Omelia (16-03-2003) |
don Fulvio Bertellini |
Il segreto La Trasfigurazione avviene nel segreto, di fronte a pochi discepoli, scelti da Gesù. Si tratta dello stesso nascondimento e segreto, di cui abbiamo sentito parlare nel Mercoledì delle Ceneri: "Quando preghi, non siate simili agli ipocriti, che amano pregare... agli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini... tu invece... chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto. E il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà". Secondo il nostro modo di pensare, la rivelazione di Gesù dovrebbe avvenire in maniera gloriosa e manifesta. Con miracoli e segni continui. Invece la Trasfigurazione è un'eccezione, non la regola. La luce Sul monte, nel segreto, Gesù si rivela come il Figlio di Dio. L'evangelista lo esprime con l'immagine dello splendore delle vesti, bianche come "nessun lavandaio sulla terra sarebbe capace di sbiancarle". Il paragone un po' grossolano ci fa comprendere che si esce qui dall'ambito normale dell'esperienza. La luminosità di Gesù è il segnale della sua divinità. Ma non è una divinità fuori dalla storia. La Parola Mosè ed Elia che discorrono con Gesù indicano la continuità con l'esperienza storica di Israele. Noi non crediamo semplicemente in un Dio: crediamo nel Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, nel Dio di Mosè e dei profeti, e che infine si è rivelato in Gesù. Pietro vorrebbe fermare per sempre l'istante di pace e di sicurezza che sta vivendo. Propone di fare delle tende, di fermarsi, forse di cullarsi nella bellezza di un'esperienza non compromettente, in cui tutto è chiaro e tranquillo. La nube Entra in scena a questo punto la nube, che copre la vista. Svanisce l'esperienza di chiarezza e di luminosità, si entra nel campo dell'ignoto, del misterioso. Dio non è afferrabile dal nostro sguardo. Solo una parola, una voce fa da guida: "Questo è il mio figlio diletto - Ascoltatelo!". La parola Al termine si ritrovano soli con Gesù. Con il suo volto umano. Con la sua parola: "Non dite niente a nessuno, se non quando il Figlio dell'uomo risorgerà dai morti". Una frase misteriosa, che essi non capiscono, ma che mescola insieme morte e vita, sofferenza e redenzione, paura e consolazione. La nostra Quaresima Per noi fare Quaresima non può voler dire soltanto riscoprire la nostra fede in Dio. E' certamente importante pregare, fare silenzio, ritrovare un po' di pace, di calma e tranquillità. Avremmo molto bisogno di spazi di silenzio, anche in mezzo alla natura, lì dove si sente più vicina la presenza di Dio. Ma se ci fermiamo a questo, ci fermiamo al Gesù trasfigurato con le vesti candide. Che non è il Gesù completo. La via per arrivare a Dio è la storia del suo popolo, strettamente legata alla storia degli uomini, raccontata nella Scrittura. Fare Quaresima per noi quindi dovrà essere una riscoperta della Parola di Dio e della sua storia di salvezza. Il rischio però è di farne un semplice ricordo del passato, un bel racconto edificante, in cui piantare le tende della nostra rassegnazione. Entrare nella nube Fare Quaresima è accettare di entrare nella nube. Dove si vede poco, e ci si lascia guidare dall'orecchio, dove solo una voce fa da guida. Ed è una parola inquietante: parla di morte e risurrezione. Noi sappiamo che essa si è già compiuta per Gesù; ma non sappiamo come si deve compiere per noi. Quale sarà per noi oggi la via della croce? Sappiamo certamente che solo Gesù ci può guidare in essa; e che non ci saranno applausi e riconoscimenti, neanche l'applauso narcisistico della nostra soddisfazione: "il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà". PRIMA LETTURA Sembra che Dio imponga ad Abramo una prova crudele, imponendogli di sacrificare il figlio. In realtà i sacrifici umani, che erano praticati dai popoli circostanti, sono a più riprese condannati dai profeti di Israele: il Signore, l'unico vero Dio, non vuole il sacrificio umano. Ma il popolo, imitando i popoli vicini e adattandosi alla loro idolatria, praticava questi sacrifici, e sembrerebbe che questo abuso sia durato a lungo: questo spiegherebbe la relativa abbondanza di richiami profetici al riguardo. Nella mentalità antica il sacrificio umano rappresentava il massimo possibile dell'offerta a Dio, e quindi il massimo della religiosità. Le condanne dei profeti non erano accettate, perché il sacrificio umano dava l'impressione di poter controllare completamente il comportamento degli dei. Il brano che oggi leggiamo ha lo scopo di mostrare perché il sacrificio umano non è necessario al Dio di Israele. Ciò che è essenziale non è l'esecuzione del gesto, ma l'intenzione del cuore. Ciò che è importante è la fede di Abramo, una fede che mette Dio al primo posto. "Saranno benedette per la tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce". Il Dio di Abramo non è un'entità magica, che si lascia controllare con opportuni sacrifici, ma è assoluta libertà, di fronte alla quale l'uomo non può opporre i suoi progetti. Abramo accetta nella fede la volontà di Dio, e scopre con sorpresa di non potergli fare nessun vero sacrificio o regalo: è Dio stesso che regala ad Abramo una benedizione smisurata e imprevedibile: "come le stelle del cielo / come la sabbia che è sul lido del mare". SECONDA LETTURA "Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?". Noi oggi facciamo fatica a comprendere il timore della divinità che attanagliava gli uomini dell'età antica. Paolo si trova in questo brano a demolire l'idea di una divinità ostile o indifferente all'uomo. In Gesù Dio si rivela assolutamente disponibile e accessibile. Non il Dio che accusa, ma il Dio che salva. "Chi condannerà? Cristo Gesù che è morto, anzi è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi?". Si tratta di una domanda retorica, che attende una risposta negativa. No: Gesù non può condannarci. La sua morte e risurrezione, e la sua presenza alla destra del Padre sono il segnale che non dobbiamo avere nessuna paura. Anche se ciò che egli ci garantisce non è una protezione di tipo magico dalle avversità. La risurrezione è potenza di Dio che salva dal male, ma Gesù deve passare attraverso la sofferenza e la morte. Così anche al discepolo non viene garantita l'immunità dalla sofferenza, ma la forza per affrontarla e per vincerla in Gesù. |