Omelia (21-01-2007)
don Daniele Muraro


Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui.


Due settimana fa abbiamo parlato del sacramento del Battesimo e domenica passata del sacramento del Matrimonio, ossia in ordine del primo e dell'ultimo dei sette sacramenti della Chiesa cattolica. In effetti secondo il catechismo l'ultimo sacramento non è l'Estrema Unzione, ma il Matrimonio. Infatti i sacramenti, così come li conosciamo, si dividono in tre gruppi. Prima vengono i sacramenti dell'Iniziazione Cristiana, che formano il Cristiano maturo, ossia il Battesimo, la Cresima o Confermazione e l'Eucaristia, poi ci sono due sacramenti di guarigione, cioè la Confessione e l'Unzione dei malati e infine altri due sacramenti che costruiscono la comunità dei fedeli, che sono l'Ordine e appunto il Matrimonio.
Il Vangelo di oggi ci offre lo spunto per parlare di uno dei tre primi sacramenti, ossia di quelli che realizzano la maturità cristiana, e precisamente della Cresima o Confermazione. La Cresima o Confermazione si chiama così appunto perché nel cristiano non aggiunge nulla a quello che è già presente a motivo del battesimo, ma lo conferma, dando la convalida definitiva.
A Gesù che si alza a leggere nella sinagoga di Cafarnao viene dato il rotolo del profeta Isaia che riportava l'antica profezia del Servo del Signore e dichiarava: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione". La Cresima è precisamente una unzione, fatta con l'olio misto a profumo, che si chiama crisma, da cui appunto cresima.
Su Gesù lo Spirito santo era sceso il giorno del suo battesimo sul fiume Giordano ad opera di san Giovanni Battista e si era manifestato sotto forma di colomba. Già nell'Antico Testamento lo Spirito santo era conosciuto: esso investiva qualche persona in particolare, i giudici o i profeti e li rendeva capaci di portare a termine una missione, un compito particolare, poi si allontanava. Nel caso di Gesù invece lo Spirito santo si posa e rimane: non se ne va più fino al momento in cui egli sulla croce, consegna il suo spirito nelle mani del Padre. E' nello stesso Spirito poi che Gesù risorge e viene trasformato in una dimensione, appunto la dimensione spirituale, per cui Egli può essere presente contemporaneamente in più luoghi con tutto se stesso.
Nel giorno della Pentecoste lo Spirito santo non appare più come una colomba, simbolo della pace, del conforto, della quiete dopo la tempesta, ma si rivela attraverso due altri segni il vento e il fuoco. Del vento possiamo constatare l'azione, anche se non lo vediamo, così lo Spirito santo non riusciamo a definirlo bene, eppure ne possiamo fare esperienza. Il fuoco poi ci dice l'azione interiore dello Spirito santo. Se il vento riesce a spingere dall'esterno, il fuoco riscalda, brucia e libera dalle scorie.
Tutte queste qualità ha avuto prima di tutto l'azione di Gesù già a partire dalla sua prima predica pubblica nella sinagoga di Nazaret.
Gesù nei suoi ragionamenti è stato semplice come una colomba: nella sua proposta agli uomini non era mosso da secondi fini e quindi non aveva bisogno di confondere le idee agli ascoltatori, ma il suo discorso è sempre stato lineare e inteso a comunicare speranza, come la colomba mandata da Noè che annuncia la fine del diluvio universale e come abbiamo sentito anche nel Vangelo di oggi: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio..., e predicare un anno di grazia del Signore."
La parola di Gesù però è anche libera e gagliarda: come il vento che impedisce all'acqua di stagnare e imputridire o lo stesso vento che modella la montagna e le colline, Gesù non teme di sferzare i comportamenti umani e così facendo apre le nostre menti spesso chiuse, la spalanca come il vento fa spalancare una porta, e ci affaccia alla dimensione del mistero, di Dio presente nella storia degli uomini.
Infine Gesù stesso si presenta come uno che è venuto a portare un fuoco sulla terra e vorrebbe che presto fosse già tutto acceso. Che la sua parola non lasci indifferenti gli ascoltatori possiamo constatarlo già nella sua prima predica a Nazaret: "Gli occhi di tutti nell'assemblea stavano fissi su di Lui".
"Andate e incendiate il mondo" ha detto Giovanni Paolo II a Tor Vergata nel duemila alla fine della Giornata Mondiale della Gioventù durante l'anno santo. Questo invito non si potrà realizzare se non per l'impulso dello Spirito santo.
L'immagine del fuoco ci permette di introdurre due qualità dello Spirito santo: lo Spirito santo è Luce ed è Forza. Gesù promette ai ciechi la vista e la libertà ai prigionieri: Egli illumina chi va nella tenebre e ridona agli spossati la forza di riprendere in mano la propria vita e indirizzarla per il bene.
Entrambe queste possibilità però vengono dallo Spirito santo che rischiara la mente e rafforza la volontà.
Lo Spirito santo nella Chiesa è principio di unità nella diversità: come nel corpo ci sono tante parti, ma è l'anima che le tiene insieme, così nel Corpo di Cristo che è la Chiesa ci sono tanti compiti, ma è l'unico e il medesimo Spirito che li anima tutti e li fa collaborare.
Abbiamo detto al principio che la Cresima completa il Battesimo: si può aver ricevuto la Cresima distrattamente o senza avere la piena coscienza di ciò che si andava a fare, ma questo Spirito invocato nel sacramento non è mai sceso invano. Egli attende il momento opportuno per manifestarsi nella vita del credente.
"Vieni, o Spirito creatore/ visita le nostre menti/ riempi della tua grazia/ i cuori che hai creato." diciamo nella prima strofa dell'inno allo Spirito santo. Non è mai troppo tardi perché questa invocazione si realizzi. La cosa più importante a proposito dello Spirito santo, non è comprenderlo o spiegarlo, ma è farne l'esperienza. Su chi viene lo Spirito Santo?, si domandava san Bonaventura, e rispondeva con la sua solita brevità: "Viene dove è amato, dove è invitato, dove è atteso".
Ci sono regioni dove è costume invitare a entrare, e a condividere quello che uno sta mangiando, qualsiasi persona che capita in casa all'ora di pranzo. Ma si sa che la persona invitata, altrettanto educatamente, si scuserà e rifiuterà. Si rimarrebbe anzi stupiti e, anche segretamente contrariati se invece dovesse rispondere subito: "Sì, vengo con piacere!". I nostri inviti allo Spirito Santo non devono essere convenzionali, ma reali.
Non si può invitare lo Spirito Santo a venire, a riempirci, a patto però che lasci tutto come prima. "Ciò che lo Spirito tocca, lo Spirito cambia", dicevano i Padri. Chi grida: "Vieni, visita, riempi!", per ciò stesso, si consegna allo Spirito, gli dà le redini della propria vita, o le chiavi della propria casa. Dobbiamo invece ripetere questi tre inviti come chi è sicuro che saranno presi molto sul serio e accolti. È la condizione!
Chi non possiede lo Spirito santo non può capire le cose che riguardano lo Spirito, diceva san Paolo. Vi propongo allora per concludere, nella settimana per l'unità dei cristiani, questa preghiera di un patriarca ortodosso:
"Senza lo Spirito Santo: Dio è lontano,
il Cristo resta nel passato,
il Vangelo è lettera morta,
la Chiesa una semplice organizzazione,
l'autorità una dominazione,
la missione una propaganda,
il culto una rievocazione,
l'agire cristiano una morale da schiavi.
Ma, con lo Spirito Santo:
il cosmo è risollevato,
l'uomo lotta contro la carne,
Cristo è presente,
il Vangelo è potenza di vita,
la Chiesa è segno di comunione trinitaria,
l'autorità è servizio liberatore,
la missione è una Pentecoste,
la liturgia diventa memoriale e anticipazione,
l'agire umano è divinizzato."