Omelia (01-01-2015) |
don Luca Garbinetto |
Globalizzare la fraternità Se è vero quello che gli archeologi e gli studiosi della Bibbia ci raccontano, Gesù è nato in una grotta che costituiva la parte più interna di una povera casa di Betlemme. Era tipico ubicare giù in fondo, nella zona più nascosta dell'abitazione, la stalla degli animali, perché il loro fiato potesse risalire e riscaldare l'ambiente intero. Nella parte anteriore, invece, costruita con pietre, si trovava lo spazio della vita famigliare, giornaliero e notturno. Lì dormivano i bambini, rannicchiati attorno al capo famiglia, accanto alla loro mamma (cfr. Lc 11,7). In questo ambiente famigliare non c'era posto per Giuseppe e Maria, migranti dal nord a causa di un censimento. Non erano propriamente stranieri, ma la quantità di gente che si muoveva, forse, non aveva potuto riservare un luogo migliore a Gesù, il Figlio di Maria, per nascere. Così, la giovane mamma lo aveva dovuto avvolgere in fasce per proteggerlo dal freddo e deporlo nella mangiatoia, nel luogo più nascosto della casa. Succede così. A volte non si è attenti, affannati nelle mille cose da fare, e un gesto di carità sfugge semplicemente per distrazione. Non è detto da nessuna parte, nel Vangelo, che la gente di Betlemme fosse particolarmente cattiva o inospitale. A pensarci bene, sembra che fosse gente normale, presa da tanti affari ordinari, che aprì le porte a questa coppia di giovani sposi venuti da lontano, ma senza guardarli bene negli occhi. A volte accade semplicemente questo: ci sfugge la luce che brilla negli occhi di chi bussa alla nostra porta! Il Figlio di Maria, allora, non nasce in una solitudine fisica, in un ambiente di abbandono. Il Figlio di Dio nasce probabilmente in un luogo particolarmente affollato, direi proprio confusionario. Nasce povero, ma soprattutto nasce nella totale ferialità, che risica l'indifferenza. Proprio così. Ciò che colpisce, nelle parole scarne del Vangelo, è che il popolo di Israele, che attendeva un Messia, si ritrova troppo distratto da altre cose per riconoscere la venuta dell'Atteso. E così, Dio stesso, Colui che l'ha inviato, Colui che ha preparato la Vergine a essere Madre, si premura di risvegliare i vigilanti. Gli angeli vanno dai pastori. Sono fra i pochi che non dormono, nella loro coscienza di esclusi o semplicemente di lavoratori. Devono accudire le pecore, non possono permettersi di lasciarsi intontire dalle preoccupazioni né tanto meno dai vizi. O forse si tratta dei più emarginati, degli ultimi, e basta. Così Dio li sceglie perché il suo cuore di Padre desidera ardentemente che tutti, ma proprio tutti si accorgano che suo Figlio è nato! Proviamo a immaginare l'accaduto. Questi uomini abituati alla notte, poco avvezzi alle relazioni pubbliche, storditi dall'apparizione gioiosa degli angeli, corrono in città e cercano il Bambino che è stato loro annunciato. Arrivano sporchi e stanchi, lasciando addirittura ciò che avevano di più prezioso - le pecore - incustodite nei campi. Arrivano e chiedono sicuramente informazioni, come faranno poi i Magi. Sono loro, puzzolenti e decisi, a richiamare l'attenzione del popolo. Se la folla dei poveri di Jahvé si muove così trepidante, qualcosa deve essere successo! E infatti la gente vedrà entrare i pastori al cospetto di Gesù, e ascolterà il loro racconto: ‘abbiamo avuto una apparizione di angeli...!' (cfr. 2,17). Ecco l'annuncio, ecco la prima evangelizzazione, ecco la Parola che diventa testimonianza. Faranno lo stesso uscendo dall'intimità di quella casa, dove il Figlio di Dio è deposto a custodire ciò che vi è di più profondo, accanto alla propria Madre. I pastori rompono lo schermo dell'indifferenza, che è molto più atroce della solitudine. Sono i poveri che irrompono nell'esistenza, infrangendo lo schema consunto dell'abitudine, a risvegliare lo stupore: ‘ma allora chi è questo Bimbo?...e chi è questa Madre?' (cfr. 2, 18). La Madre, dal canto suo, conserva silenziosa ogni gesto e ogni parola nel proprio cuore, per restituircelo a noi, suoi figli a venire, come confidenza intima nel profondo della nostra casa di preghiera. All'irruzione dei poveri, ognuno si trova di fronte a una scelta. Si sceglie il modo di ascoltare, si sceglie l'intensità della presenza, si sceglie se restare ancora nella logica della distrazione superficiale o se cambiare registro, e aprirsi alla fraternità. A Betlemme ci è nato un Figlio, quindi un Fratello. Un piccolo Fratello maggiore. E ogni volta che dei fratelli più poveri ed emarginati bussano alla nostra esistenza, eccoci richiamati a scuoterci dal torpore del nostro egocentrismo. Non siamo figli unici. Non siamo però neanche orfani. Il nostro Padre ci ha dato pure una Madre, dolcissima Madre, Vergine nel corpo e nel cuore. Mirabile mistero di universalità. Nessuno è escluso dalla purezza dell'amore di Maria. In lei ognuno conosce la bellezza di un amore che libera, che restituisce dignità, che spalanca orizzonti di solidarietà. Maria depone nell'intimo della nostra casa il Re della Pace, di cui siamo tanto bisognosi. Anche noi, allora, come ci invita a fare papa Francesco, in questo nuovo anno che inizia, accorsi accanto alla mangiatoia di Betlemme, penetriamo con lo sguardo il mistero della Natività, e, vincendo la tragedia dell'indifferenza, resistiamo ‘alla tentazione di comportarci in modo non degno della nostra umanità'. |