Omelia (16-02-2003)
don Elio Dotto
Parole e silenzi davanti alla malattia

"La potenza di questo sacramento, o Padre, ci pervada corpo e anima, perché non prevalga in noi il nostro sentimento, ma l'azione del tuo Santo Spirito" (Messale Romano, Orazione dopo la Comunione della XXIV Domenica del Tempo Ordinario).
Così abbiamo pregato qualche settimana fa nella liturgia: e ci sembrava una supplica davvero attuale, considerando l'importanza che ha il "sentimento" nella nostra vita. Ora di "sentimenti" ci parlano pure i grani biblici di questa domenica: soprattutto l'apostolo Paolo, che nella seconda lettura (Fil 2,1-11) ci raccomanda di avere in noi "gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù" (Fil 2,5). Un tema interessante, dunque, perché proprio di sentimenti noi viviamo ogni giorno, spesso tra contraddizioni e paure.
I nostri sentimenti infatti sono sempre instabili: un giorno siamo alle stelle, e magari il giorno dopo siamo depressi; alla mattina ci alziamo di cattivo umore, e magari alla sera siamo più sereni. Per non parlare poi dei sentimenti che ci legano agli altri, sentimenti che oscillano volentieri dalla simpatia all'antipatia, dall'amore all'odio, dall'affetto alla freddezza.
Appunto così sono i nostri sentimenti: sempre instabili. Noi assomigliamo, in questo senso, ai due figli della parabola del Vangelo (Mt 21,28-32) i quali fanno esattamente l'opposto di quello che dicono: il primo dice sì, ma fa il contrario; il secondo dice no, ma poi cambia idea. Sono in balìa dei loro sentimenti instabili, proprio come accade a noi.
In fondo è questa la debolezza radicale che attraversa la vita di ogni uomo e di ogni donna. È la debolezza di chi guarda il futuro con apprensione, nella speranza di trovare quella promessa che dia finalmente pienezza ai suoi giorni. Spesso però quella promessa appare lontana, irraggiungibile, ed è in quel momento che la stanchezza si fa sentire, e la vita diventa instabile e contraddittoria.
La tentazione allora è quella di nascondere questa umana debolezza, nasconderla agli occhi propri e agli occhi degli altri; e cioè mascherare i sentimenti instabili sotto le apparenze di una vita buona. È quello che facevano gli scribi e i farisei - "i prìncipi dei sacerdoti e gli anziani del popolo" - che davanti alla predicazione di Giovanni e di Gesù non seppero pentirsi e cambiare vita. Essi si ritenevano giusti, e forse compivano anche opere giuste: l'apparenza in questo modo era salva, ma i loro sentimenti rimanevano instabili e contraddittori come quelli di tutti.
Ben diverso invece era l'atteggiamento dei pubblicani e delle prostitute, che subito avevano creduto alla predicazione di Giovanni e di Gesù: non mascherarono l'instabilità dei loro sentimenti e della loro stessa vita, ma si lasciarono trasformare dalla novità del Vangelo. Essi sapevano di essere peccatori, ma in questo modo erano anche capaci di aprire il cuore all'unico Signore che avrebbe potuto salvarli.
Allo stesso modo possiamo fare noi, afflitti come siamo dall'instabilità dei nostri sentimenti. Perché anche noi possiamo aprire il cuore alla novità del Vangelo, e dunque lasciarci guarire dalla Parola di Gesù. Anche noi possiamo imparare i sentimenti di Gesù, possiamo cioè vivere come ha vissuto lui, sotto l'azione dello Spirito. E allora pure noi, alla fine, potremo essere esaltati come Gesù, raggiungendo quella pienezza della vita che desideriamo e cerchiamo. Soltanto ci è chiesto di non mascherare la nostra debolezza, pronti ogni giorno a ricominciare da capo, con pazienza e fiducia.