Omelia (13-05-2012) |
mons. Antonio Riboldi |
Ricordiamo Fatima Sono davvero molti gli appuntamenti che Maria SS.ma ha avuto in tante parti del mondo, a cominciare da Lourdes e Fatima. Ogni occasione era, non solo per rassicurarci sulla sua vicinanza di Mamma, a cui Gesù ci aveva affidati, ma per suggerirci, proprio come fanno le mamme, la via della salvezza. Il 13 maggio del 1917 tre bambini pascolavano un piccolo gregge nella Cova da Iria, frazione di Fatima. Si chiamavano Lucia (10 anni) e i suoi cugini Francesco e Giacinta (9 e 7 anni). Verso mezzogiorno, dopo aver recitato il Rosario, all'improvviso videro una grande luce; pensando che si trattasse di un lampo decisero di andarsene, ma ne sopraggiunse un altro e sopra un piccolo elce videro una "Signora più splendente del sole" dalle cui mani pendeva un rosario bianco. La Signora disse ai tre bambini che era necessario pregare molto e li invitò a tornare in quel luogo per cinque mesi consecutivi, il giorno 13 e a quella stessa ora. I bambini così fecero e nei giorni 13 di giugno, luglio, settembre e ottobre la Signora tornò ad apparire e a parlare con loro. Ad agosto l'apparizione ebbe luogo il 19 nelle vicinanze di Aljustrel, perché il giorno 13 i bambini furono "sequestrati" dal sindaco. Nell'ultima apparizione, il 13 ottobre, la Signora disse di essere "la Madonna del Rosario" e chiese che venisse costruita in quel luogo una cappella in suo onore. Dopo l'apparizione tutti i presenti (circa 70.000 persone) furono testimoni del miracolo promesso ai tre bambini nei mesi di luglio e di settembre: dopo un forte temporale, smise di piovere e il sole per tre volte girò su se stesso, lanciando in tutte le direzioni raggi di luce di diversi colori. Il globo di fuoco parve staccarsi dal firmamento e precipitare sulla folla, che visse momenti di grande terrore. A dieci minuti dall'inizio del prodigio, il sole ritornò al suo stato normale e tutti si ritrovarono con gli abiti, prima fradici di pioggia, perfettamente asciutti. Più tardi, quando Lucia era già religiosa, la Madonna le apparve nuovamente (il 10 dicembre 1925, il 15 febbraio 1926 e ancora nella notte tra il 13 e il 14 giugno del 1929) chiedendo le devozioni dei primi cinque sabati del mese e la consacrazione della Russia al suo Cuore Immacolata Il 13 maggio del 2000, il Papa Giovanni Paolo II ha solennemente beatificato i pastorelli Giacinta e Francesco. Nell'omelia, durante la Messa di beatificazione a Fatima di Giacinta il Papa ha così parlato: Nella sua sollecitudine materna, la Santissima Vergine è venuta a Fatima per chiedere agli uomini di "non offendere più Dio, Nostro Signore, che è già molto offeso". Per questo Ella chiede ai pastorelli: "Pregate, pregate molto e fate sacrifici per i peccatori; tante anime finiscono nell'inferno perché non c'è chi preghi e si sacrifichi per loro". La piccola Giacinta ha condiviso e vissuto quest'afflizione della Madonna, offrendosi eroicamente come vittima per i peccatori. Giacinta era rimasta così colpita dalla visione dell'inferno, avvenuta nell'apparizione di luglio, che tutte le mortificazioni e penitenze le sembravano poca cosa per salvare i peccatori. Giacinta potrebbe benissimo esclamare come san Paolo: "Mi rallegro di soffrire per voi, completando in me stessa quello che manca alle tribolazioni di Cristo a vantaggio del suo Corpo, che è la Chiesa". Pensieri sul Vangelo di oggi: "AMATEVI COME IO VI HO AMATI" Diciamolo francamente. senza pudore, con la voglia di sincerità che segue il risveglio da una 'malattia', in cui ci siamo solo preoccupati di appropriarci di quello che ci piaceva, in tutto, facendo del nostro egoismo l'unica legge da seguire, per poi diventare anche giudici impietosi per gli sbagli che altri hanno potuto commettere - e la debolezza in questo senso è davvero grande! Oggi non sappiamo neanche più provare ripugnanza per tutto il male che si commette e che pare, come fango, sommergere uomini e istituzioni: rischiamo l'assuefazione e non ci rendiamo conto che è questo il vero baratro, non la crisi economica, e, soprattutto, non riflettiamo che questo malessere che ormai viviamo è il frutto di esserci considerati regola dei nostri cattivi comportamenti, ognuno al suo posto e nel suo ruolo, senza eccezioni. Quando si era più poveri - lo ricordo nella mia infanzia - tutti vivevamo un senso di appartenenza, rispetto all'ambiente in cui si viveva. Nella nostra vita, forte era il senso dell'amicizia e la solitudine non era mai di casa. Sentivamo che non si poteva e non si può vivere senza incontrare o dare amore. Sapevamo di non essere stati creati per l'isolamento, ma eravamo educati ad una realizzazione di sé possibile solo nell'apertura a chi ci era vicino o lontano, all'Altro, al prossimo. È questa la verità profonda del nostro essere, ecco perché ci commuove e ci stimola a percorrere la stessa strada, scoprire come, ieri ed oggi, vi siano uomini e donne che, stanchi del loro 'solitario benessere', che diventa un carcere invisibile, ad un certo punto lasciano tutto e vanno dove sembra di poter dare qualcosa a chi non ha neanche un poco di affetto. Ho in mente l'esempio di Follereau che scelse come amici carissimi i lebbrosi. La sua vita era un correre dove si trovavano ed ogni incontro diventava una festa. Il lebbroso, che poteva stringere la sua mano amica, ritrovava la gioia dell'uomo che riscopre la propria dignità, creato per amare ed essere amato. È un'esperienza di tutti scoprire, a volte, quanto sia contro natura e faccia soffrire avere anche solo la sensazione che nessuno si 'interessi' a noi. Quando il Padre ci ha creati, ha fatto a tutti un grande dono, senza eccezioni: la capacità di amare come Lui ci ama e di essere amati. Siamo stati creati per l'Amore, ma lo dimentichiamo troppo spesso e la conseguenza è un vivere come se fossimo 'numeri', 'individui', ognuno preoccupato di raggiungere i propri obiettivi, la propria realizzazione. Non abbiamo ancora capito che non conta essere importanti, ricchi o poveri, sani o malati, giovani o anziani: quello che ci fa davvero vivere, sentire vivi, è sapere che siamo amati, amando. Amare è vita che dà vita, ed è quello che tante volte manca ai più. Questa necessità e natura del vivere amando, è confermata dalla Parola di Gesù, oggi: "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore. Come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete quello che io comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone, ma vi ho chiamati amici, perché ciò che ho udito dal Padre mio, l'ho fatto conoscere a voi. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri". (Gv. 15,9-17) È una dichiarazione stupenda, che esce dal Cuore e dalla bocca di Dio, trasmessa a noi da Lui stesso. L'Amore fa parte ormai della nostra natura e vita. Non c'è fèlicità più grande che di amare ed essere amati. E non c'è infelicità più tragica di quella di essere soli: è un non vivere, un togliere il respiro al cuore. Come sarebbe bello, oso dire da discepoli di Gesù, se tra noi vi fosse un continuo ricercare la bellezza dell'Amore, costi quello che costi, per fare tanto spazio a chi ci sta vicino. Questo non è utopia, non è sogno, non è illusione: è l'unica ragione della nostra esistenza. Afferma la saggezza: 'Non posso vivere senza amare e non posso amare senza vivere'. È la prima ed unica vera 'regola' della nostra vita; fuori di essa vi è l'autodistruzione. È la ragione per cui scrivo a voi e che genera la gioia di chiamarvi 'amici' di tutto cuore. È la regola che S. Giovanni, l'apostolo prediletto di Gesù, oggi, sulle orme del Maestro ci offre: "Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore..... In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati". (I Gv. 4, 7-10) |