Omelia (01-10-2006)
don Daniele Muraro


Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui.

Dopo aver parlato della prudenza, della giustizia e della fortezza adesso tocca di parlare della temperanza. Di tutte e quattro le virtù cardinali questa è la più ignorata. Si desidera la giustizia e si ammira la fortezza, ma della temperanza sembra che non si sappia che cosa farsene, o per meglio dire la si relega all'ambito privato. Mentre la giustizia è per forza una virtù sociale e la fortezza ottiene dei risultati apprezzabili nel tempo, della temperanza manifestata pubblicamente si dubita e poi non interessa. La temperanza stessa si presenta sottotono. Il suo nome infatti implica una certa moderazione, o temperamento dovuto alla ragione. La tempera è qualcosa di allungato finché non raggiunge il grado giusto di densità per essere adoperato. Per esempio il colore a tempera si vende a secchi, ma poi ha bisogno di essere diluito in acqua prima di essere steso. Adoperarlo puro sarebbe uno spreco oltreché un impaccio per il pittore.
Quello che fa l'acqua con la pasta del colore, la temperanza lo fa con il desiderio. Anche i desideri infatti vanno diluiti nel tempo per evitare che si ingrumino e che ostruiscano il nostro cammino verso la felicità. Gli acidi e i solventi puliscono, ma per evitare che intacchino i metalli e le stoffe bisogna usarli nella giusta soluzione; la temperanza indica la giusta soluzione per mettere a frutto la pronta presa dei desideri, senza rovinare se stessi.
È compito della temperanza conservare noi stessi integri ed incorrotti in mezzo alle vicende della nostra esistenza. Molte sono le cose che piacciono, ma non tutte giovano.
"Tutto mi è lecito!". Dice san Paolo, riportando il ragionamento di alcuni cristiani di Corinto e poi corregge: "Ma non tutto giova." "Tutto mi è lecito!" "Ma io non mi lascerò dominare da nulla.".
Mentre la fortezza spinge a sopportare, la temperanza ritrae dalle cose che attraggono l'appetito contro la ragione. La temperanza più di tutte le virtù ha a che fare con la bellezza perché più d'ogni altra virtù toglie dall'uomo lo squallore.
Veniamo subito agli esempi. Come diceva quello la dignità è l'unica cosa che non si conserva nell'alcol. E se si vuole convincere uno a smettere di bere una delle medicine più efficaci è fargli osservare attentamente, da sobrio, il comportamento di un ubriaco.
La temperanza insomma aiuta a distinguere fra mezzi e fini: se un alimento si presenta bene è meglio, ma è più importante che un alimento sia sano, che non di bell'aspetto. Meglio un cibo sostanzioso anche se non soddisfa il gusto, che un alimento attraente per i sensi, ma pericoloso per la salute. Non sempre infatti ciò che è appariscente mantiene le promesse. Non fu così per Adamo ed Eva nel paradiso terrestre o giardino di Eden, che vuol dire giardino delle delizie, a maggior ragione ciò vale nella congiuntura attuale.
San Giacomo apostolo a questo riguardo non è reticente e nella seconda lettura dice: "Avete gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di piaceri, vi siete ingrassati per il giorno della strage." Forse nel mentre scriveva queste cose aveva presente quel salmo che dice: "L'uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono".
Gesù nel Vangelo dà un insegnamento ancora più completo e diretto: "Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna.
Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».
E' chiaro che questi discorsi hanno bisogno di essere interpretati e siamo qua apposta. Tuttavia le parole di Gesù non vanno sottovalutate. Gesù ci dice una cosa importante: si può avere il tutto pur privandosi di una parte, anzi alle volte per ottenere il tutto bisogna proprio rinunciare a qualcosa. Evidentemente si tratta di qualcosa di non essenziale, ma superfluo.
Mi spiego con un esempio: oggi vanno di moda telefoni portatili che fanno di tutto (meno che il caffè); se però il mio scopo è comunicare con gli altri e rimanere collegato con loro, potrò accettare un telefono con qualche funzione in meno, ma che non mi distragga dal mio intento principale che appunto è quello di stabilire un legame con il mondo e non isolarmi da questo mondo.
Naturalmente è solo un esempio, e ciascuno lo può adattare alla sua situazione, ma resta valido il principio che uno conosce realmente le sue necessità, se conosce il suo scopo. Agire secondo ragione infatti non può essere surrogato da nessun mezzo tecnico e la ragione di cui parliamo non è solo quella che calcola le convenienze, ma è quella che stabilisce le priorità, cioè che mette in ordine le necessità secondo una scala di valori.
Con poco si può ottenere molto; ce lo garantisce Gesù nel Vangelo: "Chiunque vi darà da bere un bicchiere di acqua nel mio nome perché siete di Cristo vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa" e con il molto si può perdere anche quel che si ritiene poco: "il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si leverà a testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco".
Si esagera con il superfluo quando manca l'essenziale. Presentarsi bene è un segno di rispetto per sé e per il prossimo, ma affidare la propria fama all'aspetto esteriore significa trascurare quello che è più significativo, ossia le proprie azioni e le inclinazioni del cuore. Madre Teresa aveva un volto scavato dalle rughe, ma non per questo il suo animo aveva perso la delicatezza e la freschezza della gioventù e prima di morire tragicamente anche Diana Spencer ha voluto incontrare la santa e rendergli omaggio.
Avviciniamoci alla fine: il tutto può essere in un frammento. La fede ci istruisce che in ogni ostia consacrata è presente tutto Gesù Cristo, con il suo corpo risorto, la sua anima e la sua divinità. Le ostie sono tante, ma Gesù non si divide; anche se viene spezzata, ogni frammento di ostia contiene integra la presenza del nostro Salvatore. In questo caso la parte vale per il tutto e chi riceve un'ostia più grande non ha una maggiore grazia di chi ne riceve una briciola.
Si può dare anche il caso contrario, che il tutto sia inferiore alla parte: chi vuole tenere insieme tutto: vita cristiana e mentalità secondo il mondo perderà e l'una e l'altro. La virtù della temperanza ci avverte proprio di questo: non si possono accontentare in tutto le esigenze del corpo e anche le esigenze dello spirito. C'è un conflitto di interessi: lasciato ai suoi desideri il corpo invade anche l'ambito di competenza dello spirito, perciò come con le siepi ogni tanto è necessario temperare il suo vigore, riportandolo alle sue giuste proporzioni.
Questa operazione andrà a vantaggio di tutto l'uomo anche del corpo stesso: infatti l'ideale del cristiano non è l'insensibilità, ma la beatitudine e data la nostra condizione attuale essa non si raggiunge senza una qualche rinuncia.
Il corpo è la maniera che abbiamo di comunicare con gli altri, ma attualmente con le sue pretese e le sue infermità è anche la barriera che impedisce una intesa piena. La resurrezione dei corpi significherà appunto che il corpo avrà smesso di costituire un ostacolo alla comunicazione e diventerà strumento di una comunione senza fine.
Concludiamo: lo slancio dei nostri desideri si può paragonare ad un torrente in piena; prima che l'impeto dei flutti del desiderio intacchi la limpidezza della ragione e la solidità della volontà, occorre mettere delle dighe; allora non solo il desiderio non verrà annullato, ma sarà messo e a frutto e lavorerà per il nostro futuro e per il nostro vero bene.