Omelia (18-06-2006)
don Daniele Muraro


Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui.

Oggi concludiamo la riflessione sul tema della testimonianza. Due settimane fa abbiamo visto che esiste una testimonianza di persona, quella degli apostoli, testimoni oculari degli avvenimenti di cui parlavano e una testimonianza personale, quella di ogni cristiano, che deriva da una convinzione interiore e che porta necessariamente a una pratica esterna della propria fede.
Domenica passata, nella solennità della santissima Trinità, abbiamo visto che se esiste una testimonianza degli uomini, "la testimonianza di Dio è maggiore; e la testimonianza di Dio è quella che Egli ha dato al suo Figlio".
Come dice l'Apocalisse Gesù è "il testimone fedele, (sarebbe meglio dire degno di fede), il primogenito dei morti e il principe dei re della terra." Lo Spirito Santo che discende nella Pentecoste testimonia in favore di Gesù e conferma nella fede la Chiesa.
Oggi voglio condurvi a considerare la testimonianza sotto un ultimo aspetto, che completa i precedenti due e che è già compreso nel termine stesso testimonianza; infatti in greco testimonianza si dice: martyrìa e testimone, martyres.
La testimonianza è un martirio e noi abbiamo un testimone martire, che è appunto Gesù Cristo.
Partiamo un po' da lontano. Gli Ebrei avevano l'Arca della Testimonianza. Non si tratta dell'Arca di Noè, che è tutt'altra cosa, ma di un baule diciamo così, munito di due stanghe che si poteva portare a spalle. Questo baule conteneva il bastone con cui Mosè aveva aperto il Mar Rosso, le due tavole di pietra su cui il dito di Dio aveva inciso i dieci Comandamenti e infine un po' di manna raccolta nel deserto durante i quarant'anni di soggiorno. Questa arca era collocata al centro del Tempio di Gerusalemme e nessuno poteva accadere a questo locale, protetto da una tenda e chiamato "Santo dei Santi". Il Santo dei Santi era un ambiente cubico di nove metri di lato, spoglio e senza finestre, ove una volta all'anno, nel giorno dell'espiazione, come il nostro Mercoledì delle Ceneri, poteva entrare solo il sommo sacerdote, vestito di semplice abito di lino bianco. Secondo il racconto della passione nei Vangeli, il velo del Tempio si squarciò al momento della morte di Gesù.
L'Arca della Testimonianza costituiva una testimonianza storica di quello che Dio aveva fatto a favore del popolo di Israele, di come lo aveva liberato dalla schiavitù dell'Egitto, lo aveva condotto fino sul monte Sinai e lo aveva nutrito nel tempo del pellegrinaggio nel deserto.
Oggi nelle nostre chiese noi abbiamo il Tabernacolo, cioè il luogo dove si conservano le specie eucaristiche. La presenza di Gesù nell'Eucarestia custodita nel Tabernacolo è segnalata da un lume rosso acceso. Apparentemente con il Tabernacolo siamo nella linea dell'Arca della Testimonianza. Là era conservata la manna, qui le ostie.
La realtà dell'Eucaristia però è superiore, tanto che i padri della Chiesa dicevano che la manna era una figura o una ombra e l'Eucaristia è appunto la realtà.
Anche l'Eucaristia è una testimonianza, ma è troppo poco dire che la testimonianza si colloca sulla linea della testimonianza storica, la testimonianza dell'Eucaristia è una Testimonianza martyria, una Testimonianza di un martirio.
L'Eucaristia non è solo un ricordo, ma è un dono: il dono della vita di Gesù. Non è il ricordo di un dono, ma è Gesù stesso che sempre di nuovo viene sull'altare e si dona per noi.
Il sacrificio di Gesù sulla croce è uno solo, ma questo sacrificio si ripete sacramentalmente nel tempo. Egli è morto una volta per tutte, giusto per gli ingiusti, ma ogni volta che il sacerdote pronuncia le parole dell'Ultima Cena, Gesù viene sull'altare con il suo corpo risorto.
Possiamo farci anche questa domanda: "Quale corpo di Cristo riceviamo quando andiamo a fare la comunione? Il Corpo di Gesù che camminava per la Palestina?". Evidentemente non è possibile. Noi riceviamo il Corpo di Cristo risorto, che ancora porta i segni della passione, ma che vive per sempre.
Dunque se Gesù ha dato la sua vita per noi, anche noi possiamo, dobbiamo dare la nostra vita per lui. Questo è il culto che Dio si aspetta da noi.
San Paolo nella sua lettera ai Romani dice: "Vi esorto dunque, fratelli, a offrire voi stessi a Dio in sacrificio vivente, a lui dedicato, a lui gradito. È questo il vero culto che gli dovete. Non adattatevi alla mentalità di questo mondo, ma lasciatevi trasformare da Dio con un completo mutamento della vostra mente. Sarete così capaci di comprendere qual è la volontà di Dio, vale a dire quel che è buono, a lui gradito, perfetto."
O serviamo il Signore anche con il nostro corpo o non lo serviamo affatto. Questa è la nostra testimonianza, che talvolta può diventare anche una martyrìa, un martirio, ma che sempre avviene, questa testimonianza, anche attraverso i nostri gesti e le azioni del nostro corpo.
Il corpo è la maniera che abbiamo di comunicare con gli altri, tanto è vero che quando il corpo smette di funzionare, defunge, non c'è più modo di comunicare con il nostro caro, la cui anima ci ha lasciato.
Con il suo corpo risorto, Gesù ci comunica la sua vita divina e la nostra vita umana entra in comunione con Lui. Noi siamo coloro che possediamo la testimonianza di Gesù, nel senso che abbiamo detto prima. Il contenuto vale sempre di più del contenitore. Però si cerca di avere un contenitore proporzionato al contenuto. Per un contenuto da poco, basta una borsa da poco, per un contenuto di valore si cerca una confezione o uno scrigno di valore. L'ostensorio e tutti gli arredi liturgici dimostrano il valore che noi riconosciamo nell'Eucaristia; quando però Gesù viene dentro di noi nella comunione, però il contenitore dell'Eucaristia, l'ostensorio diventiamo noi, ecco allora che dobbiamo preoccuparci di ricevere degnamente l'Eucaristia e di adeguare il più possibile il nostro modo di fare al mistero con cui entriamo in contatto. Questo è il nostro culto spirituale, che non termina con la celebrazione della Messa, ma continua con la testimonianza della nostra vita.