Omelia (16-02-2003) |
don Roberto Rossi |
Signore, se tu vuoi, puoi guarirmi! In questo testo il vangelo di Marco parla per la prima volta, ma già all'inizio (siamo al cap. I°) della guarigione di un lebbroso. La lebbra era una malattia spaventosa, perché escludeva dalla comunione con il popolo, cioè separava l'uomo dalle sue relazioni con il popolo di Dio. Il lebbroso era escluso dalla società. Il libro del Levitino dice: "Il lebbroso porterà vesti strappate e il capo scoperto, andrà gridando: immondo, immondo... Se ne starà solo e abiterà fuori dell'accampamento". Ancora oggi la paura della lebbra e l'esclusione dei malati di lebbra dai villaggi, dalle famiglie, continua in tanti paesi poveri. Ai tempi di Gesù i rabbini consideravano il lebbroso come morto e pensavano impossibile la sua guarigione. In questo caso è curioso osservare che il lebbroso non esita ad accostarsi a Gesù ed Egli si muove a compassione. Evidentemente Gesù riprovava questa segregazione di cui erano vittime i lebbrosi. Ed ecco il miracolo di Gesù: anche il lebbroso è un uomo, un figlio di Dio, un nostro fratello, con tutti i nostri diritti alla vita, all'assistenza, all'amore. Si impone anche per noi la lotta ad ogni forma di emarginazione, di povertà, di segregazione, di differenze umane e sociali, perché ci si impegni per la dignità di ogni persona, al di là della situazione in cui viene a trovarsi. Alcuni particolari di questa guarigione tradiscono quasi una indignazione di Gesù per la segregazione dei lebbrosi. Gesù "tocca" il malato per dimostrare il suo disprezzo per le leggi disumane vigenti. E' questo un tema che si ripete un po' in tutto il vangelo di Marco, come anche nelle lettere di Paolo: le leggi non sono importanti in sé, ma sono al servizio dell'uomo. Ma Gesù supera la legge con la misericordia: "la legge fu data per mezzo di Mosè, ma per mezzo di Cristo è venuta la grazia". Egli guarisce la lebbra, cioè rimette i peccati e risana l'uomo: è il buon samaritano che non passa accanto al ferito, ma si ferma, ne ha compas–sione, lo carica sul suo giumento e se ne prende cura. E tutta un'altra cosa che lasciarlo nella sua emarginazione! Gesù è anche oggi questo buon samaritano; è anche oggi colui che dice: Lo voglio, guarisci! Questo sperimen–tava la prima comunità che ci ha tramandato il racconto odierno: Gesù salva dal male e salva prendendo su di sé tutti i nostri dolori e le nostre sofferenze. Egli salva, a volte, anche dal male fisico e dalla morte e lo fa perché sappiamo che egli è in grado di salvarci da quel male più profondo e più radicale di tutti che è il peccato. C'è una parte significativa del brano evangelico. Quell'uomo "andò da Gesù", gli si gettò in ginocchio davanti e gridò: "Se vuoi, puoi guarirmi!" C'erano, forse, tanti lebbrosi nascosti nei dintorni; ma si vergognarono di mostrarsi. Questo ha vinto la vergogna e la paura di infran–gere una legge, anche se ingiusta; sapeva che tutti lo avrebbero additato come un peccatore, perché la lebbra era - si diceva - sinonimo e conseguenza di peccato. Perciò, era come se venisse a palesare a tutti il suo peccato a fare una specie di confessione pubblica. Questo aspetto ci fa capire cosa ci chiede il Vangelo di oggi: riconoscerci peccatori, confessare i nostri peccati, chiedere a Gesù di guarirci e di purificarci. "Purificami, Signore, e sarò più bianco della neve... Il mio peccato io lo riconosco... Quello che è male ai tuoi occhi io l'ho fatto". Sono le parole che da secoli - dal giorno che il re David commise il suo grande pec–cato - servono per esprimere questo sentimento profondamente religioso e umano dell'uomo che si chiama pentimento. Gesù disse a quel lebbroso: "Và, presentati al sacer–dote". Il, sacerdote gli poteva rilasciare il certificato per essere riammesso nella comunità. Questa espressione per noi può vuole dire tante volte: "presentati al sacerdote", cioè: confessati! Riconciliati con Dio per mezzo della Chiesa, torna ad essere un membro attivo nella grande famiglia dei figli di Dio! In tutto il miracolo ci colpisce particolarmente quel tocco di amore da parte di Cristo. Egli davvero non si schifa delle nostre umane miserie anche quando sono ributtanti e sporche. La misericordia del Signore non conosce limiti quando è invocata con umiltà e con fede. Il suo amore è sempre più grande del nostro peccato. Non ci scandalizza perciò la disobbedienza del lebbroso guarito: egli non può tacere. Deve proclamare e divulgare il fatto. Quando veniamo beneficati dalla bontà del Signore, è doveroso rendergli gloria ed esprimere con intensità la dovuta gratitudine. In un'altra circostanza dieci lebbrosi furono guariti, ma uno solo tornò a ringraziare il Signore ed egli giustamente domandò: "Gli altri nove dove sono?". Per tutti noi esiste un modo profondo ed efficace per lasciarsi toccare dal Signore; oltre che nella riconciliazione questo avviene nell'eucaristia, quando egli non solo ci tocca per guarirci, ma si immerge totalmente nella nostra persona per assimilarci a sè. Cristo ha compiuto i suoi grandi miracoli nel guarire i malati e i lebbrosi. Cristo può e vuole guarire anche ciascuno di noi dalle nostre debolezze e infermità, fisiche, morali, spirituali. E' il Figlio di Dio, il Salvatore. E' importante che ci rivolgiamo a Lui con fede, come il lebbroso: "Signore, se tu vuoi, puoi guarirmi". Potremo tante volte sperimentare la sua potenza e la sua grazia, quando anche a noi dirà: "Lo voglio, guarisci!". |