Omelia (16-02-2003)
padre Gian Franco Scarpitta
"Lo voglio, sii guarito!"

Triste situazione quella che i lebbrosi erano costretti a subire nei tempi precedenti alla vanuta di Gesù Cristo! Il lro malessere li rendeva oggetto di ripudio e dI allontanamento da parte del contesto contesto della soietà in cui vivevano; non soltanto il lebbroso, ma chiunque recasse sulla sua pelle il minimo sintomo che lasciasse sospettare la presenza di questa terribile malattia doveva rassegnarsi ad essere guardato con sospetto dagli altri uomini, e da essi venire allontanato e considerato reietto, peggio ancora: impuro. La stessa deformazione cutanea caratterizzata da piaghe e pustole rendeva riprovevole semplicemente l'infermo semplicemente a guardarsi ed era già di per se stessa sufficiente motivo per cui il lebbroso venisse considerato con disprezzo, isolato dai suoi simili, maledetto da Dio e dagli uomini e abbandonato al proprio destino. Nient'altro che cadaveri ambulanti! Da aggiungersi, come se non bastasse tutto questo, la convinzione comune, preraltro priva di fondamento, per la quale chi fosse affetto da lebbra fosse colpevole di essersi contaminato commettendo una colpa grave o un peccato.In più, non soltanto il lebbroso era costretto a subire un siffatto martirio materiale e spirituale, ma era anche tenuto, nondimeno, ad osservare determinate prescrizioni come quella di gridare pubblicamente "Impuro, Impuro" in riferimento a se stesso.

Qual è invece l'atteggiamento di Gesù? Come si atteggia nei confronti del lebbroso che gli si avvicina e gli si pone innanzi? Certamente anche Gesù era uomo e istintivamente parlando non poteva non considerare la gravità della malattia di cui il suo interlocutore era affetto: un lebbroso è sempre un lebbroso; guardarlo fa' pena ed è normale che ci si debba premunire a tutela della propria immunità, procurando in tutti i modi di non essere contaminati. Tuttavia i sentimenti del Signore sono assai differenti e sconvolgenti rispetto al modo dominante di concepire la lebbra e il lebbroso. Apriamo una parentesi: abbiamo detto LA LEBBRA E IL LEBBROSO; ebbene, Gesù considera malessere fisico la prima, ma non mostra pregiudizio o avversione alcuna nei confronti del secondo; nota innanzitutto la sua inclinazione ad aprire il suo cuore alla presenza del Figlio di Dio fatto uomo, venuto a riscattare qualsiasi malessere fisico, spirituale e morale; in altre parole ammira la sua fede, emblematica in quelle semplici parole: "Se vuoi, puoi guarirmi"... Se vuoi! Cioè: "Se ritieni la mia fede talmente meritoria da guadagnarmi il prodigio della guarigione! Gesù non tarda a scoprire la fede di questo meschino e, con la medesima categoricità con cui la gente del suo tempo lo disprezzava così gli mostra l'amore infinito del Padre: "Lo voglio, sii guarito!"

Gesù non sta facendo dunque un semplice atto di filantropia, né si mostra in alcun modo un assistente sociale, ma sta semplicemente ricompensando la grande fede di chi ha fatto ricorso a Lui, e con questo mostra di essere superiore alle prescrizioni e ai decreti legislativi della sua epoca, mostrando contemporaneamente che, sempre che davvero quell'uomo avesse peccato, Dio mostra la sua misericordia appunto nei confronti dei deboli e dei peccatori, prediligendoli rispetto a tutti gli altri. Prova ne sia il fatto che subito dopo, Egli raccomanda al guarito di attenersi comunque alla normativa mosaica inerente la purificazione.

L'atteggiamento e (per implicito) l'atteggiamento di Gesù è molto chiaro e lampante, tuttavia parecchie evidenze mostrano come molti di noi (fatte le dovute eccezioni) siano ancora distanti dall'emulare il comportamento del nostro Redentore: il perbenismo borghese che caratterizza la nostra cultura europea contemporanea molte volte ostacola la nostra considerazione nei confronti di analoghe situazioni di miseria e di povertà. Più di una volta, durante i miei anni di studio a Roma, ma anche presso altre città italiane in cui ho vissuto e che comunque ho visitato ho notato la tendenza comune della gente a scongiurare la presenza dei barboni (che certo non oleozzano di chanel) a bordo degli autobus, mentre molte volte volte i medesimi si trovano costretti ad alloggi di fortuna presso le stazioni ferroviarie o metropolitane, da dove molte volte vengono cacciati. E' sufficiente leggere i giornali con particolare attenzione per osservare come, specialmente in questi periodi invernali, molti senzatetto trovano la morte sulle panchine dei giardini pubblici. Perché la solidarietà nei loro cnfronti è limitata soltanto alle lodevoli iniziative di carattere sociale? Perché nessuno di noi ha il coraggio, come una volta suggeriva Don Bensi, di sedersi accanto ad un barbone? Che cosa chiede questa gente se non un po' di calore umano e di solidarietà?

Che il fenomeno della massiccia immigrazione costituisca un serio problema alla stabilità del nostro sistema economico, questo è un dato di fatto non trascurabile. Ma non sono per nulla giustificabili gli atti di xenofobia che trovano vittime molti extracomunitari che vengono a trovare possibilità di sopravvivenza nei nostri liti. Occorre considerare l'enorme contributo che parecchi di essi danno alla società italiana nell'accettare moltissime occupazioni servili che i nostri giovani molto spesso rifiutano, quali il lavoro della terra e la pastorizia. L'iimmigrato va considerato come un altro "me stesso" e non già come un ostacolo da evitare. Queste sono tuttavia soltanto alcune delle moltissime "povertà" nei confronti delle quali la nostra società consumistica molto spesso si mostra indifferente. Occorre che non solo organizzazioni cattoliche o di altre estrazioni si interessino di queste precarietà, ma che ciascuno, specialmente il Cristiano, partecipe della sua conformità a Cristo mediante il battesimo mostri anzitutto un atteggiamento di comprensione verso chiunque sia affetto dalla "lebbra del secolo".