Omelia (08-10-2006)
don Daniele Muraro


Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui.

Nelle domeniche precedenti abbiamo visto le quattro virtù cardinali. Esse sono il cardine o il fondamento di una vita morale retta. La virtù è una buona disposizione dell'anima, come la salute lo è del corpo: questo principio vale per tutti gli uomini. Infatti si possono trovare persone prudenti, o coraggiose o forti o temperanti sotto tutte le latitudini e di ogni condizione sociale o credo religioso.
Che rapporto c'è fra virtù e pratica religiosa e in particolare fra virtù e pratica cristiana?
A questo proposito le considerazioni possono oscillare fra il negare che l'uomo da solo senza la grazia di Dio e di Cristo sia capace di alcune azione virtuosa e invece il sostenere che la grazia non sia necessaria all'uomo in quanto tale e che quindi alla fine, non lo si dice ma lo si pensa, vivere in grazia di Dio sia anche inutile, oltreché insignificante.
Chi intende negare che l'uomo da solo sia capace di alcunché di buono lo fa appoggiandosi alla malvagità delle passioni. L'uomo è sottoposto a tanto numerose e tanto diverse tentazioni che, secondo questa visione delle cose, è impossibile che uno ne esca incontaminato e la macchia dell'errore un po' alla volta si estenderà a tutta l'esistenza non toccata dalla giustificazione di Dio in Cristo Gesù.
A questo ragionamento dobbiamo opporre che solo le passioni disordinate ostacolano lo sviluppo delle virtù, mentre dalle passioni regolate vengono energie positive per la pratica di una vita saggia e secondo ragione.
Dal timore infatti viene una spinta alla prudenza e dal coraggio un sostegno alla fortezza, purché tutto passi al vaglio di una ragione che non si sottrae al suo compito di vagliare e regolare. Allo stesso modo lo sdegno è un invito alla ricerca della giustizia e la malinconia si può tramutare in temperanza.
Possiamo dire anche di più: la virtù vince le passioni disordinate, ma produce quelle ben regolate.
Se quella di condannare ogni manifestazione dell'animo umano come peccaminosa è un pericolo, non dobbiamo tuttavia cadere nell'esagerazione opposta, ossia di assolvere ogni inclinazione o desiderio, pensando che sia sufficiente la ragione o buon senso a evitare danni e fallimenti.
Chi pensa così ritiene che tutto il bene sia già presente dentro l'uomo e che l'impegno della ragione ed eventualmente della volontà consista nello sgrezzare ciò che nell'animo umano rimane ancora allo stato primitivo. Era l'idea che il grande Michelangelo aveva della scultura. La statua è già tutta presente dentro il blocco di marmo; l'abilità dell'artista consiste unicamente nel togliere quello che vi intorno e che appesantisce i contorni.
Questa è la mentalità comune dei dibattiti televisivi: bisogna togliere dai propri comportamenti e dalle proprie convinzioni tutto quello che è sgradevole e che può ostacolare l'intesa, facendo appello ad un comune sentimento di umanità e se non è possibile di meglio, di tolleranza.
Il risultato è una falsa spontaneità che toglie la gioia di fare il bene perché si accontenta di non disturbare e di non essere disturbati, senza mirare alle alte cime della felicità.
In realtà esistono per l'uomo due tipi di felicità. La prima, proporzionata alla natura umana, consiste nello stare bene e nell'avere diciamo così una vita normale. La seconda, che sorpassa la natura umana, l'uomo può raggiungerla con la sola potenza di Dio, mediante una partecipazione della divinità; poiché, come dice sant'Agostino rivolto a Dio: "Tu, Signore, ci hai fatti per Te e il nostro cuore è inquieto finché non abbia raggiunto Te".
Le virtù teologali, ossia la fede, la speranza e la volontà hanno precisamente questa funzione di condurci a vivere in noi stessi la vita di Dio perché hanno per origine Dio stesso.
"Deus caritas est": Dio è amore ci ha detto papa Benedetto nella sua enciclica. "L'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore." Lo annuncia l'apostolo Giovanni nella sua prima lettera.
Nel Vangelo di quest'oggi Gesù parla del matrimonio: matrimonio e amore sono due termini che si richiamano a vicenda. Per quelli che piangono durante la cerimonia amore e matrimonio coincidono: il matrimonio è il coronamento di un sogno di amore. Per quelli che fuori della chiesa preparano gli scherzi il matrimonio è la tomba dell'amore. Qui l'ironia si spreca e non sempre è a proposito, comunque manifesta un certo disagio.
Cito solo una battuta: "Il matrimonio è quella istituzione che permette a due persone di affrontare insieme difficoltà che non avrebbero mai avuto se non si fossero sposate."
Che dire allora del matrimonio cristiano? Certamente esso è la via ordinaria in cui un battezzato esprime la virtù teologale della carità.
Ci può venire in soccorso quello che abbiamo detto prima delle passioni: sposare una persona che non piace è un comportamento così autolesionista che non merita nemmeno compatimento. L'attrazione reciproca fra uomo e donna si deve però convertire in amore e questo amore deve essere un amore di carità. Se al principio e per un po' di tempo quella persona la si ama perché piace ad un certo punto deve piacere perché la si è amata e la si ama.
La virtù vince le passioni disordinate ma produce quelle ben regolate.
Il catechismo della Chiesa cattolica, nella parte sul Matrimonio, che ho adoperato tante volte nei corsi fidanzati, dice le cose come meglio non si potrebbe. Allora ne riporto qualche passaggio.
Dio, che ha creato l'uomo per amore, lo ha anche chiamato all'amore, vocazione fondamentale e innata di ogni essere umano. Che l'uomo e la donna siano creati l'uno per l'altro, lo afferma la Sacra Scrittura: "Non è bene che l'uomo sia solo". La donna rappresenta così Dio dal quale viene il nostro aiuto Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne.
Ogni uomo però fa l'esperienza del male, attorno a sé e in se stesso. Questa esperienza si fa sentire anche nelle relazioni fra l'uomo e la donna. Da sempre la loro unione è stata minacciata dalla discordia, dallo spirito di dominio, dall'infedeltà, dalla gelosia e da conflitti che possono arrivare fino all'odio e alla rottura. Questo disordine può manifestarsi in modo più o meno acuto, e può essere più o meno superato, secondo le culture, le epoche, gli individui, ma sembra proprio avere un carattere universale.
Secondo la fede, questo disordine che noi constatiamo con dolore, non deriva dalla natura dell'uomo e della donna, né dalla natura delle loro relazioni, ma dal peccato. Rottura con Dio, il primo peccato ha come prima conseguenza la rottura della comunione originale dell'uomo e della donna.
Nella sua predicazione Gesù ha insegnato senza equivoci il senso originale dell'unione dell'uomo e della donna, quale il Creatore l'ha voluta all'origine: il permesso, dato da Mosè, di ripudiare la propria moglie, era una concessione motivata dalla durezza del cuore; l'unione matrimoniale dell'uomo e della donna è indissolubile: Dio stesso l'ha conclusa. "Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi".
Questa inequivocabile insistenza sull'indissolubilità del vincolo matrimoniale ha potuto lasciare perplessi e apparire come un'esigenza irrealizzabile. Tuttavia Gesù non ha caricato gli sposi di un fardello impossibile da portare e troppo gravoso, più pesante della Legge di Mosè. Venendo a ristabilire l'ordine iniziale della creazione sconvolto dal peccato, egli stesso dona la forza e la grazia per vivere il matrimonio nella nuova dimensione del Regno di Dio. Seguendo Cristo, rinnegando se stessi, prendendo su di sé la propria croce gli sposi potranno "capire" il senso originale del matrimonio e viverlo con l'aiuto di Cristo. Questa grazia del Matrimonio cristiano è un frutto della croce di Cristo, sorgente di ogni vita cristiana.
Sono parole che meritano di essere meditate, soprattutto dagli sposi per rinverdire il dono che è in loro tramite il sacramento che hanno celebrato e che rimane attivo.
Dopo la caduta, il matrimonio aiuta a vincere il ripiegamento su di sé, l'egoismo, la ricerca del proprio piacere, e ad aprirsi all'altro, all'aiuto vicendevole, al dono di sé. La fedeltà di Gesù alla sua missione, una fedeltà che Egli ha sigillato in un patto di nuova ed eterna alleanza fra lui che è Dio e la sua Chiesa è una garanzia per tutti gli sposi cristiani e per tutti noi che della Chiesa siamo figli che l'amore-carità oltreché necessario è anche possibile e che alla fine sarà il vincitore.