Omelia (25-06-2006) |
don Daniele Muraro |
Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui. Il Vangelo di quest'oggi ci dà l'occasione per riprendere la presentazione dei frutti dello Spirito santo di cui abbiamo già trattato nel tempo di Pasqua. Nel periodo pasquale abbiamo visto i primi tre frutti dello Spirito, secondo l'elenco che ne fa san Paolo, ossia, amore, gioia e pace. Questi sono sentimenti che si adattano bene al tempo della Pasqua. Ora siamo tornati al tempo ordinario e la lettura della tempesta sedata ci permette di introdurre un frutto, il quarto in quell'elenco, quanto mai necessario alla vita di tutti i giorni, ossia la pazienza. Gli apostoli sono in barca sul lago, ma non è una gita turistica. Durante la traversata da una sponda all'altra si alza un forte vento che diventa tempesta. Le onde entrano nella barca. Sono tutti preoccupati, tutti meno Gesù, che stanco per la giornata, dorme profondamente. La situazione è così critica che gli apostoli quasi perdono il rispetto per il Maestro e dopo averlo svegliato lo rimproverano: "Maestro, non t'importa che moriamo?". Gesù però fa loro capire che insieme a Lui non devono avere paura. Con il suo atteggiamento incomprensibile Egli ha voluto mettere alla prova la loro fede. Erano esperti marinai, ma stavano per perdere il controllo della barca. Evidentemente in quell'occasione gli apostoli non hanno saputo sopportare con serenità una situazione critica. Ecco allora che entra in campo la virtù della pazienza, che è una virtù specifica per i tempi difficili. Quando tutte le cose vanno bene c'è poco da sopportare. Può venire la tentazione di lamentarsi perché i benefici non sono mai abbastanza, oppure ci si esalta aspettandosi di ricevere ancora di più, ma è difficile che si allarghi le braccia e si esclami: "pazienza!". Invece nelle avversità occorre una notevole forza d'animo, una pazienza a tutta prova che è appunto la capacità di sopportare situazioni spiacevoli e di rimandare il raggiungimento di un risultato sperato. In questo senso la pazienza è una declinazione della virtù della fortezza e consiste nel tollerare il male presente, perché il Signore lo trasformi in un bene per il futuro. Data la condizione umana la pazienza è una virtù sommamente necessaria. Chi non ha la pazienza non ha niente, dice un proverbio e san Giovanni Bosco aggiungeva: "Ciò che santifica non è la sofferenza, ma la pazienza." L'impaziente siede sempre sui carboni accesi. I dolori capitano a tutti, ma l'impazienza li peggiora. L'impazienza rovina non solo il tempo della prova, ma anche quello della tranquillità, perché impedisce alla situazione di evolvere in senso positivo. Invece la pazienza sul momento è amara, ma il suo frutto è dolce. Ma come ottenere questa pazienza così importante? E' la forza del desiderio che produce la sopportazione delle fatiche e dei dolori. Nessuno accetta di sopportare il dolore, se non per ciò che piace. E questo perché l'animo di suo fugge la tristezza e il dolore e quindi mai accetterebbe il dolore per se stesso, ma solo per uno scopo. Quindi è necessario che il bene per cui uno accetta di soffrire sia più desiderato ed amato di quel bene la cui privazione produce il dolore che sopportiamo con pazienza. In parole povere occorre avere una grande aspettativa di bene per mettere praticare la virtù della pazienza. Ho citato ancora la frase di san Francesco di Assisi: "E' tanto il bene che mi aspetto, che ogni pena mi è diletto." Evidentemente san Francesco non amava il male di per sé, ma per il grande bene che poteva venirne. Questo bene di cui parliamo discende direttamente da Dio. Di più, come scrive s. Agostino: "La virtù della pazienza è un dono di Dio così grande, da essere elogiata come un attributo dello stesso donatore". Ossia il primo ad aggiudicarsi la virtù della pazienza è Dio stesso. Mostrandosi a Mosè Egli si presenta così: "Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e di fedeltà". E nei salmi troviamo scritto: "Buono e pietoso è il Signore, lento all'ira e grande nell'amore." Il libro della sapienza si rivolge così a Dio: "Ma tu, nostro Dio, sei buono e fedele, sei paziente e tutto governi secondo misericordia." San Pietro poi completa il ragionamento: "Il Signore non ritarda nell'adempiere la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi." Dalle definizioni precedenti comprendiamo anche che la virtù della pazienza ha un vizio che le si oppone ed è quello dell'ira, ma su questo non mi voglio trattenere adesso. La pazienza è più che la tolleranza. La pazienza è la virtù dei forti, si dice, e non si sbaglia. Questa fortezza interiore si manifesta, oltre che nel non arrabbiarsi, ossia nel non lasciarsi trasportare dall'ira, anche nella grandezza d'animo. Grandezza d'animo e pazienza sono vicine, perché come abbiamo detto prima, solo chi è orientato al conseguimento di grandi cose e quindi apre il suo animo alla ricerca del bene nell'accezione più ampia, può avere anche la pazienza di aspettare e sopportare. Al contrario invece chi presume di se stesso, deve poi fare in conti con i propri limiti, come gli apostoli nel Vangelo di oggi. La pazienza che consente di concretizzare le aspirazioni verso un bene sempre più grande si trasforma spontaneamente in un'altra virtù che la completa, ed è la perseveranza. "Con la vostra perseveranza, salverete le vostre anime" ha detto una volta Gesù. Più che con la forza, le grandi opere si compiono con la perseveranza. Al di sopra della perseveranza che non cade, c'è la perseveranza che si rialza sempre. E concludo con due citazione dai padri del deserto. Un anziano diceva: "Quando viene la tentazione, le difficoltà si moltiplicano per ogni minima cosa, così da scoraggiarci e indurci alla mormorazione." "Vuoi terminare qualche cosa di bene? Non lasciarti sviare dagli ostacoli del nemico. Poiché il nemico sarà distrutto dalla tua pazienza. Cosi è per quelli che partono per mare e, spiegate le vele, trovano prima un vento favorevole, quindi un vento contrario vien loro incontro. I marinai non gettano tuttavia il loro carico in mare: essi pazientano un poco, lottando contro la tempesta, e riprendono poi la loro navigazione. Anche noi, quando incontriamo lo spirito avverso, alziamo la croce come una vela, e faremo senza pericolo la traversata". |