Omelia (01-11-2007)
don Giovanni Berti
Beato anch'io...

Clicca qui per la vignetta della settimana.

Gesù, dopo aver guardato le folle, sale sulla montagna e insegna ai suoi discepoli le beatitudini. Mi ha colpito questo sguardo preliminare di Gesù verso tutta la gente che gli sta attorno che sembra esser la scintilla che motiva tutto l'insegnamento dato successivamente (il discorso della montagna che si articola per 3 ricchissimi capitoli). Gesù parla a tutti, ma sono soprattutto i più vicini, i discepoli suoi amici, a esser destinatari di queste sue parole che però non devono morire nelle loro orecchie ma devono trasmettersi alle folle dietro di loro lungo le pendici di quella montagna e lungo la storia, fino a noi.
Gesù ha guardato le folle prima di parlare, perché le sue parole (e la sua vita che è sempre in stretta sintonia con quel che insegna) sono la risposta alle reali necessità delle persone. Non sono parole campate per aria, magiche o misteriose. Le parole di Gesù escono dalla sua bocca per toccare la vita concreta e la trasformano.
Le parole delle beatitudini ci rivelano che Dio opera ancora nella storia e non è un immobile e severissimo giudice che aspetta puntiglioso alla fine della storia i risultati dei suoi ordini. Al contrario Gesù ci parla di Dio che è presente e consola, dona la sua potenza e risponde alle attese più vere, perdona, si mostra a chi lo vuol vedere e dona una pace che non teme sconfitte.
Sembra un discorso bellino, ma profondamente astratto e facilmente confutabile.
Ma quale pace? Ma quale consolazione o perdono? E quale visione di Dio?
Il mondo come lo vediamo attorno a noi (sia con i nostri occhi che con quelli dei mass media) sembra dire l'esatto contrario. Dio è tutt'altro che presente. E il rischio della sfiducia e del pessimismo è sempre in agguato anche per i più assidui credenti.
Gesù che pronuncia le beatitudini sembra proprio che veda in mezzo alla folla anche me, con i miei dubbi su Dio e le mie angosce sulla storia. Mi vede magari proprio nel momento difficile quando qualche evento triste mi fa ripiegare su di me e toglie ossigeno alla mia fede.
Le beatitudini mi insegnano la via per riscoprire Dio all'opera. Mi insegnano che nella povertà di spirito, nella purezza di cuore, nella ricerca della giustizia, nella mitezza e persino nel momento della tristezza, posso incontrare l'opera di Dio per me. Ed è in quel momento che scatta la beatitudine.
Ma allora mi domando: che cosa significa esser poveri di spirito, esser miti e puri di cuore? Cosa vuol dire che nel pianto posso esser consolato? E che cosa si deve fare per ricercare la giustizia?
Sono domande aperte che trovano migliaia, anzi miliardi di risposte diverse. Ognuno di noi deve cercare queste risposte. Le beatitudini ci mettono in moto e ci costringono a ricercare come render concrete nelle nostre vite le realtà di cui parlano. Le parole delle beatitudini sono scese dalle pendici di quel monte e hanno davvero percorso i secoli attraverso la vita di tantissimi uomini e donne che su quelle parole e su Colui che le ha pronunciate hanno costruito la loro esistenza.
I Santi sono a questo punto davvero un prezioso dono. In tanti modi e tempi diversi ci insegnano come loro hanno vissuto la povertà, la mitezza, la purezza di cuore, la ricerca della giustizia e persino come hanno vissuto il dolore. I Santi non sono semplicemente da imitare, anche perché ogni vita è diversissima e irripetibile. I Santi sono dei maestri che ci insegnano e ci incoraggiano. Sono segni di spranza, perché ci fanno vedere che è possibile vivere le beatitudini e entrare anche noi, anch'io, nel fiume di acqua viva che è sceso dal monte dove Gesù è salito.

Clicca qui per lasciare un commento.