Omelia (03-07-2011) |
mons. Gianfranco Poma |
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi Con questa domenica XIV del tempo ordinario, iniziamo un lungo periodo dell'anno liturgico (circa cinque mesi) nel quale, nel tranquillo succedersi delle settimane, l'ascolto della Parola di Dio, l'Eucaristia e la comunione fraterna, fanno della normalit� della nostra vita umana, con le sue gioie e le sue tristezze, le riuscite e le sconfitte, la condizione in cui si realizza l'esperienza dei figli di Dio. E riprendiamo, in questo anno liturgico, la lettura del Vangelo di Matteo nel quale Ges� � presentato come il Messia, che, profondamente inserito nella vita del popolo ebraico, ne realizza le attese portandole al "compimento", ma in modo sorprendente e inatteso: Ges� � il Cristo, il Messia, il Figlio di Dio, Dio con noi, che "discende" per condividere fino in fondo l'esperienza umana, fino alla morte in Croce, e risorge per portare l'umanit� alla comunione con Dio. Il fine a cui tende il Vangelo di Matteo � quello di proclamare che in Ges� Cristo, nel quale la promessa fatta ad Abramo ha raggiunto il suo compimento, tutti i popoli sono chiamati a diventare suoi discepoli, e il popolo di Dio ha ormai i confini dell'universo. Gradualmente, quindi, con una struttura raffinatamente costruita, Matteo in ogni pagina mostra che cosa significhi diventare "discepoli" di Cristo: "Non sono venuto ad abolire, ma a portare a compimento.Io vi dico: se la vostra giustizia non superer� quella degli Scribi e dei Farisei, non entrerete nel regno dei cieli.Voi dunque, siate perfetti come � perfetto il Padre vostro che � nei cieli". Essere suoi discepoli significa credere in Lui, seguirlo, per vivere con Lui la relazione filiale con il Padre "che � nei cieli", significa percepire che l'esistenza umana ha senso solo in una relazione infinita con Dio, ma con un Dio che, rimanendo nel suo mistero, parla con l'uomo come un Padre parla al proprio Figlio. In ogni pagina del Vangelo, Ges�, il Figlio, mostra il suo impegno nel formare i suoi discepoli, perch� entrino in comunione con Lui, gustino la vita che il Padre dona a loro, vita filiale che diventa fraterna nel rapporto con gli altri uomini. La pagina che la Liturgia ci fa leggere in questa domenica, Matt.11,25-30, � particolarmente significativa, proprio in rapporto alla comprensione della identit� di Ges�, Figlio di Dio, e del significato dell'essere "suoi discepoli". In questo cap.11 Matteo insiste nel presentare Ges� come l'annunciatore della presenza del Regno dei cieli, cio� della presenza di Dio che realizza le aspirazioni pi� profonde dell'uomo. Ma ai suoi ascoltatori appare deludente la parola di Ges� che da una parte radicalizza le richieste della Legge che essi ritengono impossibili per le forze fragili dell'uomo e d'altra parte proclama la presenza del Regno. Come � possibile entrare nel Regno dei cieli se non solo non si abbassano le esigenze richieste, ma addirittura sono radicalizzate? "Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avr� perseverato fino alla fine sar� salvato." (Matt.10,22). Matteo sottolinea lo scarso successo delle parole di Ges�: ".quelli se ne andavano." ".Ges� si mise a rimproverare le citt� perch� non si erano convertite" (Matt.11,7.20). La preghiera che oggi leggiamo esprime la reazione personale di Ges� di fronte all'incomprensione dei suoi ascoltatori e contiene la rivelazione della novit� per la quale Ges� ritiene possibile ci� che per l'uomo affidato alle sole sue forze rimane impossibile. Ed � questo l'annuncio evangelico rivolto all'uomo di oggi: l'uomo moderno, diventato potente per la sua scienza e la sua tecnica, l'uomo raffinato nell'esercizio della sua ragione, ha conservata intatta la sua fragilit�, dalla quale, da solo, non pu� liberarsi. La parola di Ges� si fa preghiera: "Rendo lode a te, Padre, Signore del cielo e della terra". Queste poche parole esprimono in sintesi tutta la novit� cristiana: il Dio di Israele, il Signore del cielo e della terra, � il Padre, l'infinito "Tu", al quale Ges� pu� rivolgersi con riconoscente amore, per rendergli lode e per ringraziarlo. La parola di Ges�, la sua preghiera, � espressione della sua pi� profonda e personale esperienza: "Tutto a me � stato dato dal Padre mio e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e nessuno conosce il Figlio se non il Padre". Ges� riconosce che tutta la sua esistenza � "dono" che viene dal Padre: con una sorprendente vicinanza con il Vangelo di Giovanni, anche per Matteo, l'identit� di Ges� � essenzialmente quella di "Figlio" che vive della vita che il Padre gli dona. E questa non � una affermazione astratta, metafisica: Ges� afferma che tutta la sua vita consiste nel "conoscere", nello sperimentare il dono del Padre. Tra il Padre e il Figlio esiste questo infinito scambio di conoscenza e di Amore: la carne di Ges� diventa la visibilit� di ci� che il Padre conosce. E Ges� aggiunge:... "e colui al quale il Figlio vuole rivelarlo". Possiamo trovare qui una splendida definizione di che cosa significhi essere discepoli di Cristo: sono "coloro che Ges� rende partecipi della propria esperienza filiale, del dono della vita del Padre, del significato profondo della relazione con Lui ". All'uomo moderno, sempre in ricerca, Ges� vuole rivelare che il senso e il gusto della vita, si trova entrando con Lui nella relazione filiale con Dio, il Padre la cui "volont� buona" � quella di donarsi agli uomini. Anche all'uomo moderno Ges� chiede di non chiudersi nella propria scienza, di non fare della propria ragione l'orizzonte chiuso della propria verit� o della propria capacit� dialettica lo strumento illusorio per la diffusione del Vangelo ("hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e ai dotti"): il Vangelo � la comunicazione dell'esperienza filiale di Ges�, � l'annuncio dell'infinito Amore del Padre per il Figlio che si � fatto "piccolo" per lasciarsi amare e che vuole attirare a s� tutti coloro che pur all'interno del mondo complesso di oggi e della ricchezza delle conoscenze a cui l'uomo � arrivato, hanno l'umilt� di farsi piccoli e di riconoscere di aver bisogno di una esperienza di Amore che doni pace e felicit� al cuore sempre inquieto dell'uomo. Ges� conosce la fatica della vita dell'uomo, le sue difficolt�: non offre facili illusioni. All'uomo affaticato, deluso, tentato di disperazione, Ges� offre la partecipazione alla propria esperienza filiale, alla comunione con il Padre che diventa progetto concreto di vita: "Venite a me, voi tutti, che soffrite sotto il peso delle preoccupazioni e io vi offrir� il riposo. Prendete su di voi il mio giogo; diventate miei discepoli, io sono mite e umile di cuore: troverete riposo per la vostra vita. S�, il mio giogo � facile da portare e il mio peso � leggero": all'uomo che entra in comunione con Lui, non offre illusori sconti nella fatica del vivere, offre una esperienza infinita di Amore nella quale anche la fatica diventa riposo. |