Omelia (16-02-2003) |
Paolo Curtaz |
Guariti dentro Gesù e il lebbroso si trovano di fronte; un incontro drammatico, specialmente per ciò che il lebbroso rappresentava nell'immaginario collettivo di Israele. La lebbra era sì una terribile malattia della povertà, era invalidante, recideva dalla comunità, creava una separazione insanabile ma era soprattutto il segno del peccato. Un crudele quanto efficace ragionamento (allora!meno male che ora non è più così!) attribuiva la malattia al peccato, il male rappresentava una punizione di Dio per un peccato commesso; quale terribile peccato doveva aver commesso un lebbroso! Egli era, perciò, guardato con diffidenza, non suscitava compassione, né tenerezza: era in fondo causa del suo male. E' un po' la reazione che anche noi proviamo nei confronti di coloro che sbagliano: un tossico non se l'è forse andata a cercare? Una persona superficiale nella sua affettività non merita forse di restare da sola? Perché questo straniero è venuto qui a vivere nella miseria, non poteva restare a casa sua? Tutte ragioni, allora come oggi, sensate ma lontane anni luce dal (vero) cuore di Dio! Il lebbroso ne è consapevole, in fondo pensa davvero di essere colpevole della sua malattia, la sua richiesta è debole, timida, non osa disturbare il Rabbì, non ha molto da chiedere. "se vuoi" dice. Osa chiedere, ma senza insistere; forse anche lui pensa che per rivolgersi a Dio bisogna essere a posto, puliti, presentarsi a Dio con le carte in regola. Gesù, al vedere il lebbroso non prova "compassione" come elegantemente tradotto nelle nostre Bibbie ma, letteralmente si sente contorcere le interiora, segno ambiguo di spavento, rabbia e compassione. Sì, Dio prova rabbia nel vedere l'azione del male, ancora afferma che la malattia non è premio o punizione ma frutto di un disordine che contagia l'umanità come conseguenza del peccato originale, il delirio dell'uomo che si prende per Dio. Gesù è venuto a ristabilire quest'ordine, a riportare l'uomo alla visione esatta di se e degli altri, a guarire l'uomo da tutte le diffidenze e le lontananze, in Dio non esistono persone lontane dalla comunità! Gesù interviene, avrebbe potuto pronunciare una parola, guarirlo all'istante. Invece Gesù stende la mano, lo tocca. Gesto gravido di profezia: Gesù, secondo le norme religiose del tempo, contrae impurità, si contagia del peccato di quell'uomo. Dio si sporca le mani, non sta alla finestra a guardare, Dio non giudica, interviene, Dio non ha la puzza sotto il naso, non ragiona, agisce d'istinto, di passione: prende su di se il peccato dell'uomo, se ne fa carico, ne assume la sofferenza. Il contagio ora avviene, ma al contrario: è Gesù che contagia l'uomo con il suo amore, è lui ora che gli cambia la vita. La conclusione è sconcertante: il lebbroso, guarito, è invitato al silenzio. Dio non ama passare per una specie di santone, per un elargitore di miracoli, per un potentissimo despota da convincere (e corrompere?). Ecco, amici, questo è il volto di Dio. Un Dio che non si avvicina solo a chi se lo merita che decide di sporcarsi le mani, di mettersi in gioco, un Dio che conosce tutte le solitudini e le lebbre che ci tengono lontani da noi stessi e dagli altri. Viviamo, in questa settimana, nella gioia del dolore assunto da Dio, del suo amore profondo che ci contagia. Paolo ci ha suggerito lo stile: "Fratelli, sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio". In ogni gesto che compiremo viviamo da guariti, da salvati, da toccati da questo amore di Dio che ci mette nuovamente in relazione con i nostri fratelli... |