoli durante l'ultima cena. Nei discorsi di addio presenti nell'Antico Testamento e nella letteratura intertestamentaria vi sono alcuni tratti caratteristici. Il morente si congeda dai suoi famigliari o addirittura dal popolo intero, ricorda loro quale condotta debbano tenere (per lo più si tratta di essere fedeli alla Legge), talvolta affida loro una particolare missione. Si tratta comunque di un discorso orientato al futuro. Prendendo questo modello letterario Giovanni può parlare del futuro. Dopo la risurrezione di Gesù tutti coloro che credono in lui potranno come lui entrare in intimità con il Padre e continuare la sua missione nel mondo. Perciò il discorso di addio diventa un discorso di "arrivederci". Due testi biblici fanno da sfondo a questo discorso di addio: l'intero libro del Deuteronomio, che altro non è che il discorso di addio pronunciato da Mosè prima della sua morte, e il salmo 42-43, che parla di turbamento e di lontananza, di desiderio di rimanere in comunione con Dio. 1. «Non si turbi il vostro cuore! Credete in Dio, e credete in me. Questa parola, nel suo duplice aspetto, corrisponde al ritornello del Sal 42-43, in cui l'orante vuole vincere il turbamento che agita la sua anima e si esorta a sperare fermamente nel suo Dio. Il turbamento che aveva colto Gesù di fronte alla morte di Lazzaro e nell'imminenza della propria morte sconvolge ora i discepoli. Gesù li esorta a credere, ad "appoggiarsi con forza su...", secondo la sfumatura che ha qui il verbo credere pisteúein. Gesù fa appello alla fede dell'ebreo che non si considera mai indipendentemente dal proprio legame con Dio, Colui che dona alla creatura la stabilità della roccia. Fa appello anche alla fede nella sua persona: anche se non possono ancora seguirlo, i discepoli debbono continuare ad appoggiarsi su di lui, con la stessa fermezza con cui si appoggiano a Dio stesso. 2. Nella casa del Padre mio [ci] sono molte dimore; se no vi avrei detto che vado a prepararvi un posto? Lungo la storia molti sono i commentatori che hanno pensato a questo versetto come a una rivelazione della struttura del paradiso. I padri della Chiesa hanno pensato che le "molte dimore" rappresentassero differenti gradi di beatitudine, secondo i rispettivi meriti degli eletti. Ma Giovanni non ha mai parlato di una salvezza diseguale. Il termine molte significa piuttosto l'abbondanza della salvezza divina. Quando Gesù ha detto ai suoi discepoli che avrebbe preparato loro un posto? Tutto fa pensare a Gv 12,26: "Dove sono io, là sarà anche il mio servo". E' interessante notare che l'unico testo biblico in cui si parla insieme di «dimore» e di «casa di Dio» è il salmo 42. Riguardo al «posto» (topos), che Gesù andrà a preparare, si tratta di un luogo preparato con cura. Dal momento che il termine greco in Gv 11, 48, come spesso nella Bibbia, indica il Tempio, si potrebbe vedervi un'allusione al santuario che è Gesù stesso. Una volta preparato il posto, Gesù ritornerà e condurrà i discepoli presso di sé, dunque presso Dio. 3. E quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, vengo di nuovo e vi prenderò con me, affinché dove sono io, siate anche voi. Questo versetto e quello precedente spiegano dove va Gesù e annunciano il suo ritorno. Grazie a questo duplice aspetto rappresentano il fulcro di tutto il capitolo 14. Inoltre, collegati al tema iniziale dell'incapacità dei discepoli di recarsi là dove Gesù ritorna, mostrano che la sua partenza ha proprio come fine di "preparare loro un posto", espressione ripetuta due volte. Certo questi versetti non sono di facile interpretazione. Sembrano riferirsi al ritorno di Cristo, che la tradizione comune fissa alla fine dei tempi, ma al tempo stesso la "venuta" di Gesù significa la sua presenza nell'oggi della comunità postpasquale. Gesù dice: «dove sono io», non «dove io sarò». Questo significa che egli si trova già presso il Padre, in forza della sua unione con Colui che l'ha mandato. 4. E dove [io] vado [ne] sapete la via». Da questo versetto fino al v. 11 Gesù mostra come il Padre si lascia incontrare. Non è un evento da attendere passivamente. I discepoli devono fare la loro parte, seguendo Gesù nella strada da lui tracciata, andando incontro al Padre. L'immagine della "via" è universale per indicare l'orientamento di un'esistenza o una scelta decisiva da compiere. Essa abbonda nella Bibbia, dove «la via che conduce alla vita» è opposta alla «via che conduce alla morte». Israele ha sempre osato credere che Dio gli manifestava le sue vie per rischiararne il cammino e farlo entrare nella Promessa. E la via della vita per eccellenza era la legge rivelata a Mosè. 5. Gli dice Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gesù suppone che i suoi discepoli abbiano imparato da lui la strada che conduce al Padre e, implicitamente, li spinge ad impegnarvisi. Ma Tommaso protesta la loro ignoranza sul fine e perciò sulla via. Si tratta forse di un artificio letterario che permette a Gesù di pronunciare con più solennità che lui stesso è la via (nel versetto seguente). Giovanni pone questa domanda in bocca a Tommaso forse perché lui si era dichiarato pronto ad accompagnare Gesù che andava in Giudea, a rischio della vita, per risvegliare Lazzaro. 6. Gli dice Gesù: «Io sono la via e la verità e la vita; nessuno viene al Padre, se non per me. La risposta è una sovrana dichiarazione, divisa in due sentenze strettamente unite, con la seconda che spiega la prima. Anche se Gesù è il soggetto della frase, essa si pone nell'orizzonte della ricerca del Padre. L'iniziale ego eimi è seguito da tre predicati, caso unico in Gv, che sin dall'antichità si è prestato a differenti letture. Un punto deve essere sottolineato: l'accento è posto sulla via. Gesù dichiara che egli è la via, l'unica, che conduce al Padre. Gesù sembra dire a Tommaso: tu trovi in me la via che conduce al Padre, là dove io vado, là dove io sono. Gesù si designava come la porta che conduce alla vita, parla qui come Colui che è già dove il discepolo vuole arrivare. Con questa formula lapidaria egli propone una vera e propria dichiarazione di identità che nella meditazione cristiana troverà grande eco. 7. Se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio. Fin d'ora lo conoscete e lo avete visto». Questo versetto cerca di spiegare meglio il fatto che Gesù sia la via. Il verbo conoscere si ripete tre volte con modi diversi. Prima è al congiuntivo passato ed implica che i discepoli debbano aver già conosciuto Gesù. Poi è al condizionale, se hanno conosciuto Gesù hanno conosciuto anche il Padre. Poi passa al presente: già da ora lo conoscete. Il verbo conoscere ha un senso profondo: indica un'esperienza, una relazione intima tra due persone e appartiene ancora al linguaggio biblico dell'Alleanza tra Dio e il suo popolo. Non solo: essi lo hanno anche visto, è un fatto già accaduto e attuale. Ma secondo l'Antico Testamento Dio non si può vedere! Eppure è la relazione con Gesù che permette di "vedere" il Padre. Ancora si sente l'eco del salmo 42 (quando vedrò il volto di Dio?). 8. Gli dice Filippo: «Signore, mostraci il Padre, e ci basta». La reazione di Filippo, "mostraci il Padre", sembra equivalere alla richiesta di una teofania, analoga alla preghiera di Mosé a JHWH "Mostrami la tua gloria!": essa esprime il profondo desiderio presente nell'uomo e in particolare nell'israelita. Il tema della ricerca del Padre è perciò ripreso da parte del discepolo. Filippo fa appello a Gesù per essere esaudito, cosa già notevole. Ma egli ha parlato come se Gesù e il Padre fossero due e come se Gesù fosse semplicemente un intermediario, non il Mediatore in senso forte. Il Maestro aveva detto: "Voi lo vedete"; il discepolo parla come uno che non abbia ancora visto. 9. Gli dice Gesù: «Da tanto tempo son con voi e non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre: come tu dici: "Mostraci il Padre"? Chi ha visto me ha visto il Padre. E' un'affermazione forte che era stata già fatta da Gesù in termini analoghi: Colui che crede in me, non crede in me ma in Colui che mi ha inviato; e colui che vede me vede Colui che mi ha inviato. (Gv 12,44-45) Vi è una differenza notevole. Gesù prima dice "chi vede me vede colui che mi ha mandato". L'inviato rappresenta l'Inviante. Invece nel nostro brano Gesù parla direttamente del Padre. E' un'affermazione sconvolgente. Ancora Gesù fa un discorso simile quando parla del pane della vita: E' scritto nei profeti: "Saranno tutti istruiti da Dio". Chiunque ha ascoltato il Padre ed ha ricevuto il suo insegnamento viene a me. Non che qualcuno abbia visto il Padre, eccetto colui che è presso Dio: questi ha veduto il Padre. (Gv 6,45-46). L'unico che ha visto il Padre in modo pieno, faccia a faccia è il Figlio. Ora i discepoli che vedono il Figlio possono vedere in lui il Padre ed essere istruiti da Lui. Vedere indica qui una percezione nella fede, la conoscenza di una presenza indubitabile e che dà vita. Il nostro passo corrisponde alla fine del Prologo: attraverso il Figlio, il credente è alla presenza del Padre stesso. 10. Non credi che io [sono] nel Padre e il Padre in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre che rimane in me fa le sue opere. Gesù fonda il "vedere" nel fatto che il Padre abita in lui, e questo è affermato a tre riprese: la prima e l'ultima in un appello a credere, la seconda in una frase che sottolinea l'agire del Padre: "è il Padre che rimanendo in me, compie le sue opere". L'argomentazione è analoga a quella dell'ultima controversia di Gesù con i giudei: Se non faccio le opere del Padre mio, non credetemi! Ma se le faccio, anche se non credete a me, credete alle opere, affinché impariate e riconosciate che il Padre è in me e io nel Padre (Gv 10,37-38) In quel caso Gesù si richiamava alle opere per mostrare la fondatezza della sua affermazione: "Io e il Padre siamo uno", che gli ascoltatori giudicavano blasfema. Qui Gesù dice che le sue parole non vengono da lui, ma che provengono dalle opere del Padre. Le opere, sempre distinte in Giovanni dalle parole, hanno valore di segni: sollevando una domanda sul loro autore, rivelano l'unità di azione del Figlio con il Padre. 11. Credete a me che io [sono] nel Padre e il Padre [è] in me; se no, credetelo per le opere stesse. Se Gesù è la via non lo è solo in modo temporaneo, sino all'incontro effettivo con il Padre, che sarebbe oltre. Certo il fine è il Padre stesso, come mostra in modo intenso questo testo, ma il credente lo raggiunge grazie alla sua adesione al Figlio. 12. In verità, in verità vi dico, chi crede in me, farà anche lui le opere che faccio io, e ne farà di più grandi di queste, poiché io vado al Padre. Riprendendo l'appello a credere, Gesù inizia a rivelare ai discepoli quale sarà la loro nuova esistenza. Ritornato presso il Padre Gesù proseguirà la sua opera attraverso i credenti. Nonostante o piuttosto a causa della sua partenza, i discepoli eserciteranno un'attività che Gesù non esita ad identificare con la propria. Egli stesso sarà il vero autore delle opere che essi compiranno. Il credente farà non le opere che ha fatto Gesù, ma quelle che Gesù sta per fare e che farà: il Glorificato continua ad agire presso il Padre a favore del mondo. La sua missione, ormai compiuta, porterà tutto il suo frutto nel tempo e nello spazio attraverso l'agire dei credenti. Come l'agire del Padre passava in quello di Gesù di Nazaret, così l'agire del Figlio passa nel fare dei discepoli. Per questo è richiesto preventivamente un legame intrinseco tra i discepoli e lui: la fede. Cosa sono queste opere che anche i discepoli compiranno? Non si tratta tanto dei miracoli, bensì del significato che essi portavano. Ricordiamo che per Giovanni i miracoli di Gesù sono segni. Ma cosa portano questi segni? Il dono della vita eterna, manifestano la salvezza, portano i testimoni a riconoscerla presente. Sono queste le opere ancora più grandi che i discepoli compiranno davanti a tutto il mondo. Meditatio 1) La mia fede si appoggia fermamente su Gesù Cristo? 2) E' mio desiderio rimanere per sempre con Gesù? 3) In che senso Gesù è per me la via? Come posso compiere le opere di Gesù e farne di più grandi? Preghiamo (Colletta della V domenica di Pasqua, anno A) O Padre, che ti riveli in Cristo maestro e redentore, fa' che aderendo a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a te, siamo edificati anche noi in sacerdozio regale, popolo santo, tempio della tua gloria. Per il nostro Signore... |