Omelia (01-11-2006) |
don Daniele Muraro |
Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui. Celebriamo la solennità di Tutti i santi. Come ci dice la prima lettura i Santi sono "una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua.". Infatti dobbiamo considerare Santi non solo quelli che la Chiesa eleva agli onori degli altari, ma anche tutti quelli che effettivamente dopo la loro morte già fin da ora godono della presenza di Dio nel Cielo. Per dichiarare santo uno, la Chiesa istruisce un lungo processo nel quale deve essere dimostrata l'eroicità delle sue virtù. Al termine di questo percorso si ha la canonizzazione, cioè vuol dire che quella persona può essere pregata in pubblico, si può ricorrere alla sua intercessione, perché è sicuro che nella sua vita terrena si è comportata secondo il Vangelo e ora gode di una speciale amicizia di Dio. L'approvazione della Chiesa però arriva solo alla fine, dopo che questo santo o santa di cui si parla è già entrato nella gloria del Paradiso e nulla esclude che Dio ammetta alla gioia del Cielo anche persone sconosciute o disprezzate in questo mondo. Anzi possiamo affermare con tranquillità che i santi canonizzati dalla Chiesa sulla terra sono solo una minima parte di tutti i santi del cielo, di quelli che già sono in questa condizione beata e di quelli che ci arriveranno in seguito dopo la purificazione del Purgatorio. Infatti la fede cattolica non conosce che due destinazioni finali: o la beatitudine eterna del cielo o la condanna eterna. Ma non è su questo punto che mi voglio trattenere oggi con voi, quanto piuttosto sul nostro rapporto con i santi. C'è qualcuno che pensa di fare torto a nostro Signore Gesù Cristo onorando i Santi e c'è anche qualchedun altro che pensa di fare un torto a sant'Antonio, mettiamo, accendendo una candela a san Francesco e non a lui. I santi però non sono invidiosi fra di loro, perché sono nella pace di Dio. Essi, che hanno fatto la volontà di Dio sulla terra, fanno la volontà di Dio tanto più nel Cielo. E nella volontà di Dio come dice Dante è la nostra pace. L'invidioso invece non ha pace. Infatti la felicità altrui ne ferisce l'anima con la sua presenza e la tortura con il suo ricordo. L'invidia dunque è una specie di tristezza e precisamente la tristezza per il bene altrui. In Paradiso non c'è invidia perché non c'è tristezza, ma solo beatitudine. E se i Santi in cielo non hanno invidia fra di loro, è perché non hanno avuto invidia di nessuno nemmeno sulla terra. All'invidia si oppone la misericordia e i santi hanno messo in pratica quello che raccomandava san Paolo ai cristiani di Roma: "Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri" e ancora san Paolo ai cristiani di Filippi: "Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il proprio esclusivo interesse, ma anche quello degli altri.". Proprio perché questi santi sono stati così disinteressati nella loro vita terrena, il popolo di Dio ricorre alla loro intercessione, perché sa quasi per istinto che non può essere insensibile nei confronti di noi che siamo ancora quaggiù o peggio invidioso del nostro bene chi è vissuto nell'amore di Dio e ora è confermato in esso. A questa tentazione dell'invidia siamo soggetti tutti. Noi abbiamo invidia soprattutto di coloro a cui le cose vanno bene e la cui buona sorte possiamo constatare direttamente. Non dobbiamo disprezzare i danni che sotto una forma di ragionevole critica può produrre l'invidia: dall'invidia infatti nascono l'odio, la mormorazione, la detrazione, l'esultanza per le avversità del prossimo, e il dolore per i suoi successi. Al principio della Bibbia veniamo a sapere che per invidia Giuseppe fu venduto schiavo dai suoi fratelli. Siamo alla vigilia della Commemorazione di tutti i defunti e non sarà inutile ricordare che: "La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo" come dice il libro della Sapienza. Come la ruggine consuma il ferro, così l'invidia consuma gli invidiosi. Uno che invidia non può star bene spiritualmente. L'invidia è la carie delle ossa ci avverte ancora il salmo. E l'autore del salmo 73 confessa: Per poco non inciampavano i miei piedi, per un nulla vacillavano i miei passi, perché ho invidiato i prepotenti, vedendo la prosperità dei malvagi. Non dobbiamo invidiare nessuno, ma i primi da non invidiare sono proprio i malvagi: "Non invidiare gli uomini malvagi, e non desiderare di stare con loro; poiché il loro cuore trama rovine e le loro labbra non esprimono che malanni." I santi ci dimostrano che è meglio essere che apparire. Il primo indizio di essere nato con grandi qualità, è l'essere nati senza invidia. Noi invidiamo gli altri più per quello che hanno che per quello che sono. Però non abbiamo una conoscenza completa dell'animo altrui. Se a ciascun l'interno affanno / si leggesse in fronte scritto, / quanti mai che invidia fanno / ci farebbero pietà! dice una famosa strofa poetica. A questo punto occorre però una puntualizzazione. Abbiamo detto ancora che lo scopo della vita cristiana non è l'insensibilità, ma la beatitudine. Dei santi non dobbiamo avere invidia, ma emulazione sì. Se l'invidia è un veleno, lo spirito di emulazione è un alimento. Così i santi ci sono dati non perché li ammiriamo da lontano, ma perché li imitiamo e dimostriamo nei fatti la considerazione con cui li teniamo. Vedendo tanti cristiani che vivevano intensamente la loro fede, e si trattava di persone di tutte le età e le condizioni sociali, Agostino di Ippona, che aveva aperto una scuola di retorica a Milano, disse: "Se ci riescono loro, perché non io" e chiese innanzi tutto di farsi battezzare; e così fece il primo passo per diventare il sant'Agostino che noi conosciamo. E proprio a sant'Agostino dobbiamo questo esempio: se a qualcuno piace la pittura, non questo o quello, ma proprio una pittura fatta bene, essendo egli stesso un perfetto pittore, vuole che tutti siano come lui. Se questo pittore invidiasse qualcuno che dipinge bene, non sarebbe più la pittura che ama, ma la lode o qualcosa d'altro che desidera ottenere dipingendo bene e che può perdere, in parte o interamente, in presenza di un altro che dipinge meglio. Dunque, chi invidia un buon pittore, non lo ama; e non ama neanche la pittura se per lui è più importante la fama di aver fatto un buon quadro che il quadro stesso. Qui termina l'esempio. I santi vivono nella comunione dei santi. Questo significa che essi amano Dio più delle lodi e degli onori che gli vengono dalla loro santità e per questo possiamo rivolgerci con fiducia a loro, chiedere la loro intercessione e imparare dalla loro bontà. |