Omelia (24-06-2007)
mons. Ilvo Corniglia


L'unica nascita che la Chiesa celebra nella sua liturgia, dopo il Natale di Gesù e la Natività di Maria, è la nascita di Giovanni Battista. Segno dell'importanza straordinaria che la Chiesa attribuisce alla figura di Giovanni nella storia della salvezza. Tale venerazione della Chiesa nei confronti del Battista non è recente, ma affonda le radici nei Vangeli stessi, i quali riconoscono un ruolo singolare, anzi unico, a Giovanni:
È il messaggero inviato da Dio: "E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell'Altissimo". Così canta il vecchio padre che ha ricuperato la parola alla sua nascita [Lc 1,76].
Il profeta che prepara la venuta del Messia. Lo annunzia ormai prossimo, chiama tutti alla conversione perché gli offrano una degna accoglienza. Dispone il popolo a ricevere "Colui che viene". Anzi, lo indica presente: "Ecco l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo" (Gv 1,29).
Il IV Vangelo col suo linguaggio originale parla di Giovanni come di "un uomo venuto da Dio...per rendere testimonianza alla Luce", che è Gesù (Gv 1,7-8). Tutta l'attività e l'esistenza di Giovanni si esprimono e – potremmo dire – si esauriscono nell'essere testimone del Cristo. È stato definito un indice puntato su Cristo. Egli vive solo per questo. Per dire a tutti che l'unico a cui bisogna guardare è Gesù, l'unico da cui aspettarci la soluzione di tutti i problemi è Gesù. L'unico che compie i nostri sogni e desideri di vita, di libertà, di comunione piena, e lo fa in misura sovrabbondante e superiore ad ogni attesa, è Gesù. L'Unico Necessario, l'Unico che ci fa felici. "Cristo non toglie nulla e dona tutto" (Benedetto XVI). Questa testimonianza di Giovanni ci raggiunge oggi attraverso i Vangeli, che la Chiesa proclama, e vorrebbe contagiare anche a noi la medesima "passione d'amore" che lo lega a Gesù. Giovanni cerca appunto di distogliere l'attenzione della gente da se stesso per dirottarla e concentrarla esclusivamente su Cristo. Diceva: "Io non sono ciò che voi pensate che io sia! Ecco, viene dopo di me uno, al quale io non sono degno di sciogliere i sandali" (Atti 13,25: II lettura)
Giovanni è tutto attratto, calamitato da Colui che sta per venire. Sente che tra lui e Cristo c'è una distanza abissale: non è degno neppure di offrirgli l'umile servizio dello schiavo (quello di slacciare i sandali del padrone). Ma si coglie anche l'amore tenero e profondo che lega Giovanni a Gesù, per cui a Giovanni interessa soltanto che Gesù si affermi e che la gente aderisca a Lui. Giovanni è uno che ha capito chi è Gesù. È tutto relativo a Gesù. La sua persona, la sua esistenza e la sua attività trovano in Gesù il loro cardine, la loro spiegazione. La festa di Giovanni, la gioia di Giovanni si chiama Gesù. È così anche per me?

Testimone, profeta "a prezzo della vita".
Giovanni annuncia coraggiosamente la verità anche davanti a un potente, contestando, condannando la sua condotta morale e paga appunto questa sua audacia con la vita. Ma "la sua testa parla con maggior vigore quando è sul vassoio del carnefice di quanto lo facesse quando era attaccata al corpo" (d. Primo Mazzolari). Così Giovanni con la sua morte preannuncia quella di Gesù, col suo martirio anticipa quello di Gesù. È in questo modo che il suo rapporto col Cristo raggiunge il vertice. Dio non può non essere fiero e felice di un servitore così fedele. Sembra appropriato applicare a Giovanni l'affermazione di un grande filosofo cristiano, Kierkegaard: "Quando il testimone della verità arriva alla morte, dice a Dio: Grazie per tutte le sofferenze che mi hai dato. Grazie a te, infinito Amore! E Dio gli risponde: Grazie, amico mio, per l'uso che ho potuto fare di te!".
L'incontro con Giovanni, allora, provoca in noi un'attenzione rinnovata a Gesù. Si tratta di "contemplare il volto di Gesù...La nostra testimonianza sarebbe insopportabilmente povera se noi per primi non fossimo contemplatori del suo volto" (NMI 16).

Il racconto evangelico di Luca evidenzia alcune note caratteristiche sulla nascita di Giovanni.
Anzitutto, la gioia e la lode riconoscente. In particolare commuove il giubilo esplosivo del vecchio padre che, ricuperato l'uso della lingua, "parlava benedicendo Dio". Una gioia contagiosa: "si rallegravano con lei" (la madre Elisabetta). Una certa cultura che oggi tende a dilagare sembra diffidente e allergica nei confronti della gioia di cui ogni nascita è sorgente. "La gioia perché è venuto al mondo un uomo", come afferma Gesù (Gv 16,21). È superfluo rimarcare la tragedia abissale che si nasconde sotto questa tendenza. In realtà ogni bimbo che nasce porta una ventata di primavera, di novità, di freschezza, di ottimismo, di speranza, in una famiglia e nell'intera famiglia umana. Ogni bimbo che nasce è "un messaggio che Dio non è ancora stanco degli uomini" (Tagore). Ogni bimbo che nasce è un amore divenuto persona: l'amore degli sposi e genitori, l'amore di Dio che comunica la vita a un nuovo figlio e in ogni bimbo vede un riflesso del suo unico Figlio. Abbiamo così un forte richiamo a riconoscere, difendere, promuovere il valore e il dono di ogni vita umana.

Ma la nascita di Giovanni è un "lieto evento" in senso specifico, in quanto questo bambino è un dono di Dio tutto particolare, per il ruolo determinante che svolgerà nella storia del rapporto di Dio con gli uomini. Questa nascita inaugura il tempo finale della salvezza che Dio aveva promesso. Precede di poco la nascita del Salvatore. Si avverte già l'eco dell'annuncio risuonato nella notte di Natale: "Io vi annuncio una grande gioia: oggi vi è nato il Salvatore" (Lc 2,11)
Il motivo di tale gioia è racchiuso nel nome stesso che i genitori hanno deciso di dare al bambino: Giovanni. Tale nome significa: il Signore è misericordia. Questo nome è tutto un programma. È già un...concentrato del Vangelo, la "Buona Notizia". Ha inizio il tempo in cui la misericordia di Dio sta per dilagare e assumerà un volto visibile in Gesù. Il bimbo di Elisabetta, crescendo, realizzerà pienamente il significato del suo nome. Ma di ogni cristiano si dovrebbe dire: Giovanni è il suo vero nome. Nel senso che si affida incondizionatamente alla misericordia di Dio. Misericordia che perdona e dopo ogni colpa mi dice: "Coraggio! Ora puoi ricominciare. Io sono con te!". E nel senso che, esercitando la misericordia in tutte le sue forme e sfumature concrete, manifesta a tutti il vero volto del suo Dio e Padre, che è l'infinitamente misericordioso.

Sulla culla del neonato Giovanni i genitori e parenti facevano progetti. Soprattutto Dio faceva il suo sogno e il suo progetto, che quel bambino avrebbe realizzato alla perfezione. "Dal grembo di mia madre tu mi hai chiamato" (Sal resp.). Penso mai che, quando son nato, il primo a gioire è stato Dio e anche su di me ha concepito da sempre un disegno? Questo disegno riguarda il mio rapporto col suo Figlio Gesù. Un rapporto da costruire fino alla perfezione della fede e della carità, in una vita spesa a testimoniare Cristo, come Giovanni, ad annunciare ad ogni uomo che il Salvatore è venuto e desidera incontrarlo per farlo felice. Sono consapevole di tale progetto? Cerco di scoprirlo meglio? Mi sento responsabile? Il sogno di Dio sta diventando a poco a poco anche il mio?

Giovanni Paolo II molti anni fa a Genova, parlando ai giovani, con un linguaggio suggestivo aveva richiamato questo progetto del Signore su di loro e su ciascuno: "Non lasciatevi andare, ma prendete la vostra vita nelle vostre mani e decidete di farne un personale e autentico capolavoro".
Lavorare a questa impresa significa dare gioia a Dio, fare felici gli altri, assicurare e preparare la nostra stessa felicità.