Omelia (12-12-2007) |
mons. Vincenzo Paglia |
Gesù volge ancora lo sguardo alle folle che lo circondano. Sono quei poveri, quegli affamati, quei malati, quegli afflitti, quelle folle sulle quali si era commosso perché erano sbandati e dispersi come pecore senza pastore. Gli sono sempre attorno. E lui sta volentieri con loro. E, come travolto dalla compassione, li chiama tutti a sé: "Venite a me, voi tutti, che siete stanchi". E' il desiderio struggente di raccoglierli e di non perderne nessuno. Vede bene che sulle loro spalle pesa il giogo della solitudine, della sofferenza, della stanchezza, dell'abbandono. Per di più centinaia di minuziose prescrizioni li allontanano dalla religione che avrebbe dovuto essere per loro una speranza. Così diveniva una ulteriore oppressione. Gesù vuole liberarli da questi pesi e donare un futuro di speranza. La liberazione comporta accogliere il peso soave e leggero del Vangelo. E' il peso dolce dell'amore. E' un peso perché chiede a ciascuno, anche ai più poveri, di rinunciare all'amore per se stessi. Ma è soave, perché l'amore è liberante, libera da se stessi a allarga il cuore a Dio e agli altri. Si, il Vangelo ci liberi da tutte le schiavitù per essere schiavi solo all'amore. E Gesù ne è l'esempio. Per questo può dire a tutti: "imparate da me che sono mite ed umile di cuore". La mitezza è la qualità dell'amore di Gesù che contrasta con la durezza e l'arroganza dell'amore per noi stessi. Di questa mitezza abbiamo bisogno tutti. Andiamo incontro al Natale per accogliere il mite e l'umile nei nostri cuori. |