Omelia (09-03-2003)
padre Gian Franco Scarpitta
Mi convinco e mi converto

E' risaputo che tutte le volte che un gruppo, o una società, o un qualsiasi sistema di vita associata lasci a desideare quanto alla sua efficienza e alla sua organizzazione, compito del leader è quello di intervenire con ogni mezzo per poter colmare in modo adeguato tutte le lacune, ricorrendo a tutti gli emendamenti risolutivi atti a recuperare l'equilibrio e il buon andamento del gruppo medesimo. La soluzione più ideale e conveniente è quella del dialogo, della correzione dei singoli e delle esortazioni di carattere generale; tuttavia vi sono anche dei casi in cui il leader, una volta esaurite tutte le altre possibilità per ripristinare l'ordine, debba necessariamente ricorrere alla coercizione e alle risoluzioni "distruttive" pur di perseguire il vero bene del gruppo o società.
Ci sono insomma delle circostanze in cui è necessario distruggere del tutto il sistema per poterlo riedificare interamente, affinché possa emergere una nuova vita associata fondata sul senso della responsabilità e sulla reale efficienza.
Questo è quanto Dio ha visto necessario per quello che riguarda la Sua umanità appena creata di cui al libro della Genesi: la società umana è corrotta e non si riesce più a distinguere sulla terra un solo giusto; ecco che allora Dio provvede ad annientare l'uomo attraverso le acque del diluvio, senza tuttavia dimenticare l'unico uomo meritevole di attenzione, Noè, che assieme alla sua famiglia e a quanto di più incontaminato e genuino possa ancora conservare il modo, viene salvato.
Una volta annientata l'umanità peccatrice precedente, ecco che tuttavia Dio ripristina con gli uomini un rinnovato patto di alleanza fondato sulla fiducia e sul rispetto reciproco piuttosto che sul timore servile e sulla costrizione, il cui simbolo è l'arcobaleno, espressivo nella sua forma e nei suoi colori di un mondo rinnovato e più accogliente. Dio allora distrugge per risanare e rimettere a nuovo.

Ma il vero rinnovamento apportato da Dio all'umanità è quello che lo stesso Signore ci ha indicato nel suo Figlio Gesù Cristo e nelle sue categoriche parole: "convertitevi e credete al vangelo". Per riflettere meglio su di esse occorre avere un po' di pazienza e andare alla loro origine greca: "credete" è la traduzione di "metanoiete", da cui metanoia, metamorfosi e attesta ad un cambiamento radicale, per il quale per es. le lucertole cambiano aspetto; ebbene, "conversione"= metanoia vuol dire cambiamento radicale della persona a partire dalla mentalità, dalla struttura personale e dalle convinzioni e predisposizioni interiori. Convertirsi non vuol dire passare repentinamente da uno stato di condotta ad un altro, per il quale "se prima si faceva il male adesso si deve fare il bene", ma innanzitutto "convincersi".
Di che cosa? Del fatto che la nostra vita precedente era troppo precaria perché troppo legata al consorzio mondano e che di conseguenza occorre guardare "in alto", a quel Dio che ci propone uno stile di vita forse più impgnativo ma certamente più conveniente e atto alla nostra realizzazione. Convincersi quindi di Dio. Di conseguenza sarà facile cambiare mentalità, modo di pensare, costumi e comportamenti e infine sarà facile fare "frutti degni di penitenza" cioè opere di carità che non siano puro esibizionismo o filantropia, ma appunto espressioni del nostro cambiamento radicale verso Dio". Come posso infatti mettermi alla sequela di Dio in Gesù Cristo, se prima non mi sono "convinto" di lui? Come potrò fare il bene nel suo nome se prima non ho sperimentato in prima persona che "Lui" è il vero bene? Come posso amare il prossimo se prima non mi sono lasciato amare io stesso da Dio, Amore infinito?

Finché la conversione non sarà radicale in me non potrò avere quella fede necessaria a farmi riconoscere Dio in tutte le circostanze della vita. Torniamo infatti al testo: "convertitevi" e poi... credete". Se mi sarò "convinto" di Dio e della Buona Novella certamente potrò credere. Credere però che cosa vuol dire? Non vuol dire credere che Dio esiste, ma credere... IN DIO, cioè saperlo riconoscere in tutte le situazioni, felici o avverse della vita per quanto paradossali possano essere, e perfino nelle tentazioni e nelle prove che sempre interessaranno il nostro cammino spirituale; specialmente nei momenti in cui questo attraversa delle crisi. Di fronte a siffatte circostanze riguardanti dificoltà, prove, tentazioni, scoraggiamenti... qual è l'ategiamento da assumersi nell'ottica di questo CREDERE? Ce lo insegna lo stesso Gesù: osserviamo infatti la scena della prima parte del brano odierno del Vangelo: non soltanto Gesù viene tentato dal diavolo, ma addirittura lo Spirito lo conduce nel deserto perché possa subire codesta prova! Non che Dio voglia le nostre pene e i nostri scoraggiamenti o tentazioni e prove, tuttavia quale occasione avremmo noi di esercitare la virtù e la fortezza se Dio non "permettesse" a Satana di provocarci? Tuttavia osserviao: Dio non permette prova o tentazione alcuna senza darci i mezzi e la capacità necessarie per poterla superare. E infatti, osserviamo ancora: Gesù viene tenatato dal diavolo, il quale cita addirittura la Scrittura per poterlo attirare in trappola! Talmente è astuto questo Maligno! E tanto grandi sono le possibilità per cui Gesù possa cadere nella tentazione: il caldo del deserto, la fame, la solitudine... Tuttavia non si scoraggia. E una volta superate le tentazioni viene riverito e servito dagli angeli. Un giorno resusciterà dalla morte, e noi con
lui.

Nel riflettere su questo argomento, non possiamo che considerare le angosce dellavita di tutti i giorni: sofferenze, malattie, momenti di panico, patemi d'animo... Tutto risiede in Gesù Cristo che (osserviamo ancora!) supera tutto questo prima ancora di dire: Convertitevi e credete al Vangelo perché nessuna possa dire che Lui, uomo e allo stesso tempo Dio, non abbia sperimentato quanto insegna!
Da tutto questo deduciamo che la Quaresima è per un percorso privilegiato, piuttosto che un giogo imponente relegato alle sole privazioni e mortificazioni corporali.