Omelia (24-09-2006)
don Daniele Muraro


Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui.


Dopo avere visto la virtù della prudenza e la settimana scorsa quella della giustizia, oggi ci soffermiamo sulla virtù della fortezza.
Questi tre atteggiamenti sono collegati fra di loro. La prudenza si guarda intorno, la giustizia opera e la fortezza porta a compimento. Infatti non basta iniziare, occorre anche portare a termine e per mettere in pratica fino in fondo i buoni propositi occorre fare appello alla virtù della fortezza.
La fortezza poi ci è necessaria soprattutto quando la nostra volontà di operare il bene incontra degli ostacoli. Per la giustizia che uno persegue, e per le altre opere buone che uno compie, facilmente l'uomo giusto va incontro a opposizioni e contrarietà. Lo abbiamo sentito nella prima lettura dove sono riportati i ragionamenti degli empi: "Tendiamo insidie al giusto perché ci è di imbarazzo ed è contrario alle nostre azioni..."
Con la sola sua presenza il giusto serve da rimprovero a chi non ha la coscienza apposto e allora invece di cambiare, come sarebbe auspicabile, il malvagio medita come togliere di mezzo quello che identifica come la causa del suo malessere, danneggiandolo in varie maniere, nella credibilità, inventando menzogne a suo danno, nella dignità, mettendolo in ridicolo ed esponendolo al disprezzo dell'opinione pubblica, fino a colpirlo nel patrimonio e negli affetti se non nella stessa vita.
Sembrano scenari lontani, e in parte lo sono, ma fra i peccati contro lo Spirito santo la Chiesa conosce anche l'invidia della grazia altrui, cioè quell'odio che viene per pura malizia, per contrariare la bontà e la giustizia che vengono dallo Spirito santo.
"Dove c'è gelosia e spirito di contesa, lì c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni." E' san Giacomo che parla nella seconda lettura e poi continua: "Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Desiderate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra!"
L'atteggiamento descritto da san Giacomo non è fortezza, ma ostinazione che non impara dai propri errori e conduce alla rovina.
La fortezza non si oppone ciecamente a chi ostacola o frena i nostri progetti. Nel vocabolario fortezza è contrapposta a debolezza, ma nella vita chi è forte con i deboli spesso è lo stesso che si dimostra debole con i forti e questo non va bene.
La fortezza invece i implica una certa fermezza d'animo e consiste in un deliberato esporsi a pericoli e disagi in vista di un bene superiore.
Se uno appena vede arrivare un pericolo scappa non si può dire che sia forte, d'altra parte non c'è bisogno di andare in cerca delle difficoltà per mettere alla prova la propria forza interiore; le difficoltà vengono da sole ed è già tanto non cercare di scansarle.
Gesù nel Vangelo istruisce i suoi discepoli sul suo destino di sofferenza e di morte. Poco dopo essi discutono su chi di loro fosse il più grande. Addirittura ad un certo punto arriva anche la madre degli Apostoli Giacomo e Giovanni a chiedere per i propri figli che uno sia seduto alla destra e uno alla sinistra del trono di Gesù, quando finalmente Egli stabilirà il suo regno.
Quella degli Apostoli e anche della madre sono pretese che cadono nella fantasticheria, perché è più facile immaginare di vincere al Totocalcio, piuttosto che andare a lavorare.
Nell'Antico Testamento c'erano profeti veri e profeti falsi: l'indizio per distinguerli era che i falsi profeti compiacevano gli ascoltatori prevedendo un futuro di pace e senza contrarietà, invece i profeti mandati da Dio, a malincuore, dovevano annunciare violenze e distruzioni.
Un esempio di resistenza al male e di lucidità nel denunciarlo è Geremia, che durante l'assedio di Gerusalemme ad un certo punto viene anche arrestato con l'accusa di fiaccare il morale della gente con le sue parole di sventura. Egli risponde:
Il Signore mi ha detto: "I profeti hanno predetto menzogne in mio nome; io non li ho inviati, non ho dato ordini né ho loro parlato. Vi annunziano visioni false, oracoli vani e suggestioni della loro mente". Perciò così dice il Signore: "I profeti che predicono in mio nome, senza che io li abbia inviati, e affermano: Spada e fame non ci saranno in questo paese, questi profeti finiranno di spada e di fame. Gli uomini ai quali essi predicono saranno gettati per le strade di Gerusalemme in seguito alla fame e alla spada e nessuno seppellirà loro, le loro donne, i loro figli e le loro figlie. Io rovescerò su di essi la loro malvagità".
E poi:
Tu riferirai questa parola:
"I miei occhi grondano lacrime notte e giorno, senza cessare, perché da grande calamità è stata colpita la figlia del mio popolo, da una ferita mortale. Se esco in aperta campagna, ecco i trafitti di spada; se percorro la città, ecco gli orrori della fame."
Tutti aspiriamo ad essere consolati e rassicurati, la virtù della fortezza ci invita a fare i conti con la realtà. Fra i tanti modi di fuggire il confronto con il male quello di perdersi nella fantasia è più sottile, ma forse anche il più diffuso.
Le aspettative dentro il cuore degli uomini sono tante, ma raramente esse si realizzano senza un contributo da parte della volontà e senza prima avere preso coscienza di come stanno realmente le cose. Non bisogna disprezzare l'anelito al bene e alla felicità che ciascuno porta in sé, ma l'esperienza e la rivelazione da parte di Dio ci insegnano che la via per raggiungere queste mete è più tortuosa di quanto noi di primo impatto siamo pronti ad ammettere.
Se poi il pericolo diventa evidente ecco che la stessa nostra disposizione d'animo imperfetta già riscontrata prima ci spinge ad aggredire il male presente piuttosto che a sopportarlo.
Eppure l'atto principale della fortezza non è aggredire, ma resistere, cioè restare fermi nei pericoli. Resistere è più difficile, ma anche più meritevole.
Chi non evita un male presente, pur potendolo fare è uno sciocco. Ma non tutti i mali sono evitabili e neanche superabili. Colui che aggredisce si dimostra più forte di quello che viene aggredito e lo anticipa, ma se è il male ad essere in vantaggio allora la propria forza la si dimostra nel sopportare. Chi sopporta sopporta per il presente e anche per il futuro. Chi aggredisce può essere temerario e dovere battere in ritirate, ma chi sopporta è sempre virtuoso e merita la nostra considerazione.
La virtù della fortezza impedisce alla ragione di venire sopraffatta dai dolori fisici o anche solo dall'aspettativa di essi e fa anche di questi dolori un'occasione per diventare migliori, preparandosi per tempo ad affrontarli e poi accettandoli serenamente per quanto possibile.
Chi vince gli altri è muscoloso; chi vince se stesso è forte. Il fuoco è la prova dell'oro, la sventura quella dell'uomo forte. Se uno non è forte nella fede, dalla sofferenza verrà solo sofferenza; se uno invece vive nella fede anche la sventura, come per Gesù, dal suo patire, viene una capacità di vita nuova.
Ecco perché Gesù invita a non insuperbirsi, ma a incominciare dalle piccole cose interessandosi di sollevare i dolori del prossimo: essere a servizio degli altri invece che farsi servire. Questa è una maniera per cominciare fin da adesso a prepararci agli assalti del male e a saperli vincere.
Potremmo anche dire che Egli non avrebbe sopportato con tanta forza la sua passione se non si fosse preparato durante la sua vita assistendo i poveri e guarendo i malati.
Accogliamo perciò l'invito della Parola di Dio e sappiamo riconoscere le occasioni in cui viene messa alla prova la nostra forza interiore in vista di rendere sempre più salda la nostra fede e operosa la nostra carità.