Omelia (26-03-2006)
don Daniele Muraro


Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui.


Fede e salvezza, oppure credere e avere la vita eterna. Questi sono i due temi che raccolgo dalle letture di oggi. Dono due temi collegati. La fede ci ottiene la salvezza.
"Chi crede nel Figlio di Dio non è condannato... Chiunque crede in Lui non muore, ma ha la vita eterna..." (Vangelo) "Siamo salvi mediante la fede..." (seconda Lettura) "Chiunque di voi appartiene al popolo del Signore, il suo Dio sia con lui e parta per il ritorno dall'esilio e la libertà". (prima Lettura). Potremmo dire: saldezza della fede e dalla fede la salvezza.
Se mantiene quello che promette la fede è importante. "Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede." ci dice san Giovanni nella sua prima lettera. Ma non possiamo credere a tutto? Con quale criterio possiamo dare il nostro assenso di fede? Solo la verità è degna di fede.
"Tutti gli uomini desiderano sapere" e oggetto proprio di questo desiderio è la verità. "Ho incontrato molti che volevano ingannare, ma che volesse farsi ingannare, nessuno." (sant'Agostino) A dove porta questa ricerca della verità che è la sola degna dell'uomo?
La ricerca della verità, anche quando riguarda un aspetto limitato delle cose, non termina mai; rinvia sempre verso qualcosa che è al di sopra. L'uomo non ragiona mai così tanto come quando riconosce i propri limiti.
La ricerca della verità non annulla il mistero; solo rende più evidente questo mistero e lo manifesta come fatto essenziale per la vita dell'uomo. Uno dei limiti più grandi della cultura attuale è questo: di aver messo da parte il Mistero a favore della tecnica: così anche l'uomo rischia di diventare una cosa. Per il fatto che non riusciamo da soli a risolvere l'enigma dell'esistenza, questo non vuol dire che dare un senso alla vita non sia una ricerca che merita di essere intrapresa.
Da soli non possiamo districare il Mistero dell'esistenza, però possiamo dobbiamo permettere a questo Mistero di dispiegarsi, di parlarci, di farsi presente.
La condizione per vederci è avere occhi buoni, ma anche che risplenda almeno un raggio di luce. Così la condizione per trovare la verità è che si riesca almeno un po' a ragionare, ma anche che la nostra ragione sia illuminata da una Rivelazione che viene dal di fuori.
A questo proposito lla storia di Nicodemo è istruttiva. Nicodèmo era un ricercatore di questa verità di cui parliamo. Gesù lo attirava per il suo insegnamento. Pur appartenendo ai capi dei Giudei non era gli pregiudizialmente ostile e quando i suoi colleghi vogliono arrestare Gesù per la prima volta, egli ribatte: "La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?".
Tuttavia Nicodemo era pieno di paura e chiede un colloquio con Gesù di notte per non farsi scoprire. Egli fa venire in mente quei professionisti, o quegli uomini di spettacolo, che quasi si vergognano a dichiararsi credenti, pensando di averne dànno per il loro ruolo sociale. In effetti nella nostra società sembra che ci sia posto per tutte le professioni, meno che per la professione di fede.
Dunque Nicodemo va da Gesù di notte. Sembra che Gesù lo punzecchi su questo comportamento quando afferma: "Chi fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce".
Nicodemo ha dato a Gesù una possibilità: è rimasto pensoso, non ha rifiutato il suo messaggio.
Una fede degna di questo nome è una fede che promette e garantisce la salvezza. Già le parole dell'Antico Testamento risuonano di incoraggiamento e consolazione:
Quanti confidano in lui comprenderanno la verità;
coloro che gli sono fedeli
vivranno presso di lui nell'amore,
perché grazia e misericordia
sono riservate ai suoi eletti. (Libro della Sapienza)
Gesù completa questa Rivelazione con la Partecipazione di se stesso.
Non sono più solo parole, ma è una vita, la sua, che può diventare anche la nostra. La verità non è più solo un enunciato, la verità si è fatta Persona: "Io sono la via, la verità e la vita". Parlando in maniera misteriosa, ma precisa, egli annuncia a Nicodemo: "Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna." Chi guardava il serpente di bronzo innalzato da Mosè nel deserto, non moriva intossicato dal veleno, ma sopravviveva. Così chi guarda a Gesù, con il desiderio che il modo di vivere di Gesù sia anche il suo, quello ha una vita nuova e senza fine.
Anche qui occorre uno sforzo personale: "Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nella forza del suo nome".
Se non si comprende non si può credere, ma quello che si crede supera le sole capacità della conoscenza umana.
San Bonaventura al principio di un suo trattato su Dio scriveva: "Non è sufficiente la lettura senza il coinvolgimento personale, la conoscenza senza la reverenza, la ricerca senza lo slancio della meraviglia, la prudenza senza la capacità di abbandonarsi alla gioia, l'attività disgiunta dalla religiosità, il sapere separato dalla carità, l'intelligenza senza l'umiltà, lo studio non sorretto dalla grazia divina, la riflessione priva della sapienza ispirata da Dio."
La ricerca della verità termina nella fede. O si crede o non si crede.
Ecco dunque che la fede sta a metà fra il voler ragionare solo con la propria testa che diventa ostinazione e invece il vendere la propria testa al primo venuto che è sventatezza.
"Non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l'inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell'errore."
E' stato acutamente fatto osservare che non è vero che chi non crede a Dio non crede a niente, in effetti crede a tutto, cioè si abbandona al primo discorso che abbia una apparenza di certezza, salvo poi cambiare idea subito dopo.
Il Concilio Vaticano II ci istruisce "A Dio che si rivela è dovuta l'obbedienza della fede".
Credere o non credere è libero, ma non è facoltativo. La fede ha a che fare con la verità e la verità è obbligante. Esiste il diritto di essere rispettati nel proprio cammino di ricerca della verità, ma esiste ancora prima l'obbligo morale grave per ciascuno di cercare la verità e di aderirvi una volta conosciuta ci ammaestra Giovanni Paolo II.
"Senza la fede è impossibile piacere a Dio" ci avverte la lettera agli Ebrei (Ebrei 11,6).
Come Gesù Cristo al suo tempo è rimasto sconosciuto tra la massa degli uomini, così la sua verità resta, tra le opinioni comuni, e in questo tempo ce ne sono parecchie di opinioni comuni sul mercato della comunicazione, senza differenza esteriore. Come per l'Eucaristia che apparentemente non ha differenze con il pane comune solo chi crede può fare esperienza e ricevere il dono con frutto.
Non lasciamo passare distrattamente dalle nostre orecchie gli appelli del Vangelo, così come ci sforziamo di non passare distrattamente davanti al Tabernacolo e allora anche noi con san Paolo nella seconda lettura potremo dire: "Da morti che eravamo Dio ci fa rivivere con Cristo: per grazia siamo stati salvati e in questa salvezza rimaniamo."