Omelia (28-08-2007) |
mons. Vincenzo Paglia |
Commento Matteo 23,23-26 Gesù continua il suo ultimo discorso alla folla. Sta parlando contro gli scribi e i farisei: non ha di mira le loro persone, quanto il comportamento e la pretesa di essere le guide religiose del popolo. Il vero pastore è colui che dà la vita per le pecore, non chi pretende di rovesciare pesi e tradizioni esteriori sulle spalle della gente. L'amore di Gesù per la gente è davvero grande e non può sopportare che il popolo sia schiacciato dal peso delle tradizioni esteriori che gli scribi e i farisei, anche in nome di Mosé, impongono alla gente. Lo spirito farisaico, invece di aprire, sbarra le porte alla felicità e opprime la vita della gente. Egli è venuto a liberarli da questo giogo pesante. Le sette maledizioni che si susseguono con un ritmo incalzante sono tese appunto a smascherare la falsità di chi pretende di essere pastore affermando se stesso sugli altri, magari imponendo norme e pratiche esteriori che non nascono da un cuore misericordioso e buono come è quello del Signore. L'evangelista ci dice che è facile lasciarsi prendere dallo spirito farisaico: l'egocentrismo porta a pensare solo alla propria felicità bloccando quella degli altri; l'attaccamento "all'oro del tempio" e "all'offerta che vi sta sopra" fa perdere di vista il Signore; l'amore per se stessi fa dimenticare la misericordia e spinge a "filtrare il moscerino e ingoiare il cammello"; l'orgoglio porta ad essere come "sepolcri imbiancati" e "guide cieche". La salvezza dal fariseismo sta nell'accogliere prontamente la parola di Dio custodendola e mettendola in pratica. |