Omelia (07-06-2015) |
don Alberto Brignoli |
Eucaristia, rito e missione Nonostante la brevità del racconto dell'Ultima Cena nella versione di Marco, la dovizia e la cura di particolari dedicata alla descrizione del momento dell'istituzione dell'Eucaristia denotano la centralità di un tema come questo nell'economia del suo Vangelo. "Non potrebbe essere altrimenti", ci verrebbe da pensare. Può darsi: ma questa particolare cura nella descrizione dei preparativi dell'Ultima Cena a me piace leggerla dando risalto a un altro particolare, per la verità utilizzato anche dagli altri evangelisti, ovvero quello per cui Gesù, immediatamente dopo aver istituito l'Eucaristia e aver dato carattere di completezza e di definitività a questo gesto ("...non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio"), con i suoi discepoli esce verso il monte degli Ulivi cantando l'inno che la liturgia della cena ebraica prevedeva, ovvero l'insieme dei Salmi che costituivano l'Hallel pasquale (quelli che vanno dal 113 al 118 della nostra Bibbia). Quasi a dire - parafrasando con un linguaggio attuale - che, con la Comunione ancora in bocca, uscirono fuori dal luogo in cui stavano celebrando la Cena. È proprio tra questi due dinamismi - la meticolosa e paziente cura nella preparazione della Cena e la quasi frettolosa immediatezza dell'uscire fuori - che, a mio avviso, si giocano gli elementi fondamentali su cui costruiamo la nostra devozione all'Eucaristia, così come la solennità che oggi celebriamo (ma che in realtà ogni giorno viviamo nelle nostre comunità) ci invita a fare. Cura nella preparazione, e ansia di uscire fuori; particolarità dei segni e dei gesti, e universalità dell'annuncio; attenzione al rito, e urgenza della missione: è tra questo necessario equilibrio che credo si debba muovere la nostra devozione eucaristica. Il Maestro, con i discepoli, non si è preoccupato di celebrare un rito che fosse meticolosamente preparato e vissuto nei suoi minimi particolari dal punto di vista estetico, liturgico, teologico e spirituale, per poi relegarlo alla sfera dell'intimismo religioso, bensì si è preoccupato che il rito celebrato con cura aprisse immediatamente le porte del Cenacolo sulla strada, sulla via della missione, che attraverso il Monte degli Ulivi porta al Calvario, alla tomba vuota, a Emmaus. E per contro, a quale missione avrebbero potuto aprirsi e lanciarsi, se non avessero condiviso con intensità, con la dovuta preparazione, con cura e attenzione fin nei minimi particolari, quel rito che non era solo uno sterile ricordo di tradizioni passate, ma il memoriale che rinnova l'alleanza tra Dio e il suo popolo, resa ancora più forte e vincolante dal sangue di Cristo sulla croce? No, rito e missione non si possono disgiungere, né in nome di un iconoclastico deprezzamento di riti considerati "inutili alla salvezza", né in nome di un ripiegamento sulle sicurezze di sagrestie, paramenti e rituali pieni di incenso, tutto fumo e poca sostanza. Sentirsi "a posto" oppure realizzati nel nostro rapporto con l'Eucaristia solo attraverso la perfetta esecuzione di riti e rituali legati alla celebrazione della messa o al culto eucaristico è limitato, errato e fuorviante, tanto quanto lo è sentirsi realizzati solo per il fatto di essere cristiani "di strada" che in nome del'immediatezza del rapporto con l'uomo, con la città, con la strada, con le periferie - con la missione, in una sola parola - trascurano l'attenzione all'Eucaristia come rito, come celebrazione della nostra comunione con Dio e con i fratelli, come fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, per riprendere un'espressione cara al Concilio Vaticano II. Non possiamo dire: "Ciò che conta, per un cristiano, è fare del bene agli altri, al di là del partecipare alla vita della Chiesa attraverso la celebrazione e la comunione eucaristica"; così come non possiamo dire: "Sono andato a messa, anzi, ci vado tutte le domeniche, e faccio anche sempre la comunione, per cui di fronte a Dio io sono a posto". Rito e missione non possono essere disgiunti, così come non lo furono la Cena Pasquale, l'uscita verso il Monte degli Ulivi e il cammino da Gerusalemme a Emmaus. Oggi assistiamo spesso, soprattutto tra noi "addetti ai lavori", uomini e donne di chiesa, del clero, o consacrati con vocazioni speciali, ad atteggiamenti che mostrano questo fuorviante tentativo di creare dicotomia tra rito e missione, con l'ingenuo obiettivo di puntare all'essenziale della fede. Molti di noi letteralmente "buttano lì" la celebrazione della messa come si "butta lì" una giacca sul divano rientrando in casa di fretta: scarsa attenzione alla Liturgia della Parola, alla preparazione dell'omelia, all'allestimento dell'apparato liturgico (dai paramenti agli arredi sacri), al canto e alla musica, al coinvolgimento dell'assemblea, convinti che comunque la vera messa è solo ed esclusivamente quella che si vive di fuori, terminato il canto finale. Per contro, molti altri sono eccessivamente preoccupati da tutto l'apparato, rischiando davvero di perdere l'essenza teologica e pastorale dello spezzare il Corpo di Cristo sulla triplice mensa della Parola, del Pane e della Carità; c'è chi si rifugia in forme liturgiche vetuste e totalmente anacronistiche che oltre che a non dire più nulla all'uomo e alla donna di oggi (se non farli ridere, vedendo attaccapanni che camminano sull'altare) sono border-line rispetto all'ortodossia; oppure c'è chi concentra l'attenzione della celebrazione tutta quanta su di sé e sulla propria abilità nel rendere belle le cose, dimenticando che (soprattutto in una comunità parrocchiale) non è importante "fare cose belle", ma farle insieme, coinvolgendo ogni membro della comunità. Alla base di tutto, ci deve essere comunque la consapevolezza di sentirsi in cammino, e che quindi la perfetta sintesi tra rito e missione, tra chiesa-tempio e chiesa-ospedale da campo, tra sagrestia e strada, non è una cosa che si può dare per certa e assodata con alcune piccole attenzioni realizzabili in pochi istanti, ma fa parte di un lento, faticoso ed entusiasmante cammino di costruzione della comunione nella comunità, tra rispetto della tradizione e slancio profetico verso il domani. |