Omelia (07-05-2006) |
don Daniele Muraro |
Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui. Guarendo il paralitico che chiede l'elemosina alla porta del tempio san Pietro dice: Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!". A quelli chi gli domandano giustificazioni sul miracolo lo stesso san Pietro risponde: "Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno costui vi sta innanzi sano e salvo." E prosegue: "Non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati" Poco prima durante la prima predica il giorno di Pentecoste sempre Pietro aveva esortato la folla: "Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo." Ancora oggi la Chiesa battezza nel nome del Padre e del Figlio Gesù e dello Spirito santo. Gesù significa "Dio salva" e mai nome fu più appropriato. Quello che salva è il nome di Gesù e dunque salva una persona e non, mettiamo, una trovata eccezionale della mente come una scoperta scientifica o una nuova dottrina filosofica. Il nome identifica la persona, a tal punto che è quasi impossibile non voltarsi quando sentiamo chiamare il nostro nome anche se sappiamo che ci si riferisce ad un altro. Quando uno si è fatto un nome vuol dire che ha acquistato fama, o per le sue imprese o per la bontà delle sue prestazioni. I cristiani si rifanno al nome di Gesù "Cristo". I cristiani dunque sono quelli su cui è stato invocato il nome di Gesù (nel battesimo) e che quindi invocano il suo nome. Con la resurrezione Dio ha esaltato Gesù e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome. Il nome qui indica non solo l'identità, ma anche l'autorità. Vediamo dunque come Gesù esercita la sua autorità: Egli si presenta come il buon pastore e si contrappone al mercenario. L'immagine del pastore può sembrare sorpassata e non più adatta alla nostra civiltà industriale. Essa però ha il vantaggio di evidenziare elementi importanti del rapporto che Gesù vuole avere con noi. Innanzi tutto si tratta di un rapporto da vivente a vivente. Noi non siamo delle carte che Dio sposta da una parte all'altra del suo tavolo: la nostra persona per lui è ben più che un fascicolo da trattare con la freddezza del burocrate. Poi l'immagine del pastore nei confronti del gregge ci dice che noi abbiamo disperato bisogno di una guida, di punti di riferimento nella nostra esistenza. La conoscenza che Gesù ha delle sue pecore è personale. Egli le chiama per nome. Egli non dirige: attira. Non ordina: chiama. Il buon pastore raduna, guida e difende. Cristo in quanto buon pastore continua questa missione nel mondo attraverso l'opera dei pastori della Chiesa. Qui vorrei riprendere le parole della prima omelia del nostro papa attuale Benedetto XVI. Egli le ha pronunciate poco più di un anno fa. Durante la sua prima santa Messa da papa egli dunque ha detto: "Cari amici! In questo momento non ho bisogno di presentare un programma. Il mio vero programma è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui. Invece di esporre un programma egli ha semplicemente richiamato l'attenzione sui due segni con cui viene rappresentata l'assunzione del Ministero Petrino, cioè l'inizio della sua attività di successore di san Pietro: si tratta del Pallio e dell'anello del pescatore. "Il primo segno è il Pallio, tessuto in pura lana, ha commentato Benedetto XVI, che mi viene posto sulle spalle. Questo antichissimo segno, che i Vescovi di Roma portano fin dal IV secolo, può essere considerato come un'immagine del giogo di Cristo. Il giogo di Dio è la volontà di Dio, che noi accogliamo". "E questa volontà non è per noi un peso esteriore, che ci opprime. Conoscere ciò che Dio vuole, conoscere qual è la via della vita, questa è la nostra gioia: la volontà di Dio ci purifica e ci conduce a noi stessi. In tal modo, non serviamo soltanto Lui ma la salvezza di tutto il mondo, di tutta la storia." "In realtà, ha continuato il Papa, il simbolismo del Pallio è ancora più concreto: la lana d'agnello intende rappresentare la pecorella perduta o anche quella malata e quella debole, che il pastore mette sulle sue spalle e conduce alle acque della vita. L'umanità, noi tutti, è la pecora smarrita che, nel deserto, non trova più la strada. Il Figlio di Dio non tollera questo; Egli non può abbandonare l'umanità in una simile miserevole condizione. Balza in piedi, abbandona la gloria del cielo, per ritrovare la pecorella e inseguirla, fin sulla croce. La carica sulle sue spalle, porta la nostra umanità, porta noi stessi. Egli è il buon pastore, che offre la sua vita per le pecore. Il Pallio dice innanzitutto che tutti noi siamo portati da Cristo. Ma allo stesso tempo ci invita a portarci l'un l'altro". "La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore: per lui non è indifferente che tante persone vivano nel deserto. E vi sono tante forme di deserto. Vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell'abbandono, della solitudine, dell'amore distrutto. Vi è il deserto dell'oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell'uomo. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi. Perciò i tesori della terra non sono più al servizio dell'edificazione del giardino di Dio, nel quale tutti possano vivere, ma sono asserviti alle potenze dello sfruttamento e della distruzione. La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l'amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza." Il secondo segno poi, con cui viene rappresentato l'insediamento nel Ministero Petrino, è la consegna dell'anello del pescatore. Il papa commentava: "Anche oggi viene detto alla Chiesa e ai successori degli apostoli di prendere il largo nel mare della storia e di gettare le reti, per conquistare gli uomini al Vangelo - a Dio, a Cristo, alla vera vita!" Veniamo a noi. Due sono i sacramenti che costruiscono la Chiesa: l'ordine e il matrimonio. Gesù chiama per nome alcuni che diventano i suoi ministri nell'azione pastorale così ben descritta dal papa nel suo commento. Nel rito del matrimonio al momento del consenso sposo e sposa si chiamano per nome e reciprocamente si accolgono dalle mani di Dio e si ricevono nel dono di tutta la vita. Anche questa è una maniera di seguire Cristo, sulla via della fedeltà alla propria missione, della rinuncia a se stessi e del dono della vita. Ogni famiglia è una piccola Chiesa e la parrocchia si può così vedere come una famiglia di famiglie. Ogni volta che celebriamo la santa Messa non c'è solo il ministero dell'ordine che rende possibile la trasformazione del pane e del vino nel corpo e sangue di Gesù, c'è anche il ministero di tante famiglie che accoglie questo dono di Gesù, lo spezza, lo distribuisce e lo fa fruttificare in gesti di vita nuova. Questa è la Chiesa radunata da Gesù, un popolo in cammino dove ognuno ha il suo posto per il beneficio di tutti. Partecipare alla santa Messa come privati o come famiglie non è lo stesso: venire come famiglie vuol dire vedere riflessa negli altri la gioia che ognuno vive nella propria casa e venire sostenuti dalle altre famiglie nel peso che non manca in ogni casa. Cristo buon pastore guidi ogni nostra famiglia a scoprire il grande mistero della sua vocazione e guidi tutti a sentire la vita come vocazione per seguire Lui, il solo pastore buono. |