Omelia (17-09-2006)
don Daniele Muraro


Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui.


Le ultime parole del Vangelo di oggi sono esigenti: Gesù chiede di rinnegare se stesso e di prendere la croce. E' giusto un linguaggio del genere?
Dopo le riflessioni della volta scorsa sulla prudenza siamo in grado di capire meglio l'ammonimento di Gesù, "Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà". Per evitare amare disillusioni è meglio essere prudenti e non confidare nella propria furbizia. Pensare di salvarsi senza aiuti nel mare delle difficoltà equivale a ritenere di potersi sollevare per i capelli; se poi ci si getta a capofitto nei problemi con la certezza poterne sempre venire a capo questo comportamento rasenta l'incoscienza. Essere prudenti però abbiamo detto la volta scorsa non vuol dire essere passivi; sorge allora il problema: "Che cosa è giusto fare?"
San Pietro nel Vangelo risponde una volta esattamente e la volta successiva invece si prende il rimprovero da parte di Gesù. Non possiamo dire però che fare la cosa giusta equivalga al 50/50, o la va o la spacca. Allora incontriamo più da vicino questa virtù della giustizia.
Nel caso del Vangelo san Pietro riconosce giustamente a Gesù il titolo di Cristo, ossia di Salvatore, e poi però viene meno quando si tratta di attribuire a questo Salvatore un destino di sofferenza.
Potremmo definire la giustizia la volontà costante e perenne di dare a ciascuno il suo. Vediamo così che l'esercizio della virtù della giustizia non si deve limitare alla aule dei tribunali, come l'esercizio della virtù della prudenza non è ristretta alla guida nel traffico.
Ciascuno di noi ha ogni giorno, potremmo dire ogni istante a che fare con il prossimo, più o meno direttamente, e nei suoi confronti è tenuto ad esercitare la giustizia.
A dire il vero questa giustizia in prima battuta ci aspettiamo che sia praticata dagli altri nei nostri confronti. Questo è naturale, però se esistono dei diritti, esistono anche dei doveri. Diritti senza doveri diventano privilegi.
Dare a ciascuno il suo, comporta di riconoscere anche agli altri dei diritti e poi rispettarli. Nella seconda lettura abbiamo un esempio lampante di questa verità: non basta auspicare o augurare il bene al prossimo, bisogna anche attivamente impegnarsi per garantirgli questo bene di cui ha bisogno.
Nella sua enciclica papa Benedetto XVI ci dà preziose indicazioni a questo proposito: "Il giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della politica. Uno Stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe ad una grande banda di ladri, come disse una volta Agostino... La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia. Deve inserirsi in essa per la via dell'argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunce, non può affermarsi e prosperare."
La giustizia richiede sempre rinuncia dice il Papa e questo è un argomento delicato, perché quelli che dobbiamo rinunciare siamo noi.
Esistono infatti a grandi linee due tipi di giustizia: una giustizia distributiva e una giustizia commutativa o di scambio.
Per giustizia distributiva si intende fare le parti uguali o per meglio dire proporzionate: se c'è da spartire una torta non se ne può dare tre fette al primo e all'ultimo nessuna; semmai si deve tenere conto dell'età, della salute e ultimamente anche dell'appetito, perché se uno non la vuole non si gliela può dare per forza.
In particolare i bambini sono sensibili a queste cose, cioè non vogliono preferenze di persone. In questo campo, ossia nella spartizione dei beni materiali, è difficile essere perfettamente giusti. Anche prescindendo dal fatto che un po' di torta resta sempre attaccata al coltello, è difficile accontentare tutti e il motivo è doppio, prima di tutto i beni materiali da soli non possono dare la felicità e poi gli stessi beni materiali da spartire sono limitati.
Questo modo di intendere le cose ha una doppia conseguenza: innanzi tutto è meglio essere approssimativamente giusti che precisamente sbagliati. Questo lo sapevano anche gli antichi per cui il massimo del diritto era anche il massimo dell'ingiustizia, cioè l'applicazione più rigorosa della legge si risolve nella più grave delle ingiustizie. Quindi andare solo per vie legali o anche, come si dice, essere fiscali, non conviene se si vuole essere realmente giusti.
Poi siccome la coperta è corta, occorre anche sapere rinunciare a qualche proprio diritto. Questa è la giustizia commutativa, o di scambio: in cui non è possibile dare qualcosa a qualcuno senza toglierlo a qualchedun altro. Tocchiamo un tasto delicato perché chi al giorno d'oggi rinuncia a qualche cosa che gli spetta, e se anche uno lo facesse, non c'è il rischio di venire presi per stupidi?
Gesù non solo ha rinunciato all'onore che gli spettava come il Figlio di Dio, ma ha anche preso la croce, e invita anche noi a fare altrettanto, tuttavia le istanze della giustizia non sono eliminate nel cristianesimo. Infatti il discorso di Gesù nel Vangelo di oggi termina con una promessa: "chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà".
Alla fine Cristo, in quanto giusto giudice, renderà a ciascuno il suo, cioè praticherà la giustizia. "Il ricco commette ingiustizie, e per di più se ne vanta; il povero subisce ingiustizie, e per di più deve scusarsi." dice il libro del Siracide, ma questo modo di fare avrà fine, non subito però.
Chi è pietoso verso i crudeli, finisce con l'essere crudele verso i pietosi: questa è la critica che tante volte viene fatta a Dio che permette il male.
La risposta sta in questo ragionamento: "È meglio lasciare che accadano ingiustizie, piuttosto che rimuoverle commettendo illegalità." La maniera che Dio ha trovato per rimuovere l'ingiustizia, senza commettere altro male è stata la croce di Gesù. Attraverso la passione e la morte di Gesù noi siamo stati giustificati, cioè resi giusti, realmente e non solo per finta, davanti ai suoi occhi.
Al mondo ci insegna Pascal ci sono due specie di uomini: i giusti, che si credono peccatori, e i peccatori, che si credono giusti.
Di fronte al rimprovero di Gesù san Pietro non si ribella, ma ritorna al suo posto, quello di discepolo. (Vade retro satana, significa proprio questo: tentatore, ritorna indietro al posto giusto, quello che ti compete.)
In seguito san Pietro nella sua prima lettera tornerà su questo argomento e parlerà diversamente da vero discepolo:
"È una grazia per chi conosce Dio subire afflizioni, soffrendo ingiustamente; che gloria sarebbe infatti sopportare il castigo se avete mancato? Ma se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, poiché
anche Cristo patì per voi,
lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme:
egli non commise peccato
e non si trovò inganno sulla sua bocca,
oltraggiato non rispondeva con oltraggi,
e soffrendo non minacciava vendetta,
ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia.
Egli portò i nostri peccati nel suo corpo
sul legno della croce,
perché, non vivendo più per il peccato,
vivessimo per la giustizia".
E' impossibile essere buoni senza essere giusti e anzi, strettamente parlando nessuno ha il diritto di fare ciò che vuole, tranne quando vuole fare ciò che è giusto.
I saggi dell'antichità ci avvertono: "Ogni problema ha tre soluzioni: la mia soluzione, la tua soluzione, e la soluzione giusta."
Fai sempre la cosa giusta. Questo gratificherà alcune persone e sorprenderà le altre. Non basta fare le cose in modo giusto, occorre fare anche quelle giuste. Fare le cose nel modo giusto vuol dire rispettare le regole; ma per avere l'autorevolezza si richiede di fare le cose giuste.
Concludiamo: Dio è giusto e perciò ama la giustizia. La giustizia non elimina la necessità e lo slancio della carità fraterna. Semplicemente l'amore non può essere autentico se non parte dalla verità e la giustizia è la verità dell'amore, un amore che non si accontenta delle parole ma si dimostra con i fatti.
"Dove c'è gelosia e spirito di contesa, lì c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni." E' san Giacomo che parla nella seconda lettura e poi continua: "Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Desiderate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra!"