Omelia (09-02-2003) |
mons. Antonio Riboldi |
Andiamocene altrove... e tu ci vai? Ci fu un tempo, e forse lo è ancora, in cui era di moda chiedere a tutti, cristiani compresi, di tuffarsi nel cosiddetto "sociale": ossia non solo di interessarsi dei problemi "spiccioli", che sono la ferialità della vita, come il problema della miseria, della disoccupazione, e di senza tetto od oggi diremmo degli immigrati, ma di immergersi con coraggio nelle problematiche della società. In altre parole si chiedeva ai cristiani, e quindi alla Chiesa di avere il coraggio di sporcarsi le mani con quella che normalmente si chiama "politica", ossia il bene comune per tutti. Un bene che abbia il suo vertice nel promuovere la dignità ed i valori della persona, compresa la giustizia, il lavoro e quanto altro è bene. Si aveva come l'impressione che in questo discorso il grande bene dell'uomo, ossia la sua santità, che è il fine che Dio Padre ci ha donato e che sola dà la pienezza della nostra esistenza, fosse come un fine di seconda mano, non importante come i beni materiali. Era come affermare che il corpo valeva più dell'anima. Sempre che sia possibile dividere l'uomo. E se vi ricordate si amava scrivere sui muri: "Meno chiese, più case". Un ritornello, confesso, che a me, in quei tempi impegnato ad essere voce dei senza voce, che erano le migliaia di terremotati condannati per anni a vivere o sopravvivere nelle fatiscenti e indegne baracche, appariva irrispettoso dell'uomo, "gloria del Dio che vive". Era sicuramente un mio dovere pastorale prendere a cuore le speranze e le sofferenze dei miei fratelli in baracca, ma sentivo che il mio amore di sacerdote non poteva e non doveva finire lì. Ricordo che un giorno, quando la ricostruzione era oramai avviata e si vedevano quartieri abitati, venne un uomo nella mia baracca ed espresse tutto il suo sconcerto nel vedere che facevo nulla per costruirmi una casa, e la Chiesa. "Voi preti, mi diceva, siete potenti: siete amici del Governo del Vaticano e sicuramente se lei chiede casa e chiesa le vengono date subito". Non smentii quella errata convinzione. Non sarei mai stato creduto, per la convinzione, che si ha in tanti, che noi sacerdoti abbiamo tale potere su Governo e Vaticano. Risposi: "Sarà vero, come dice lei, ma io sto bene in questa scomoda baracca, fino a quando tutti voi avrete una casa. La Chiesa c'è ed è la più bella l'uomo possa immaginare: stupenda, ricca di tutto, insomma un vero Paradiso. Per quanto riguarda la casa, quella la sto con fatica mettendo in piedi...ma impiegherò tutta la vita. "Dove intende costruirla? Se non da noi qui, la farà a Milano dove è nato? A Roma? O dove?" Risposi: in nessun luogo o posto di questa terra, perché con il tempo e le avversità rischia di andare persa presto. Il suo posto è in Cielo, dove durerà per sempre. Le pietre che uso sono la mia fede, quella battaglia di carità che porto avanti da anni, perché voi abbiate una casa qui, quella speranza che mi sostiene e soprattutto le mie preghiere. Queste sono "pietre eterne", per una "casa eterna". Gesù oggi ci insegna proprio questo. Racconta il Vangelo di Marco: "Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portarono tutti gli ammalati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demoni: ma non permetteva ai demoni di parlare perché lo conoscevano. Al mattino si alzò, quando era ancora buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce e, trovatolo, gli dissero: "Tutti ti cercano!" Egli disse loro: "Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi là: per questo infatti, sono venuto!" E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni (Mc.1,30-39). Commuove davvero la carità di Gesù, Figlio di Dio, che, nel suo viaggio divino tra gli uomini, per predicare il Regno del Padre, che era la missione essenziale della sua presenza tra di noi, sa mostrare l'amore, accogliendo gli u1timi, quelli che erano afflitti da sofferenze fisiche e morali, e a tutti dà conforto. Apre a noi la via dell'amore, quell'amore su cui saremo giudicati. "Avevo fame e mi avete dato da mangiare..." E non si risparmia in questo dare un segno dell'amore che Dio ha per tutti noi, anche nelle nostre necessità materiali. Sta tutta la notte con chi ha bisogno di Lui. Poi - e qui davvero mette in discussione la nostra pigrizia, che a volte preferisce l'essere comodi anziché sacrificarsi - si ritira tutto solo a pregare. E quando i discepoli Lo rintracciano, non gli chiedono se ha riposato abbastanza, ma credono di riportarlo all'opera con una frase che noi uomini vorremmo sentirci forse dire sottile tentazione dell'orgoglio: "Tutti ti cercano". E' invito al protagonismo, tanto diffuso. Ma Gesù "sveglia" i suoi e ricorda loro il perché della sua missione: "Andiamocene altrove per i villaggi vicini perché io predichi anche là: per questo io sono venuto!" Più chiara di così Gesù non poteva essere. Più chiara di così non potrebbe essere anche la missione della Chiesa e dei cristiani. Giustamente la Chiesa, sempre e dovunque, è impegnata a stare a fianco dell'uomo, che vive di gioie e speranze, angosce e sofferenze: non le è permesso di chiudere gli occhi o di tenere le mani in tasca: di fronte ai grandi problemi della gente, oggi e sempre. Soprattutto oggi, in cui la pace è in pericolo e si vorrebbe forse che prevalga la guerra. Deve farsi carico delle grandi malattie dell'uomo, che si tenta di offendere in mille modi, dall'attentato al bene supremo della vita, alla demolizione del matrimonio, alla corsa frenetica verso la ricchezza, causa principale della povertà nel mondo, dalla mancanza sempre montante della illegalità e via dicendo. "Per amore del mio popolo non tacerò", diceva Isaia profeta: e noi Vescovi della Campania abbiamo urlato contro la criminalità organizzata. Nessun uomo può sottrarsi ad operare il bene comune. E la Chiesa deve sapere stare per le strade, i marciapiedi, dove si accampano gli uomini, rifiutati dalla giustizia e dalla carità. In altre parole, non deve essere solo "la croce rossa" che soccorre i feriti dell'egoismo umano, ma deve sapere fare sentire voce e presenza nella cosiddetta politica, ossia nel promuovere il bene comune... Ma sempre, come Gesù, non fermarsi a questo, ma aiutare l'uomo ad alzare il capo verso l'alto, ossia a vederci vicini nel viaggio verso la santità, verso il Cielo. E' in questo camminare verso il cielo che trova il posto la carità e l'uomo, come nella parabola del buon samaritano, l'uomo lasciato semivivo sulla strada dai briganti, trova, nella compassione del samaritano e nella sua immensa carità, il ritorno alla vita. L'indifferenza non è assolutamente degna del cristiano. E' questo il tempo di rimboccarci le maniche...ma sempre come Gesù, rispettando quell'arte di "costruire una casa che non cada mai" in Cielo. Voglio offrire a voi amici questo "credo" di Martin Luther King: Oggi, nella notte del mondo e nell'attesa della Buona Notizia, io affermo con forza la mia fede nel futuro dell'umanità. Rifiuto di credere che nella situazione attuale, gli uomini non siano capaci di migliorare la terra. Rifiuto di credere che l'essere umano sia un fuscello di paglia trasportato dalla corrente, senza la possibilità di influire minimamente sul corso degli eventi. Credo che la verità e l'amore senza condizioni avranno l'ultima parola. Credo fermamente che, anche tra le bombe che scoppiano e i cannoni che sparano, resta viva la speranza di un domani più sereno. Oso credere che un giorno tutti gli abitanti della terra riceveranno tre pasti al giorno per nutrire il corpo, istruzione e cultura per nutrire lo spirito, uguaglianza e libertà per una convivenza più umana. |