Omelia (09-02-2003) |
don Fulvio Bertellini |
Il nemico da non cercare Il bisogno di un cattivo Ha destato recentemente polemiche, riguardo all'ultima fiction su Papa Giovanni diffusa dalla TV, la scelta di "inventare" un inesistente cardinal Carcano, a fungere da "cattivo". Esigenze della fiction, si è detto: bisogna che ci sia il buono e il cattivo, e che i due siano chiaramente riconoscibili, e che la lotta fra i due faccia da filo conduttore. Comprendiamo le esigenze della messinscena televisiva: non è una rigorosa ricostruzione storica, ma appunto una "finzione" scenica, che deve raccontare una storia, attrarre lo spettatore, proporre schemi facili e riconoscibili. Strana però l'esigenza di "inventarsi" dei cattivi. C'erano i nazisti; c'erano le guerre, le bombe atomiche, la fame nel mondo... non era abbastanza, c ome "cattivo di turno"? Il nemico di Gesù Non stiamo divagando, ma stiamo entrando in uno dei temi fondamentali del Vangelo di questa domenica. Chi è il "cattivo" che deve affrontare Gesù? Non è nessuna delle persone che incontra. E l'evangelista non sente il bisogno di inventarselo. Davanti a Gesù si stende una massa di persone malate, sofferenti, indemoniate, di cui egli si prende carico. Tutta la città è riunita davanti a lui, per essere liberata dal male. E' il male nella sua concretezza il nemico di Gesù. Tanto che si parla anche di una sua quasi personificazione: i demoni, il maligno. Ma restano sempre sullo sfondo: Gesù non li lascia parlare, non li lascia mai invadere la scena, non entra neppure in dialogo con loro. In primo piano vediamo Gesù e le persone sofferenti, nell'oscurità della notte. Il resto sbiadisce. La casa e la città La lotta di Gesù contro il male e la sofferenza alle porte della città è preceduta da una scena familiare: Gesù che entra in casa di Simone, sente parlare della suocera malata, la solleva, la guarisce; e lei si mette a servirli. Tutto comincia quindi dall'intimità della famiglia: la famiglia di Simone, a cui si aggiungono i soci Giacomo e Giovanni. Ma non sono più soltanto compagni di lavoro: sono condiscepoli. Condividono la chiamata di Gesù. Anche il caldo ambiente familiare è minacciato dal male: non qualcosa di grande, una febbre fastidiosa, comunque debilitante, che espone all'incertezza e alla paura. Nel piccolo della casa di Simone si svolge una piccola lotta contro il male, e si ha una anticipazione, in piccolo della Chiesa, dove l'essere liberati da Gesù conduce al servizio. Poco dopo l'intera città si raduna, per portare i malati di fronte a Gesù. Cambia soltanto l'aspetto quantitativo, ma restano in campo tutti gli elementi già considerati: Gesù diventa fattore di coesione, intorno a lui si genera comunione, solidarietà, la città riscopre e rinsalda i legami di fraternità. Davanti a Gesù si radunano tutte le sofferenze, quelle che impediscono una vita piena. E Gesù libera dal male, per introdurre nel Regno di Dio. L'eterna lotta tra il bene e il male La fiction televisiva ha bisogno di inventarsi dei nemici. Anche la propaganda politica - e ce ne accorgiamo oggi in tempo di quasi-guerra: Saddam è l'impero del male per gli americani, gli americani probabilmente lo sono per gli iracheni. La guerra contro il nemico è costosa e impegnativa, e affidata agli specialisti: noi a casa dobbiamo solo fare da spettatori. Anche la lotta contro le malattie è affidata agli specialisti della scienza, e noi dobbiamo solo starcene a casa, a guardare la TV e fare le offerte per la ricerca. L'eterna lotta tra il bene e il m ale è oggetto di decine di film che ci proiettano davanti agli occhi eroi irraggiungibili: dobbiamo solo restarcene in poltrona a guardarli. Il Vangelo a volte ci appare molto meno eccitante di un film, e una ragione c'è: manca il nemico. O non è così chiaro e cattivo come lo vorremmo, come ci hanno abituato. Ma il Vangelo non lo capisce chi resta in poltrona a guardare. Via dalle poltrone Rileggendo attentamente una serie di verbi continua a ricorrere: andare, uscire, entrare, andarsene... Gesù non sta mai fermo. Entra in una casa, e lì trova la malattia. Esce di casa, e lì trova i malati e gli indemoniati. Esce di casa la mattina presto, e pregando vede i villaggi vicini, il mondo intero forse che attende di essere liberato dal male. Mentre noi ci inventiamo i nemici, per starcene in poltrona e fare a meno di affrontarlo, Gesù si muove continuamente e ha il coraggio di incontrare e guardare in faccia il male. Lo stesso male che è vicino a noi, fastidiosamente a portata di mano. La malattia, la sofferenza, la fame, la solitudine, l'ingiustizia, sono alla nostra porta. Gesù chiama noi a lottare contro questo male, come scuote i discepoli dalla loro facile voglia di successo: "Andiamocene altrove, per i villaggi vicini, perché io predichi anche là: per questo infatti sono venuto". Non per perpetuare l'eterna lotta tra il bene e il male. Ma per vincere la quotidiana lotta contro il male che incontriamo. E che, se non ci destiamo dal torpore, può prendere il nostro volto di indifferenza e di insensibilità. Flash sulla I lettura "Non ha forse un duro lavoro l'uomo sulla terra?". Il termine ebraico indica, più che il lavoro, il servizio militare mercenario: è l'immagine guida per comprendere le varie metafore che si accavallano in questo splendido brano lirico. Il mercenario combatte per vivere, ma non ha lo slancio del cittadino che difende la patria: è costretto a combattere per necessità, senza eroismo, senza neppure poter capire le motivazioni di ciò che è stato deciso da altri. "Come lo schiavo sospira l'ombra": probabilmente l'allusione è all'addetto ai lavori forzati, sotto il sole cocente, che desidera ardentemente di potersi riposare per un attimo al fresco. L'immagine rafforza quella del mercenario. "Notti di dolore mi sono state assegnate". Si tratta di una amara riflessione sulla durezza della condizione umana, che coinvolge tutti: tutti incontrano qualche volta, sotto qualche forma, il "male di vivere": nella malattia, nell'affanno quotidiano, nell'esperienza della delusione e del tradimento. "Ricordati che un soffio è la mia vita": imprevedibilmente la dolente riflessione di Giobbe sfocia nella preghiera, nella ricerca di un rapporto personale e diretto con Dio. Ma questo è possibile solo all'uomo che guarda in faccia la sua situazione, e non si adatta a facili evasioni e scappatoie. La nostra epoca è caratterizzata appunto dalla ricerca di tutti i mezzi possibili per evitare lo scontro radicale con la fragilità della condizione umana. Flash sulla II lettura "Guai a me se non predicassi il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla mia ricompensa..."Anche qui ricorre l'immagine del salario e della ricompensa, in una specie di contrappunto con la prima lettura. Paolo ha trovato il senso della sua vita, pur continuando a conoscerne la difficoltà, e anzi moltiplicando i problemi. Paolo si sente quasi un mercenario, o un addetto ai lavori forzati, al servizio della Parola di Dio. Ma il suo salario è paradossale: poter predicare il Vangelo gratis! Non ha bisogno di un salario o di gratificazioni supplementari: basta la genuinità del suo rapporto con Dio. "Mi sono fatto debole con i deboli...tutto io faccio per il Vangelo...": all'assoluta gratuità nei confronti di Dio, corrisponde la libertà nei confronti dei fratelli. L'atteggiamento di Paolo non è di compiacenza, ma il pieno rispetto dell'altro, che nasce dal Vangelo stesso. Paolo passa in secondo piano: in primo piano è l'incontro tra la Parola di Dio e i suoi figli, in qualunque situazione essi siano. |