Omelia (14-08-2011) |
don Alberto Brignoli |
Se anche Dio "si converte" È inusuale imbattersi in un Gesù scontroso tra le pagine del Vangelo. È addirittura improbabile avere a che fare con un Gesù sordo alle richieste e alle suppliche di chi si rivolge a lui per una necessità. Per questo, il triplice rifiuto da parte del Maestro di ascoltare la supplica di una povera donna Cananea che - come ci riferisce il Vangelo di oggi - si prostra dinnanzi a lui per chiedergli la guarigione della figlia indemoniata, ci appare come qualcosa di veramente spropositato, al punto che ci obbliga ad andare alla ricerca di una spiegazione plausibile tale da giustificare il comportamento di Gesù. Come mai Gesù prima non le rivolge neppure una parola, poi - su insistenza dei discepoli - dice che egli non è stato mandato se non alle pecore perdute della casa d'Israele (quindi nemmeno a una donna fenicia), e infine rivolgendosi alla donna addirittura la definisce - attraverso una comparazione - un cagnolino (termine dispregiativo con cui gli israeliti definivano i pagani)? Cos'era successo? E perché poi Gesù cambia idea e la esaudisce? Diamo un'occhiata al contesto in cui Matteo colloca questo brano. Gesù ha appena moltiplicato il pane e i pesci per cinquemila persone, e successivamente camminando sulle acque rivela ai suoi discepoli, come già alle folle in precedenza, la potenza della sua persona e della sua parola. Ora, Israele ha la grazia di trovarsi di fronte ad un profeta di enorme grandezza, ma coloro che per primi dovrebbero riconoscere in lui il Messia di Dio (ovvero farisei e scribi) si scomodano a venire addirittura da Gerusalemme per rimproverare a Gesù che i suoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi perché prendono cibo senza lavarsi le mani. Gesù raccoglie questa sfida nonostante ne veda la bassezza e la povertà di contenuti, e incomincia una requisitoria nei loro confronti mostrando loro l'ipocrisia del loro formalismo religioso, fatto da una parte di rispetto puntiglioso e quasi ossessivo delle leggi giudaiche e dall'altra di mancanza di carità nei confronti del prossimo, per di più in nome delle stesse leggi! Di fronte poi ai loro atteggiamenti schifati e scandalizzati per le sue risposte, Gesù pare proprio stancarsi, e lascia il territorio d'Israele per dirigersi in territorio pagano, ovvero nelle antiche città fenicie di Tiro e Sidone abitate dai Cananei, ma pure da qualche israelita esiliato, emarginato dal "gruppone" dei credenti storici dei territori d'Israele. Quasi a dire: "Non sopporto più questa fede fatta di formalismi, di legalismi, di regionalismi e di chiusure mentali: mi rivolgo ad altri, a coloro che, pur credendo nel Dio della Rivelazione, non sono ritenuti in piena comunione con i loro fratelli di fede". Già questa è una prima svolta nell'apostolato di Gesù: fa una digressione ed entra in territorio straniero, per il momento rivolgendosi però ancora e solo alle pecore perdute della casa d'Israele. Non passerà più un'altra volta in territorio straniero: si tratta veramente di un'occasione più unica che rara. Cosa che scribi e farisei, in costante contatto con Gesù, non riuscivano a cogliere. Chi invece coglie l'urgenza del momento è una donna straniera, una cananea, che chiede a Gesù di manifestare la sua potenza guarendo sua figlia tormentata da un demonio. Gesù, però, tira dritto per la sua strada, intento solo ad andare in cerca delle pecore perdute della casa d'Israele. Nemmeno un grido d'aiuto e un gesto di prostrazione della donna lo fermano: il cibo, il pane della Parola di Dio di cui vive l'uomo, è per i figli d'Israele, anche se essi dimostrano di non volerne sapere. Di certo non è per gli stranieri, per i "cani", come venivano chiamati dagli ebrei: non lo mangiano ora, lo mangeranno più tardi, ma non è affatto opportuno gettarlo ai cani. Gesù pare determinato a tirare dritto. Sennonché, avviene quella che a ragione alcuni studiosi definiscono in maniera forte e suggestiva la "conversione", il cambiamento di rotta di Gesù. E questa conversione non è frutto di un'esplicita richiesta del Padre, e nemmeno risulta da un'opportuna consultazione con il gruppo dei discepoli (ai quali nemmeno fa caso, quando essi lo implorano di ascoltare): chi fa cambiare rotta a Gesù è una donna, straniera, che forse nemmeno sa come le saranno uscite quelle parole così forti e così astute, pronunciate riprendendo l'offensiva comparazione di Gesù ("i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni"). Di certo sa che si trova di fronte a un profeta, a un uomo potente in parole e opere. Sa per certo pure che lei è straniera, cioè fuori dal discorso della salvezza. Sa benissimo di appartenere ai "cani": ma non ha alcuna pretesa in senso contrario. Continuerà a rimanere un cane, una scomunicata, una fuori da tutte le opportunità di salvezza: nonostante ciò, anzi, forse proprio per questo, non chiede molto. Si accontenta delle briciole di pane che i figli dei padroni lasciano indietro. A lei poco importa che i figli dei padroni facciano avanzare ceste di pane o piccoli frammenti di cibo: lei sa che anche solo una briciola di quel pane di salvezza che è Cristo servirà a fare cose grandi nella sua vita. È l'unica volta nel Vangelo in cui Gesù cambia idea, ed è l'unica volta nel Vangelo di Matteo nella quale, incurante della provenienza sociale e religiosa della donna, addita una straniera a modello di fede per il popolo dei credenti d'Israele. Gesù si lascia sconvolgere dalla fede di una donna "ufficialmente" non credente. Ma ciò che più sconvolge è che noi, suoi discepoli, nonostante il suo esempio, non siamo capaci di convertirci dalle nostre visioni legaliste, formaliste, regionaliste e tradizionaliste con le quali cataloghiamo Dio e i fratelli. Quante volte, come i farisei, rinchiudiamo la fede in una serie di precetti, compiuti i quali ci sentiamo autorizzati a non fare più nulla, se non addirittura a tralasciare evidenti e necessarie opere di carità? Quante volte anche noi facciamo coincidere la fede con la messa domenicale e qualche altra occasionale "processioncina" o gesto si devozione? Quante volte anche noi giudichiamo coloro che sono fuori dalla comunione piena con la comunità dei credenti come dei "diversi", degli "indegni", dei "peccatori pubblici" e impediamo loro di accedere all'incontro con Cristo, con il quale magari anche noi qualche difficoltà di fede l'abbiamo? E ciò che più fa male, è che il più delle volte non accettiamo nemmeno di rivedere questa nostra ottusa mentalità, ritenendola giusta e secondo i "canoni" della religione e della tradizione! Ma se anche Dio "si converte" di fronte ad una fede pura, vera, sincera nonostante la sua presunta irregolarità, chi siamo noi per evitare di ricrederci? Chi ci autorizza a pensare che chi è fuori dalla Chiesa vi deve rimanere sempre e comunque? Chi siamo noi per giudicare e condannare il cuore dell'uomo se nemmeno Gesù nostro Maestro si permette di farlo? Dio ci liberi dalla presunzione di credere in lui in maniera perfetta, inequivocabile e discriminatoria! |