Omelia (05-12-2007) |
mons. Vincenzo Paglia |
Il brano evangelico di Matteo ci accompagna con Gesù che, tornato in Galilea, sale nuovamente sul monte. Nella tradizione biblica il monte rappresenta il luogo dell'incontro con Dio. Gesù, nota l'evangelista, "si fermò là", come a voler radicare se stesso e tutta la sua opera nella familiarità con il Padre. E' facile immaginare Gesù ancora una volta raccolto in preghiera. Del resto, è dall'incontro con il Padre che sgorga tutta la sua opera di amore, di compassione, di guarigione e di salvezza. Quel luogo di preghiera diviene come un santuario a cui i malati, i poveri, gli storpi accorrono per essere guariti. E l'evangelista nota che Gesù li guariva e rivolgeva a tutti la sua parola. Per tre giorni continuarono ad ascoltarlo. Quale differenza dalla nostra avarizia e dalla nostra distrazione davanti alla Parola di Dio! Al termine dei tre giorni, scrive Matteo, Gesù sentì compassione per quella folla. In effetti, dopo aver nutrito i loro cuori con il pane della Parola voleva ora nutrirli anche con il pane materiale. Gesù ha a cuore l'intera persona di ciascuno di noi, ha cura di tutta la nostra vita. Sono i discepoli ad essere insensibili di fronte alla situazione. E quando Gesù glielo fa notare e chiede un aiuto, essi non sanno fare altro che riproporre la solita rassegnazione. In effetti, anche noi avremmo risposto come loro. Gesù, che non si rassegna, si fa portare quei sette pani e quei pochi pesci e li moltiplica per tutti. È il miracolo che nasce da un amore appassionato. Se ci lasciamo coinvolgere da questo amore anche noi potremo partecipare al miracolo. |