Omelia (22-11-2015)
mons. Roberto Brunelli
Un'alternativa alla barbarie di Parigi

Mentre abbiamo ancora negli occhi e nel cuore l'orrore per quanto è avvenuto a Parigi, oggi si prospetta davanti a noi la radiosa immagine di Cristo Re. Non potrebbe darsi confronto più eloquente: da un lato i barbari che sterminano gli innocenti (e, orrore su orrore, in nome di Dio); dall'altro un Re che si è lasciato inchiodare alla croce. La violenza imposta con odio, la violenza subìta per amore.
Parlare di Gesù Cristo come di un re, manifesta in realtà la povertà del nostro linguaggio, che associa a questa parola le figure di uomini - si chiamino re, o imperatori, o principi di vario grado, o più modernamente capi di stato o di governo - i quali decidono, spesso in modo arbitrario se non violento, le sorti dei loro simili. Il nostro vocabolario non dispone di un termine adeguato per esprimere il concetto della festa di oggi, per designare una sovranità che travalica i limiti della geografia e della storia, una sovranità che non si impone ma si propone e dunque non riduce in alcun modo la libertà dei "sudditi", una sovranità che non li strumentalizza per un proprio fine ma anzi ad essi si dona, in vista del loro autentico bene.
Il regno di cui il Cristo è titolare è tutt'altra cosa rispetto ai regni e alle repubbliche di nostra conoscenza; tutt'altra cosa a partire proprio da lui, che se ha portato una corona sulla testa è stata una corona di spine. La differenza risalta anche nel vangelo di oggi (Giovanni 18,33-37). Gesù si proclama re proprio davanti a Ponzio Pilato, vale a dire davanti al rappresentante dell'imperatore di Roma, che soggioga con pugno di ferro la nazione cui anche Gesù appartiene.
Pilato ha su di lui potere di vita e di morte, e non esita a servirsene. Perciò l'auto-proclamazione di Gesù, inerme prigioniero nelle sue mani, assumerebbe i caratteri di una sfida a quel potere, se non fosse seguita da due fondamentali chiarimenti. Il primo: "Il mio regno non è di questo mondo". Dunque i regnanti, e i loro equivalenti moderni, non hanno da temere insidie alla loro autorità; il regno di Gesù è alternativo a quelli terreni, anzi è un regno d'altra specie, in cui non hanno spazio la politica, l'economia, gli eserciti, i confini territoriali, le differenze sociali e così via. Secondo chiarimento: "Io sono re. Per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità", la verità che Dio è Padre e ama allo stesso modo tutti i suoi figli, e a tutti offre la possibilità di vivere per sempre felici con lui. Gesù ha testimoniato questa verità, dimostrando col dono di sé sino a che punto si protende l'amore del Padre, e insegnando come corrispondervi sin da adesso, da questa vita.
La verità, nel mondo terreno, sta nell'impegno a vivere come Gesù insegna. Quanti più uomini la accolgono, tanto più questo mondo cambierà, tanto più si allontaneranno le violenze brutali e si affermeranno la giustizia e l'amore. Per questa via, il regno di cui Gesù Cristo è il re incide sui regni terreni: non per scalzarli, ma trasformandoli dall'interno. Proviamo pensare a un mondo in cui tutti seguono gli insegnamenti di Gesù, non imposti ma liberamente accettati: non ci sarebbero più tribunali e carceri, intrighi e corruzione, privilegi e miseria, violenze e soprusi; non servirebbero più gli eserciti e neppure i confini, perché tutti gli uomini vivrebbero coerenti con quello che sono, fratelli.
Un tale mondo è quello che si prospetta dopo questa vita; ma la figura del Re incoronato di spine, dell'inerme uomo inchiodato a una croce, è un potente richiamo a impegnarsi perché questo mondo terreno somigli il più possibile a quello che troveremo di là. "Venga il tuo regno", ci ha insegnato a chiedere lo stesso Gesù, e la richiesta seguente suggerisce il come: "Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra". Il regno di cui Cristo è il re si instaura anche quaggiù, tanto quanto gli uomini impareranno a vivere secondo il suo esempio.