Omelia (28-07-2007) |
mons. Vincenzo Paglia |
La parabola della zizzania è stata forse tra le parole evangeliche decisive in alcuni momenti storici quando maggiormente gli uomini religiosi videro minacciati i diritti della verità e sentirono l'esigenza di difenderli. Si può dire che una lunga vicenda di guerre di religione, condotte da cristiani, abbiano trovato principalmente in questo testo scritturistico un ostacolo capace di indurre riflessioni, ripensamenti e dubbi. Il padrone del campo, infatti, ha un comportamento assolutamente singolare. Egli si rende conto che un nemico ha seminato la zizzania là dov'egli aveva seminato il seme buono. Eppure, ai servi che gli fanno notare l'accaduto, impedisce di tagliare l'erba cattiva fin dall'inizio. Perché questo padrone ferma lo zelo di quanti in definitiva vogliono solo difendere l'opera sua? La domanda ci introduce nel mistero dell'amore di Dio che è più grande delle nostre logiche. Potremmo dire che da questa parabola inizia la storia della tolleranza cristiana, perché secca in radice l'erba malvagia del manicheismo, della distinzione tra buoni e cattivi, tra giusti e ingiusti. In essa c'è non solo l'invito ad una illimitata tolleranza, ma persino al rispetto per il nemico, anche quando fosse nemico non solo personale ma della causa più giusta e più santa, di Dio, della giustizia, della nazione, della libertà. Questa parabola, così lontana dalla nostra logica e dai nostri comportamenti, fonda una cultura di pace. Oggi, mentre proliferano tragici conflitti, questa parola evangelica è un invito all'incontro e al dialogo. Tale atteggiamento non è segno di debolezza e di cedimento. E' concedere ad ogni uomo la possibilità di scendere nel profondo del proprio cuore per ritrovare l'impronta di Dio e della sua giustizia. |