Omelia (19-11-2006) |
don Daniele Muraro |
Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui. Uno dei documenti più significativi del Concilio Vaticano Il inizia parlando delle "gioie e speranze, tristezze e angosce" degli uomini d'oggi, e più avanti descrive questi stessi uomini come "tormentati tra la speranza e l'angoscia". Più precisamente il Concilio dice: "Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore." Dunque tutti i Vescovi della terra riuniti insieme, ormai più di quarant'anni fa hanno descritto il nostro mondo come in bilico fra due sentimenti opposti, la speranza e l'angoscia. La loro analisi è stata anche più approfondita. Infatti proseguendo nella lettura del documento troviamo queste parole: "L'umanità vive oggi un periodo nuovo della sua storia, caratterizzato da profondi e rapidi mutamenti che progressivamente si estendono all'insieme del globo. Questi cambiamenti provocati dall'intelligenza e dall'attività creativa dell'uomo, si ripercuotono sull'uomo stesso, sui suoi giudizi e sui desideri individuali e collettivi, sul suo modo di pensare e d'agire, sia nei confronti delle cose che degli uomini. Possiamo così parlare di una vera trasformazione sociale e culturale. Così, mentre l'uomo tanto largamente estende la sua potenza, non sempre riesce però a porla a suo servizio. Aumenta lo scambio delle idee; ma le stesse parole con cui si esprimono i più importanti concetti, assumono nelle differenti ideologie significati assai diversi. Immersi in così contrastanti condizioni, moltissimi nostri contemporanei non sono in grado di identificare realmente i valori perenni e di armonizzarli dovutamente con le scoperte recenti. Per questo sentono il peso della inquietudine, tormentati tra la speranza e l'angoscia, mentre si interrogano sull'attuale andamento del mondo. Questo sfida l'uomo, anzi lo costringe a darsi una risposta." Ciò che piace del passato è il ricordo, del presente è l'attività e del futuro la speranza, ma ciò che piace di più e di più si ama, è l'attività. Infatti solo sul presente possiamo avere controllo. Il passato ormai ci è sfuggito di mano, il futuro è di là da venire. Eppure l'uomo saggio, come impara dal passato così vuole essere previdente nei confronti del futuro. Il futuro è per definizione ciò che non è, però è ciò che sarà, ossia di questo futuro si possono scorgere i germi già nel presente ed è proprio concentrandosi sul presente che tanti si applicano a fare previsioni sul futuro. Questo modo di fare viene confermato anche da Gesù: "Quando già il ramo del fico si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l'estate è vicina" e così accade. Gesù continua: l'epoca dei grandi cambiamenti non sarà la fine del messaggio del Vangelo, quanto invece il suo compimento: "Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno." Come fa Gesù ad essere così sicuro delle sue parole? Le previsioni degli uomini riguardo al futuro brancolano sempre nell'incertezza, quando proprio non ci indovinano affatto. Sant'Agostino ci racconta un episodio interessante nelle sue Confessioni. Nella sua giovinezza Agostino aveva preso a leggere i libri degli oroscopi. "C'era, a quei tempi, un uomo di spirito, bravissimo medico di gran fama. Avevo preso a frequentarlo assiduamente e quando parlando con me venne a sapere che mi appassionavo ai libri degli oroscopi mi consigliò, con paterna benevolenza, di buttarli via, e di non sprecare dietro a quelle cose vacue la fatica e il lavoro necessari per quelle utili. Diceva di avere egli stesso studiato quei libri, al punto che nei primi anni della sua vita aveva voluto farsene una professione di cui vivere: e se aveva capito la medicina, certo poteva capire anche quei testi. E invece poi li aveva lasciati perdere e si era messo di nuovo a studiare medicina, per il semplice motivo che, come aveva potuto constatare, erano falsissimi: e lui che era una persona seria non voleva guadagnarsi la vita imbrogliando la gente. "Ma tu," mi disse, "per farti un posto nel mondo possiedi la retorica: e questo imbroglio lo coltivi liberamente, per tuo interesse, non per bisogno di soldi. A maggior ragione in questa materia devi dar credito a me, che l'avevo studiata tanto a fondo da voler vivere solo di quella." E siccome io gli chiedevo perché allora molti responsi risultavano veri, rispose molto plausibilmente che era un effetto del caso, così diffuso ovunque, in natura." Agostino aveva un altro amico di nome Firmino. Qualche tempo dopo "quest'uomo, dunque, di nome Firmino, venne a chiedermi consiglio - come si fa con un amico carissimo - a proposito di certe questioni cui erano legate le sue speranze terrene: voleva sapere quale fosse il mio parere relativamente all'oroscopo basato sulle sue cosiddette costellazioni. Ma io, che avevo ormai una certa propensione verso il punto di vista del medico, gli feci capire che ormai ero quasi convinto fossero tutte sciocchezze e ridicolaggini. Allora mi raccontò che suo padre aveva una sfrenata curiosità per i libri di quel genere, e un amico altrettanto appassionato a quegli studi, che vi si dedicava insieme con lui. Con pari entusiasmo e interesse i due alimentavano l'intimo fuoco con quelle sciocchezze, al punto che osservavano perfino i parti delle bestie di casa, prendendo nota delle posizioni celesti, in modo da raccogliere dati per la loro arte - per così dire. E diceva di aver sentito raccontare dal padre che mentre sua madre era incinta di lui, Firmino, anche una donna dell'amico paterno, una della servitù, si gonfiava nell'attesa di un figlio. Il che non poteva sfuggire al padrone. E così avvenne che entrambi calcolarono con minuziosa precisione, l'uno per la moglie e l'altro per la serva, il giorno, l'ora e il minuto di sgravarsi. E partorirono entrambe nello stesso momento, così che furono costretti ad assegnare rispettivamente al figlio e al piccolo servo le stesse identiche costellazioni fino al più minuto dettaglio. Infatti quando tutt'e due le donne entrarono in travaglio, i due padroni di casa si fecero reciprocamente sapere a che punto stavano le cose in casa propria, e disposero di servi da mandarsi l'un l'altro, appena fosse stata loro annunciata la nascita dei piccoli. E così, diceva, i messaggeri delle due parti si erano incontrati tanto esattamente a metà strada che i due padroni di casa non avrebbero assolutamente potuto registrare la minima differenza nella posizione delle stelle e nel computo degli istanti. Eppure Firmino, nato signore, se ne andava spedito e brillante per le vie del mondo, vedeva accrescersi il patrimonio, saliva di successo in successo: e quel servo, che non si era per nulla scrollato di dosso il giogo della sua condizione, continuava a servire i suoi padroni: era Firmino stesso, che l'aveva conosciuto, a confermarlo. Dopo questo racconto - al quale non potevo che prestar fede, visto il narratore - ne dedussi senza più incertezza che i responsi veri ottenuti consultando gli oroscopi non sono opera d'arte ma di sorte, come quelli falsi non sono effetto dell'incompetenza ma dell'infido caso. Qui termina il racconto. La conclusione per Agostino è chiara: il destino è personale e ognuno è responsabile di se stesso. Anche l'umanità, come un grande unico essere vivente ha un destino: ce ne parla Gesù nel Vangelo e dichiara che Egli non intende chiamarsi fuori, anzi la salvezza o la rovina dell'umanità passeranno necessariamente attraverso di Lui. Che cosa dire allora della speranza per il futuro o della paura sempre per questo futuro da parte del cristiano? Pascal di cui ho parlato Domenica scorsa ha una frase illuminante: "La paura buona viene dalla fede, la falsa paura dal dubbio, la paura buona è unita alla speranza, perché nasce dalla fede e si spera nel Dio in cui si crede, la cattiva è unita alla disperazione, perché si teme quel Dio in cui non si crede. Gli uni temono di perderlo, gli altri temono di trovarlo." Arriviamo alla conclusione: dopo l'offertorio, prima del canto del Santo, quando ci si alza in piedi, risuona il grido: "In alto i nostri cuori!" a cui si risponde: "Sono rivolti al Signore!". E sempre sant'Agostino commenta: Cosa significa avere "in alto" il cuore? Significa avere in Dio la speranza. Quando ascoltate il sacerdote che dice: " In alto i nostri cuori!" voi rispondete: "Li teniamo rivolti al Signore! Fate in modo che sia vero ciò che rispondete!" e allora il timore sarà superato dalla vera speranza. |