Omelia (23-07-2006)
don Daniele Muraro


Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui.


Oggi voglio parlare della mitezza che è un altro frutto dello Spirito santo, il penultimo. Un tema quanto mai adatto alle vicende del mondo per cui il Papa proprio questa domenica ci invita a pregare. Gesù nel Vangelo si commuove per la folla. Aveva comandato agli apostoli di salire in barca e allontanarsi per cercare un po' di riposo. Era un momento di successo ed erano così ricercati dalla folla, lui e gli apostoli, che andava e veniva che non avevano più neanche il tempo di mangiare. Quando però sbarca vede la gente che lo aveva preceduto a piedi. Allora non evita l'incontro, né rimprovera quelli si erano messi sulle sue tracce, ma si mette a insegnare loro molte cose. Infatti si era commosso per loro, perché erano come pecore senza pastore.
Non è il primo caso in cui gli evangelisti annotano questa reazione di Gesù di fronte alla gente che lo avvicina. In altre circostanze Gesù si commuove e compie il miracolo, come per esempio i due ciechi di Gerico.
Gesù si commuove in particolare per la miseria umana che incontra, quella fisica e quella morale. Il caso più famoso è quello della resurrezione di Lazzaro. Gesù arriva in ritardo dalle sorelle Marta e Maria. Marta lo informa della morte del fratello e Maria si mette a piangere. Allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, Gesù si commosse profondamente, e domanda: "Dove l'avete posto?". E ancora profondamente commosso, si reca al sepolcro.
Gesù può dire di se stesso: "Imparate da me che sono mite e umile di cuore." Chi l'ha imitato di più in questo atteggiamento forse è san Francesco di Assisi. Di lui le fonti dicono che "La sua carità si estendeva con cuore di fratello non solo agli uomini provati dal bisogno, ma anche agli animali senza parola, ai rettili, agli uccelli, a tutte le creature sensibili e insensibili. Aveva però una tenerezza particolare per gli agnelli, perché nella Scrittura Gesù Cristo è paragonato, spesso e a ragione, per la sua umiltà al mansueto agnello."
Dobbiamo riconoscere che san Francesco ragionava così a motivo della sua grande fede e del suo amore per il Signore. L'uomo che pensa e agisce in modo puramente naturale si comporta diversamente: tante volte chi ragiona semplicemente secondo il mondo, non sa neppure che cosa siano la mitezza o il dominio di sé, e, vedendoli in una persona credente, li fraintende, e scambia la mitezza per debolezza, e il dominio di sé con l'indifferenza.
Invece la mitezza è una grande virtù, tanto che Gesù ha potuto dire: "Beati i miti, perché erediteranno la terra." La crudeltà e la prepotenza non è mai mancata in ogni epoca della storia e ancora aggi si fa sentire. Cerca di conquistare la sicurezza, ma intanto opera distruzioni. Gesù nelle beatitudini rifiuta questo modo di ricercare la felicità e mostra un modo diverso di essere felici.
La beatitudine nei rapporti umani non si trova nella violenza e nel sopruso, ma nella mitezza e nella mansuetidine. E' quello che Gesù dice quando afferma: "Beati i miti perché erediteranno la terra!" Questa mitezza è una caratteristica di Dio stesso. Nel libro della sapienza troviamo scritto: "Tu, padrone della forza, giudichi con mitezza; ci governi con molta indulgenza, perché il potere lo eserciti quando vuoi." Dice ancora l'Antico Testamento: "Ancora un poco e l'empio scompare, cerchi il suo posto e più non lo trovi. I miti invece possederanno la terra e godranno di una grande pace."
Se uno eredita vuol dire che è figlio e il bene che eredita è di suo padre. Dunque chi è mite ha per Padre Dio: a Lui appartiene tutta la terra ed Egli la dà a chi si comporta come Lui.
Parlando del carattere di una persona, noi non giudichiamo se uno è sapiente o intelligente; ma se è mite o sobrio. Si dice in proverbio: ne attira di più una goccia di miele che un barile di aceto.
E san Paolo parlando ai suoi cristiani diceva: "Dove c'è gelosia e spirito di contesa, c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni. La sapienza che viene dall'alto invece è anzitutto pura; poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti. Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace."
La mansuetudine dunque è rimedio alla ferocia. Chi sono i mansueti? I mansueti sono quelli che trattano il prossimo con dolcezza, e ne soffrono con pazienza i difetti e i torti che da essi ricevono, senza querele, risentimenti o vendette. Il fiore del campo profuma anche chi lo coglie, o peggio lo calpesta. Compi le tue opere con mansuetudine e sarai amato da tutti.
Considerando l'uomo dal lato della ragione, è più naturale per l'uomo adirarsi ed essere mansueto: ragionando infatti si trovano motivi per arrivare ad arrabbiarsi, a non sopportare le cose che non vanno; sotto un altro però aspetto la ragione smorza l'ira; perché chi è adirato, "ascolta imperfettamente il comando della ragione"; è la ragione stessa che ci dice che occorre mettere un freno alla rabbia perché non risolve le cose.
Una maniera che la Chiesa ci propone per diventare più umili e miti, ad imitazione di Gesù che dice: "imparate da me che sono mite e umile di cuore", è la confessione dei propri peccati.
Anche farsi consigliare da persone di fiducia sagge e equilibrate può essere di aiuto. Lo sivede da questa storia semplice e grossolana, ma che aiuta a capire e poi concludo.
C'era un anziano monaco che aveva un discepolo che, quando si sedeva per mangiare, aveva l'abitudine di mettere i piedi sulla tavola. E l'anziano sopportò questa offesa per lunghi anni senza fargli alcun rimprovero. Alla lunga, nondimeno, andò a trovare un altro anziano e gli parlò del fratello; e l'anziano gli disse: "Completa la tua carità e mandamelo". Quando il fratello venne dall'anziano, giusto nel momento del pasto, l'anziano si alzò e preparò la tavola. Quando si assisero, l'anziano mise immediatamente i piedi sulla tavola. Il fratello gli disse allora: "Abba, non è bene mettere i piedi sulla tavola ". E l'anziano gli rispose: "Perdonami, figlio mio, tu hai detto il vero, poiché è un peccato". Il fratello ritornò dal proprio maestro e gli raccontò l'accaduto. Quando l'anziano l'ebbe saputo, comprese che il suo discepolo si era corretto. Dopo d'allora, il fratello non lo fece più.
E' chiaro che quel primo anziano aveva ragione, ma non si era messo a discutere, aveva avuto la prudenza di aspettare e si era fatto consigliare; così aveva ricevuto l'aiuto che chiedeva. Facciamoci aiutare anche noi dalla grazia di Dio per vivere questa virtù così importante della mitezza, quella che ha permesso a san Francesco di domare il lupo di Gubbio e quella che può permettere al mondo di andare avanti e a chi la pratica di avere un futuro.