Omelia (14-07-2007)
mons. Vincenzo Paglia


"Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima" (Mt 10,28). L'evangelista Matteo, mentre riportava queste parole di Gesù, aveva probabilmente davanti agli occhi l'esperienza della sua comunità sottoposta a forti contestazioni. E voleva rassicurarla. Il Signore non abbandona i suoi discepoli. Anzi, chiunque spende la sua vita per il Vangelo riceve le consolazioni del Signore, soprattutto se deve affrontare difficoltà e prove. Non è mai stato semplice e lineare per la comunità cristiana predicare il Vangelo della croce e della resurrezione. Ma cosa vuol dire per noi questa esortazione evangelica a non aver paura e a non temere gli uomini, dal momento che non viviamo in un tempo di persecuzione? Forse però è proprio qui il problema. E' vero che i cristiani non sono uccisi – sebbene non mancano i martiri anche oggi – ma è facile che vengano indeboliti nel cuore; è facile cioè che non abbiano l'audacia e il coraggio di credere al Vangelo come forza di cambiamento e di salvezza. Un cristianesimo rinunciatario, che non sa sperare per un mondo di pace, è, appunto svilito nella sua forza. Talora è facile pensare che il Vangelo ci chieda una vita in ribasso, fatta solo di rinunzie, senza un reale interesse per noi, e alla fine inefficace per la società. Tutt'altro. Il discepolo che segue la via del Vangelo non si perde, Dio lo sostiene: "Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri!". Questa attenzione amorevole del Signore diviene anche compagnia nella battaglia per la comunicazione del Vangelo sino ai confini della terra.