Omelia (02-11-2007) |
don Marco Pratesi |
L'ultima parola Il problema di Giobbe è: "perché soffro?". La risposta che gli viene data dai suoi amici, e che uno di essi, Bildad, ha appena ripetuto (c. 18), è: "perché tu hai peccato". Giobbe però rifiuta questa spiegazione, si dichiara innocente, e desidera almeno che la sua protesta d'innocenza sia tramandata ai posteri (vv. 23-24). Egli quindi afferma la sua speranza: si rifiuta di credere che Dio lo condanni ingiustamente; l'ultima parola, quella del giudizio definitivo, spetterà al suo "redentore", che si farà arbitro tra lui e i suoi accusatori e gli renderà infine giustizia. Quando? Qui, dati i numerosi problemi che il testo presenta, le traduzioni e le interpretazioni divergono. Giobbe pensa a un'altra vita? Difficile saperlo. Probabilmente pensa a questa vita terrena: quando tutto sembrerà perduto e la morte oramai sul punto di prevalere definitivamente, proprio allora il suo difensore si alzerà per il giudizio e gli renderà giustizia; Giobbe potrà vederlo coi suoi occhi, incontrarlo personalmente. Effettivamente i cc. 38-41 ci narrano l'intervento diretto di Dio. Comunque si intenda la salvezza che Giobbe esperimenta in questo singolare faccia a faccia (è il problema dell'interpretazione generale del libro), rimane indubitabile il fatto che Giobbe sia testimone, come Abramo, di una speranza che passa oltre ogni ostacolo, e che rifiuta ostinatamente di vedere in Dio un tiranno. Ora, finché la morte resta l'orizzonte ultimo dell'esistenza, questa visione di Dio è inevitabile: un Dio geloso della vita dell'uomo. Che cosa risolve il fatto che Giobbe alla fine recuperi i beni perduti, se essi gli saranno nuovamente, e stavolta definitivamente, tolti? E che cosa cambia il fatto che egli sia riabilitato da Dio e dichiarato giusto, se poi cadrà nella morte insieme all'empio? Indubitabilmente Giobbe schiude qui una prospettiva; che tuttavia ci viene aperta in modo definitivo e senza ambiguità nell'esperienza pasquale del nuovo e vero Giobbe, il totalmente innocente Gesù di Nazaret. No, il Padre non ci dà la vita per togliercela di nuovo; non ci fa godere della luce per poi ricacciarci ancora nelle tenebre. L'ultima parola non è della morte: ultimo, sulla polvere di ogni storia umana si alzerà, a manifestarne senso e valore, il Redentore. I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo. |