Omelia (02-11-2007) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Il dono della gioia e della speranza Si affermava in epoche remote che il sentire religioso intorno al trapasso fosse dettato dalla volontà intrinseca dell'uomo di prolungare la propria esistenza e di sfuggire alle ombre della morte e della fine: di fronte alla prospettiva della fine ci si è sempre interrogati sul perché della morte, ricercando continuamente il senso di questa realtà ineluttabile, il significato del termine del morire umano messo in realizione con i trascorsi del vissuto e finalmente anche la possibilità dell'esistenza di un'altra vita dopo la morte; sicché secondo alcuni l'aldilà sarebbe stato determinato dalla consapevolezza di dover affronatare la fine e dal desiderio intrinseco di eternità che da sempre cova l'animo umano. E' proprio dell'uomo avanzare delle reazioni alla morte, che non viene mai accettata come termine ultimo e chiusura definitiva, ragion per cui anche l'aldilà non è una concezione nuova da parte dello spirito umano poiché da sempre è esistita un'idea o una concezione che fosse espressiva del destino della nostra vita al termine del nostro corpo mortale. Per i Greci l'oltretomba era l'Ade, per i Romani era il regno degli inferi chiamato poi Averno dall'omonimo fiume che ne era il passaggio immediato dalla terra e l'intera mitologia descrive il regno delle "ombre" umane come realtà ultraterrena; questo rende l'idea di come da sempre l'uomo abbia nutrito l'aspettativa dell'aldilà dando a se stesso una risposta alle proprie ansie esistenziali. Qual è invece il rapporto che noi cristiani abbiamo con la morte e con la vita oltre il feretro? In parte anch'esso è inerente agli interrogativi dell'uomo sul proprio destino e anche esso tende a risolvere dubbi, perplessità e angosce ma a differenza che nelle culture antiche e orientali esso non scaturisce dalla fantasia, né dal pensiero, né dalle elucubrazioni concettuali dell'intelletto umano; ci viene dato piuttosto dalla rivelazione di Dio che si dispiega nella Parola e soprattutto nell'evento culminante dell'incarnazione del Verbo Gesù Cristo: noi infatti apprendiamo il senso del morire cristiano nel mistero stesso di Dio e lo concepiamo in base a quanto Egli ci ha rivelato. La nostra concezione della morte e della vita ultraterrena è allora un fatto di fede, che impone adesione del nostro spirito e apertura incondizionata del cuore affinché noi possiamo avere la certezza che la morte non esiste in quanto è stata soppiantanta dall'opera di salvezza realizzata da Cristo. In latre parole noi ci immedesimiamo nella realtà del trapasso considerando che Dio si è espresso su questo argomento in temini di vita eterna e di salvezza per cui chi muore nel Signore è destinato alla vita gioiosa senza fine, che viene descritta con immagini simboliche di banchetto sontuoso e di festa continua. Nel libro della Sapienza siamo edotti sul fatto che "le anime dei giusti sono nelle mani di Dio; nessun tormento le toccherà"; Giobbe nutre la speranza di vedere il Signore egli stesso, faccia a faccia, al termine del suo itinerario mortale; Paolo ragguaglia i Tessalonicesi sulla speranza cristiana della vita senza fine ed espone altrove il suo desiderio di essere eternamente con Cristo uscendo dal Corpo. Ma il nostro privilegiato concetto sulla morte come incontro gioiso con la vita senza fine lo si evince dallo stesso mistero di Dio che in Cristo decide di morire nell'abbandono e nella solitudine sottomettendosi anche alle incertezze che caratterizzano la sensibilità umana di fronte al morire e risolve pertanto di accettare egli stesso la morte come un comune soggetto umano. Dio muore ucciso sulla croce. Tuttavia la morte non ha potere su di lui, giacché egli risorge e ricompare al nostro cospetto come vittorioso e glorioso Signore su di essa: nel fenomeno della Risurrezione la morte insomma viene sconfitta e non assume più rilevanza alcuna nella nostra vita, cosicché adesso in Cristo possiamo parlare di vita senza fine, vita eterna alla quale ciascuno di noi è destinato. Ne deriva allora che la celebrazione odierna di commemorazione dei defunti, guarda caso collocata dal calendario liturgico immediatamente dopo la Festività dei Santi, non riguarda un rito funereo né impone una circostanza luttuosa, né invita in alcun modo a versare lacrime su chi ci ha lasciti, ma ci sospinge a ravvivare la certezza che i nostri defunti vivono con Cristo e si rendono partecipi della sua gloria di Risorto, oppure vi parteciperanno una volta raggiunto l'obiettivo dell'eventuale purificazione delle scorie del peccato (Puragatorio) e che quello che comunemente l'uomo cerca a tentoni per soddisfare le proprie ansie esistenziali sul trapasso ci viene donato gratuitamente nel mistero di Dio che in Cristo è morto e risorto per noi. Sta a noi appropriarci della ricchezza del mistero di vita etena che ci viene data coltivando la fiducia e la speranza nelle perole della Scrittura che vogliono semplicemente essere accolte e meditate e soprattutto vissute poiché lo stesso viverle e metterle in pratica è di aiuto a che noi riscontriamo sempre la presenza dei nostri cari defunti. Dove esattamente essi li si scopre sempre con noi? Certamente nella vita cristiana di fede, speranza e carità che suppone la preghiera e l'esercizio dell'amore al prossimo: nell'orazione si possiede un elemento non indifferente per rinvigorire la nostra fede nel Signore morto e risorto e di conseguenza anche per incontrare coloro che comunemente vengono definiti i nostri morti; loro vievendo con Cristo la vita di Dio nell'eternità si compiacciono della nostra vita di preghiera, esercitando la quale costantemente, con entusiasmo e nelle varie forme in cui essa si esprime, noi possiamo incontrarli tutti incontrando il Salvatore. La preghiera è tuttavia maggiormente rafforzata e sostenuta dalla grazia dei Sacramenti, primo fra tutti l'Eucarestia, nella quale il Risorto sostanzialmente agisce nei nostri cuori rendendo ravvicinate le distanze con i nostri risorti. Nelle opere di carità e nella reciproca accoglienza dell'amore fraterno fra di noi si riscontra inoltre come ulteriormente reale la possibilità di incontrare i nostri cari defunti nel prossimo, specialmente nel bisognoso e nell'abbandonato, dove oltretutto presenzia anche lo stesso Signore Gesù Cristo e in questo solidarizzare con gli altri noi si mette in pratica lo stesso desiderio fondamentale dei nostri trapassati, ovvero quello dell'amore e della fraternità comune. La Commemorazione delle anime dei defunti insomma ci ravvisa la bellezza della resurrezione per la vita e oltre che risveglaire in noi la speranza della vita immortale nei nostri cari ci sprona al raggiungimento finale dello stesso obiettivo di gioia e di salvezza che ci verrà riservato in futuro, e verso il quale anche noi siamo diretti. Tale fiducia nella resurrezione non può non incutere coraggio nella perseveranza e costanza nella fede anche nelle incertezze e nelle prove invitandoci a rifuggire quello che in effetti realizza di fatto la vera morte di tutti i giorni quale illusione di vivere: il peccato. |