Omelia (12-11-2006)
don Daniele Muraro


Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui.

Abbiamo visto domenica passata che l'amore del prossimo è strettamente collegato con l'amore di Dio e dipende da esso nelle sue motivazioni.
Una delle prove più grandi dell'amore del prossimo è quando ci si priva di qualche cosa di indispensabile per soccorrere le necessità degli altri. Abbiamo un esempio di questa generosità eroica nella prima lettura. La vedova di Zarepta di Sidone non rifiuta di preparare una focaccia per il profeta Elia, sebbene poco prima avesse confessato: "Non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po' di olio nell'orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a cuocerla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo."
Invece "la farina della giara non venne meno e l'orcio dell'olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunziata per mezzo di Elia" e quindi poterono sfamarsi tutti e tre per diversi giorni.
L'offerta della vedova del Vangelo è ancora più degna di ammirazione in quanto, pur essendo anche lei nella stretta necessità, è un'offerta spontanea e per di più nascosta.
Altrove Gesù parla dell'uso da parte dei ricchi di far suonare in piazza le trombe al momento di elargire l'elemosina: poteva servire da richiamo per i bisognosi circostanti, ma senz'altro era un'occasione di pubblicità; infatti secondo Gesù, questi tali benestanti così facendo, perdevano ogni merito di fronte a Dio.
Invece la vedova fa la sua offerta in maniera banale e facilmente trascurabile per un osservatore qualunque: infatti essa getta nel tesoro del tempio, due spiccioli, cioè un quattrino, qualche decina di centesimi di euro.
L'occhio esperto di Gesù invece riconosce in quel gesto una testimonianza di fede assoluta: infatti la donna insieme con quel poco che offre, mette nelle mani di Dio la sua stessa speranza di vita.
Da sempre la Chiesa ha raccomandato ai fedeli cristiani la povertà. Così facendo si mette sulla scia di Gesù, che nacque in una stalla, visse del lavoro delle sue mani e durante il suo ministero pubblico secondo le sue parole, non ebbe di suo "nemmeno una pietra dove posare il capo" per riposare.
Quello della povertà non è un obbligo che Gesù fa ai suoi discepoli, ma un consiglio: "Se vuoi essere perfetto, va' vendi tutto quello che possiedi e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi!". Evidentemente non tutti possono applicare alla lettera queste parole, tuttavia una certa forma di povertà volontaria per il Regno dei Cieli fa parte dell'impegno spirituale di ogni credente.
Infatti sempre Gesù dice: "Nessuno può servire a due padroni: o preferirà l'uno e disprezzerà l'altro: non potete servire a Dio e a mammona." Mammona sono qui le sostanze e c'è un gioco di parole perché mammona viene da Amen ed è come Gesù dicesse: non potete dire Amen, cioè credo in Te, sono sicuro, contemporaneamente a Dio e ai beni materiali, le sostanze appunto.
Anche noi di qualcuno particolarmente attaccato al denaro si dice, con minore eleganza, che quello invece di credere al Dio uno e Trino crede al Dio uno e quattrino.
Se Gesù loda tanto la vedova del Vangelo di oggi è perché ravvisa nel comportamento di quella donna forti somiglianze con il suo modo di fare. Infatti nessuno può negare la povertà di Gesù sulla terra, eppure questo non gli ha impedito di compiere la sua missione, anzi in qualche maniera ne ha favorito la buona riuscita.
Fu opportuno che Cristo sulla terra vivesse poveramente. Ciò era consono all'ufficio della predicazione itinerante, non distratta da sollecitudini materiali. In più, potremmo dire che la povertà materiale fu per Gesù la condizione per donare a noi le sue ricchezze spirituali. Ecco in proposito le parole di S. Paolo: "Voi conoscete bene la grazia del Signor nostro Gesù Cristo, il quale si fece povero per voi, pur essendo ricco, per arricchire voi con la sua povertà".
Gesù inoltre rimase povero perché l'accumulo di ricchezze da parte sua non facesse pensare che la sua predicazione fosse ispirata dalla cupidigia. Infine le sue qualità divine apparvero tanto più grandi, quanto più spregevole egli appariva per la sua povertà.
Se per Gesù la povertà fu importante, che dire del cristiano?
L'autore del libro dei Proverbi chiede a Dio la grazia di sapersi accontentare e questo sarebbe già un grande traguardo, infatti finché uno è affannato dalla ricerca delle cose della terra non si può dedicare completamente alla sua vita dello spirito. Gesù però va al di là della raccomandazione di non abusare dei beni del creato e di staccare ogni tanto dal lavoro: Egli ci dice che il nostro vero tesoro è nel cielo e di quello dobbiamo principalmente preoccuparci.
Solo i poveri riescono ad afferrare il senso della vita, i ricchi possono solo tirare a indovinare. Questo detto vale principalmente per la povertà volontaria che è una forma di umiltà, cioè esprime la volontà di non farsi valere per quello che si possiede, ma per quello che si è.
Si può essere vecchi e conservare giovane il cuore; si può essere poveri e mantenere un animo nobile. Gesù non esalta la miseria, ma la nobiltà d'animo che si manifesta nel non appoggiarsi eccessivamente sulle cose materiali, e nello stabilire dei rapporti umani autentici, basati sul rispetto e sulla promozione umana del prossimo.
Giuseppe Roncalli quando ormai era già papa con il nome di Giovanni XXIII confessò: "Fui educato a una povertà contenta e benedetta, che ha poche esigenze, che protegge il fiorire delle virtù più nobili e alte, e prepara alle elevate ascensioni della vita."
E Madeleine Delbrel, una donna cristiana che insieme ad altri si consacrò alla cura dei poveri nelle immense periferie francesi, spiegò così la sua scelta: "Essere povero non è interessante, tutti i poveri sono d'accordo. Ma ciò che è interessante è possedere il Regno dei cieli, che solo i poveri possiedono. Perciò non pensate che la nostra gioia consista nel passare le giornate a vuotarci le mani, la testa e il cuore. La nostra gioia sta nel passare i giorni a scavare il posto, nelle nostre mani, nella testa e nel cuore, per il Regno dei cieli che passa."
Pascal fu un grande cristiano, oltre che uno scienziato e un filosofo. Morì a trentanove anni, dopo un incidente di carrozza. All'incidente sopravvisse per qualche tempo e la sorella ci racconta le sue ultime volontà: "Desiderava ardentemente fare la comunione; ma i medici vi si opponevano sempre perché non lo credevano abbastanza malato da ricevere la comunione come viatico. Tuttavia, poiché la colica non cessava, gli ordinarono le acque, che gli diedero un po' di sollievo per qualche giorno, ma al sesto giorno di acque, provò un grande stordimento con un gran mal di testa. Benché i medici non si stupissero di questo fatto, e dicessero che si trattava del vapore delle acque, non smise di confessarsi, e chiese con insistenze incredibili di poter fare la comunione, e che in nome di Dio trovassero il modo di superare tutti gli ostacoli che gli avevano frapposto; e fu tanto insistente, che una persona presente gli disse che non era bene, che doveva rimettersi al giudizio degli amici, che non aveva quasi più febbre, e che lui stesso poteva giudicare se era giusto far venire il Santo Sacramento in casa dal momento che era migliorato; e se non era più appropriato fare la comunione in chiesa, dove c'era speranza che presto sarebbe stato in grado di recarsi. Egli rispose:
«Nessuno sente il mio dolore, vi sarete sbagliati; il mio mal di testa è qualcosa di straordinario». Tuttavia, vedendo un'opposizione così grande al suo desiderio, non osò più parlare; ma mi disse: «Dal momento che non mi si vuole concedere questa grazia, vorrei supplirvi con un'opera buona, e non potendo comunicarmi con il Capo, vorrei comunicarmi con le membra, e per questo ho pensato di avere qui un povero malato a cui vengano dedicate le stesse attenzioni che a me. Perché sono addolorato e confuso di essere così bene assistito, mentre un'infinità di poveri, che stanno peggio di me, mancano del necessario. Che si ponga una cura estrema, e che infine non vi sia alcuna differenza tra lui e me. Ciò diminuirà il dolore che provo per il fatto che non mi manca niente, e che non posso più sopportare, a meno che non mi si dia la consolazione di sapere che qui c'è un povero trattato bene come me; andate a cercarne uno dal curato, vi prego».
La richiesta fu esaudita e ciò dette consolazione al grande Pascal fino a che poté fare la comunione e morire poi in pace.
Sicuramente quando il Signore venne nell'Eucaristia trovò già l'anima di Pascal preparata dal suo gesto di carità nei confronti del povero e non ebbe difficoltà a riconoscere in lui i segni del vero credente così come un tempo aveva dimostrato di accettare l'offerta della vedova povera.