Omelia (13-12-2015)
padre Gian Franco Scarpitta
Convertitevi, rallegratevi e fate il bene

Siamo alla terza Domenica dell'Avvento, contrassegnata con il colore rosaceo, che indica la gioia speciale dell'attesa e la bellissima prospettiva della prossimità del Signore che viene. Giovanni Battista, ancora oggi protagonista nella pagina evangelica odierna, ci rassicurava la settimana scorsa, facendo eco al profeta Isaia: "Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio" con una promessa di futura gioia e di liberazione dai vincoli del male e l'instaurazione della giustizia universale. Accanto alla promessa ci chiedeva però anche un impegno: "convertitevi; preparate la via del Signore, raddrizzate i vostri sentieri. Se da una parte Dio promette e si adopera per l'uomo, dall'altra l'uomo dev'essere altrettanto sollecito nei riguardi di Dio, quindi non può che accogliere il monito al cambiamento e alla conversione optando definitivamente per la rettitudine, la giustizia e per la pace, prerogative del Regno di Dio. Una volta lanciato il duplice appello suddetto, Giovanni si trova a dover rispondere a una serie di domande che da più parti gli vengono poste, tutte in senso pratico e immediato: "Che cosa dobbiamo fare?" Un interrogativo proprio di chi è stato colpito direttamente da un messaggio o da una realtà che lo ha affascinato, di chi è stato toccato nel suo atteggiamento e nella sua sensibilità, che è stato conquistato da un fascino inesorabile e che adesso vuole reagire, contribuire e dare del proprio. La domanda è infatti pertinente su cosa si debba concretamente fare per raddrizzare i propri sentieri e ravvedersi dalla propria condotta perversa. Pronta è la risposta del nostro uomo, così avvinto in prima persona dalla novità di vita che viene ad apportare il Cristo: occorre mettere in atto la legge dell'amore nelle cose più concrete, esercitando cioè la carità non irta di poesia o di vuoto sentimentalismo ma concreta e tangibile nella sua realtà più cruda. Occorre insomma darsi alle opere di bene soprattutto nei confronti dei bisognosi e degli indigenti, il che non richiede particolari eroismi se è vero che garantisce al contempo la salvaguardia delle proprie necessità personali: "Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; chi ha da mangiare, faccia altrettanto." Come diceva una vecchia canzone: "Si può dare di più, senza essere eroi" e in definitiva a tutti è possibile essere generosi mostrando concreti segni della propria conversione a Dio nel servizio dei poveri e dei bisognosi. Ai soldati che chiedono anch'essi che cosa concretamente voglia dire conversione, Giovanni lancia il monito a non abusare della propria posizione per recare danno al prossimo: Non estorcete nulla a nessuno, contentatevi delle vostre paghe. Evidentemente doveva trattarsi di una categoria tutt'altro che avvezza alla generosità, che probabilmente era abituata a prevaricare sui poveri e sui deboli, forte del suo rango e della sua altisonante posizione e anche abituata a maltrattare le persone. Ad essi viene chiesto quanto anche Paolo suggerisce: "Chi era solito rubare non rubi più, ma piuttosto si affatichi a lavorare onestamente con le proprie mani."(Ef 4, 28), risolvendo che ci si deve astenere da ogni forma di furto o disonestà. Ciò che è indispensabile è insomma fare il bene ciascuno secondo le proprie possibilità e le proprie condizioni, chi smettendo le abitudini perverse e disoneste, chi cercando di assumerne di nobili. Come sempre si è detto, resta per implicito che le buone opere debbano essere frutto di un processo di maturazione umana e spirituale che noi chiamiamo conversione, che porti a concepire il bene come reale alternativa di salvezza e di realizzazione da scegliersi rispetto a tutti gli altri espedienti, per il quale viene interpellata la nostra coscienza nella rettitudine morale. Soprattutto il bene è frutto della convinzione dell'amore di Dio e della necessità di dover dare a lui tutta l'esclusiva. Se non ci si convince dell'amore di Dio, come si può infatti esserne apportatori agli altri per mezzo di concrete opere di bene? Il Battista ci invitava quindi in un primo momento a "raddrizzare i nostri sentieri" e a spianare le vie del Signore inducendoci a optare per una radicale trasformazione di noi stessi pensieri, parole e opere verso Dio, a trasformarci così interiormente per abbandonare le false consuetudini; ora ci invita ai frutti della conversione, che consistono nient'altro che nell'efficienza delle buone azioni e della generosità verso il prossimo. Del resto non è mai possibile vivere con serenità l'attesa del Dio che viene quando si omette di considerare le necessità altrui: se aspettare la venuta di Dio è un fatto di gioia, questa prospettiva non sarà mai possibile finché sappiamo che tanti altri fratelli vivono l'angoscia della fame, dell'abbandono e della disperazione... Non si può mai vivere serenamente la gioia sapendo che per altri la gioia è preclusa dall'afflizione e dallo spettro di tanti mali, e per questo non potremo mai vivere in pienezza il Natale senza aver alzato un solo dito a favore di chi soffre. L'avvento, appunto perché tempo privilegiato di interiorità e di conversione è anche tempo di carità e di condivisione, per il quale non possiamo non interessarci dei bisogni degli altri, almeno con una sola opera di carità verso i bisognosi. Destinare una parte dei nostri averi ai bisognosi con un cuore trasformato dalla misericordia, vuol dire davvero prepararsi al Natale. Scrivendo ai Filippesi, San Paolo invita a "non angustiarsi per nulla e a rallegrarsi nel Signore perché Questi è vicino e ogni angoscia va evitata: ("Ve lo ripeto, rallegratevi" Fil 4, 4 - 6) ma questo potrà concretizzarsi non senza che diamo conforto, coraggio e fiducia a chi a rallegrarsi è impedito. La gioia del Signore è infatti amore e condivisione, apertura e considerazione delle necessità degli altri e solamente nella carità affretteremo la venuta del Signore a noi.