Omelia (02-11-2007) |
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Il "giorno dei morti" ci riunisce, in tutte le chiese del mondo, in un momento fraterno di preghiera, di fede, di speranza. È il giorno in cui ci ritroviamo per pregare per noi, vivi, e per coloro che sono defunti in terra, ma vivi in Dio. è il giorno della visita ai cimiteri, tra lacrime e ricordi, in una dimensione di intensità che ci fa sentire anche più uniti. Ma è soprattutto il giorno in cui come cristiani dobbiamo affermare con forza la nostra certezza della resurrezione e la consapevolezza di essere misteriosamente uniti già ora con i nostri fratelli in cammino verso la visione piena del volto di Dio. Il terzo schema che la liturgia propone per questo giorno ci fa rileggere lo stesso vangelo del giorno dei santi: le beatitudini. La misura della santità è data da questo inizio del discorso della montagna: i beati sono coloro che sanno di non bastare a se stessi. Hanno bisogno di Dio, è Dio la fonte, la sorgente, la meta. Noi oggi contempliamo la meta che ci è riservata: essere beati con Dio. e lo facciamo pensando ai nostri cari e pregando per loro, sapendo che loro pregano e pensano a noi. È vero, l'enigma della morte turba tutti. Ogni anno, in questa celebrazione, abbiamo qualcuno in più per cui pregare. Saranno per alcuni i genitori, per altri i fratelli, per altri lo sposo o la sposa, per altri ancor più dolorosamente, i figli. La loro morte, che umanamente ci colpisce sempre, non rappresenta per noi un vuoto. "Agli occhi degli stolti parve che morissero" - dice l'autore del bellissimo e consolante brano della Sapienza di oggi - "ma essi sono nella pace". E questo vicendevole pregare di oggi, noi per loro e loro per noi, ci aiuta a pensare che siamo tutti in cammino verso quella Pace, in piena comunione, in solidarietà. Non siamo estranei, non parliamo al vento o al vuoto quando pensiamo ai nostri cari. Oggi ciascuno di noi è chiamato ad allargare il cuore alla certezza della nostra speranza, per esserne testimoni gioiosi; occorre trascendere le nostre vedute per abbracciare tutto il tempo, non solo passato e presente, ma anche quello futuro. Chi prega per i vivi e per i morti si sente parte di un immenso coro di voci, come una "nota" di una sinfonia universale che supera lo spazio e il tempo, trasformando le lacrime di dolore in lacrime di commozione e di gioia. "Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio" (cfr. Salmo responsoriale 41). Sì, noi ancora lo loderemo, come ora fanno i nostri cari e sarà per sempre. Noi viviamo nella certezza che quella Pace da raggiungere ha un nome: Cristo risorto. Se non credessimo in questo, dice San Paolo, saremmo da compiangere da parte di tutti gli uomini (cfr. 1 Cor 15). Così è scritto nel documento conclusivo del Convegno di Verona: "Lo sguardo del cuore e della fede sul Crocifisso risorto è ciò che da duemila anni fonda e alimenta la speranza del popolo cristiano. La risurrezione di Cristo, ha ricordato il Papa a Verona, "non è affatto un semplice ritorno alla nostra vita terrena; è invece la più grande 'mutazioné mai accaduta, il 'salto' decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l'ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù di Nazareth, ma con Lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l'intero universo". La risurrezione è una parola che il Signore rivolge a ciascuno di noi, dicendoci: "Sono risorto e ora sono sempre con te (...) La mia mano ti sorregge. Ovunque tu possa cadere, cadrai nelle mie mani. Sono presente perfino alla porta della morte. Dove nessuno può più accompagnarti e dove tu non puoi portare niente, là ti aspetto io e trasformo per te le tenebre in luce". È dunque essenziale e decisivo tener ferma e viva la centralità di questo annuncio". La morte, a differenza di quanto pensa il mondo, è per il cristiano seme di vita, certezza di essere pienamente in Dio, come Dio sarà pienamente con e in noi, secondo la visione dell'Apocalisse di Giovanni. Certo, ora non ci è tutto chiaro... ma proprio questo è speranza. La giornata di oggi non ci sprona solo a pregare e ricordare. Siamo invitati, dai nostri stessi cari, ad agire, allargando il cuore alla carità più vera, più piena, più totale, ma anche più concreta, più semplice, più immediata e vissuta verso il prossimo che ci è accanto, nello spirito delle beatitudini. Dopo aver affollato le nostre chiese, l'invito è di tornare a casa con la certezza di non essere soli; ma anche con la volontà di tornare, ogni domenica, a celebrare l'eucaristia che ci rende già adesso nella perfetta comunione con chi ci precede nell'aldilà. Con questa certezza, ha senso, per noi cristiani la parola addirittura dolce di San Francesco: "Laudato si', mi' Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullo homo vivente po' skappare... beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati, ka la morte secunda nol farà male". "Benedetto sei tu, Padre, Signore del cielo e della terra, perché ai piccoli hai rivelato i misteri del regno dei cieli"! (Mt 11,25) Commento a cura di don Paolo Ricciardi |