Omelia (09-02-2003) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Gesù fra i malati e gli infermi... L'esperienza ci insegna che tutte le volte che ci viene rilasciato un documento questo viene vidimato da un timbro accompagnato da una firma. E' questa la garanzia dell'autenticità del documento medesimo e dell'attendibilità delle affermazioni di chi lo rilascia. A volte succede che timbro e firma non siano neppure sufficienti: a proposito di determinati documenti occorre anche l'autenticazione della firma medesima. Tutto questo, come dicevamo, appunto perché chi legge quel foglio possa sincerarsi della veridicità del messaggio che contiene. E' il testo dello scritto quello che assume importanza fondamentale, non i supporti di vidimazione!! Così analogamente potremo definire i miracoli e i prodigi operati da Dio nell'Antico Testamento, quelli realizzati da Gesù e molti altri che interessano le "rivelazioni private" quali le guarigioni di Lourdes o le apparizioni di Fatima. Nel caso di queste ultime la chiesa opera "l'autenticazione", ovvero si accerta attraverso procedimenti scientifici e altro ancora che essi siano realmente di origine divina. In tutti i casi, il miracolo non è altro che il "timbro" o se vogliamo il "sigillo" che conferma la Parola che Dio ha comunicato: essi costituiscono cioè la "prova tangibile che Dio ha parlato." Ed è questo il senso dei miracoli e delle esternazioni soprannaturali operate da Gesù: essi confermano i Suoi insegnamenti relativi ad un Dio Padre di misericordia verso i deboli, i poveri, gli emarginati... gli ammalati. Ed è per questo motivo che il Signore esige sempre il "segreto messianico" dopo la realizzazione di ciascuno dei suddetti eventi: Egli non vuole apparire come una persona eccezionale, quasi alla stregua di un medico eccellente o un taumaturgo dagli enormi poteri, né ammette forma alcuna di sensazionalismo o di propaganda intorno alla Sua persona: vuole essere riconosciuto nella fede come il Dio fatto uomo per la salvezza del mondo, il Rivelatore, la Parola fatta carne. Per questo Gesù si ritira nel deserto in solitudine: perché, conscio che il suo è un mandato del Padre, lungi dal sottostare alla vanagloria e al consorzio mondano, preferisce confidarsi con il Padre per poi affrontare il mondo con rinnovata fiducia e fervore apostolico. Oggetto di particolare interesse sembrano essere in questa sezione di Vangelo gli ammalati: essi nell'economia veterotestamentaria erano additati come peccatori, in quanto qualsiasi infermità era considerata come conseguenza di un malessere morale e quindi di un peccato. Appunto, Gesù desidera in primo luogo eliminare il male che maggiormante rovina l'uomo collettivo ed individale: il peccato, che corrisponde all'allontanamento volontario da Dio e per ciò stesso alla rovina dell'uomo, per il quale sembra oggi (proprio oggi) che tutte le volte che si presenti una problematica di qualsiasi tipo si debba cercare di risolverla con il ricorso alle armi e ai confliti mondiali... Sant'Agostino distingueva benissimo fra "malato" e "infermo"; nel primo caso si tratta semplicemente degli ammalati fisici, nel secondo di "colui che non sta fermo", vale a dire ossessionato dalla propria inquietitudine legata al peccato. Ed è appunto l"'infermità" che Gesù viene a togliere. Tuttavia, questo non significa che il Signore non si ponga come Speranza reale ed effettiva anche per gli ammalati propriamente detti e per quanti si prestino per la loroc cura ed assistenza. Solo chi soffre nel proprio corpo può descrivere il dolore fisico e le conseguenze ddi carattere spirituale che esso comprta: solo chi è costretto alla carrozzella da una paralisi può descrivere lo stato di malessere e di angoscia a motivo della sua inefficienza (apparente); solo chi vive determiante situazoni di dolore fisico come l'epilessia può parlare della gravità del suo problema descrivendo le continue crisi quotidiane che lo fanno cadere improvvisamente per terra. Che dire poi del turbamento di parecchi ammalati che vengono a conoscenza di essere prossimi alla morte? E' indescrivibile. In quest'ultimo caso non si vuole accettare inizailmente la raltà, ci si illude di sperare in un "errore" da parte dei medici nel formulare la diagnosi e infine ci si lascia afferrare dai grovigli della disperazione. Chi svolge continue opere di assistenza infermieristica e di cura degli ammaati sperimenta invece quanto poco sia gratificante la sua attività: occorre una smisurata pazienza e un grosso spirito di sopportazion nel trovarsi di fronte chi dipende continuamente dalle tue cure e, avvinto dalla sofferenza e dal malessere psicologico che ne consegue, avanza sempre più spesso pretese assurde. Eppure Gesù è la speranza di chi soffre. Lui ha sofferto sulla croce per dare fondamnto al nostro stesso soffrire che diventa missione salvifica allorquando lo si accetta nella determinazione e nella costante consacrazione al Signore. In più diventa missione per il fatto che contribuisce ad espiare i mali e i peccati di molta gente che altrimenti non si salverebbe e questo nella pedagogia di Paolo: "Completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo. " Negli ultimi capitoli del libro di Giobbe si nota come questi raccolga il premio di tante sue sofferenze fisiche, ma soprattutto che si accorga che dietro al suo dolore vi era un progetto divino anche se misterioso. Cristo cammina ancora accanto agli ammalati e ai sofferenti, facendo sue le ferite del corpo e dello spirito, nell'efficacia dell'unico farmaco fondamentale che è la speranza. |