Omelia (22-04-2007)
don Daniele Muraro


Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui.

La scena del Vangelo di oggi è soffusa di un alone di soprannaturale. Nessuno dei discepoli ha il coraggio di interrogare a riguardo della sua identità il personaggio misteriosamente apparso sulla riva del mare di Tiberiade: sapevano bene che si trattava di Gesù, il Risorto.
Ci troviamo in Galilea, la patria della maggior parte degli apostoli: San Pietro, che è quello che prende l'iniziativa, gioca in casa e pescare è il suo lavoro. Eppure nella battuta di quella notte non prendono nulla.
I sette discepoli non erano usciti con le barche per divertimento: li spingeva la fame. Della loro necessità si informa il misterioso personaggio che li interroga premurosamente e li incoraggia a provare dalla parte destra. I discepoli si lasciano consigliare.
Ne avevano viste troppe in quei giorni per avanzare repliche e si stavano abituando all'idea che non erano più loro stessi a tenere il timone della propria esistenza. Negli ultimi tre anni Gesù li aveva staccati un po' alla volta dalle loro abitudini precedenti e li aveva coinvolti in vicende sempre più a largo raggio.
Prima avevano avuto a che fare con folle di gente che si accalcavano per ascoltare il Rabbi, ad esse si erano aggiunte poi schiere di malati che imploravano e tante volte ottenevano la guarigione dal Messia compassionevole. In seguito si erano interessate a questo predicatore e Figlio di Dio le autorità religiose di Gerusalemme, punte sul vivo da alcune sue affermazioni di rimprovero e alla fine il loro disegno di eliminare lo scomodo Maestro si era realizzato in forma tanto violenta quanto istantanea.
La cattura, il processo, la fuga, il raduno timoroso nella casa amica dove avevano consumato la Cena Pasquale e che dopo la morte di Gesù era diventato il loro unico rifugio e alla fine la decisione di tornare sui propri passi, alle proprie case. Da tutti questi avvenimenti non si poteva staccare il pensiero dei discepoli, ondeggiante fra il timore e la speranza, dopo che essi stessi avevano visto vivo e glorioso quel Gesù pietosamente deposto in un sepolcro preso a prestito da un amico devoto.
Ma la vita continuava e gli avvenimenti senza precedenti non avevano eliminato la concretezza dell'esistenza quotidiana. Occorreva avere un tetto sicuro sotto il quale ripararsi e qualcosa da mettere sotto i denti.
A questo punto interviene Gesù davanti al quale tutte le cose si sistemano per i discepoli. Trovano da mangiare, la rete non si spezza nonostante il grosso carico, si radunano insieme in armonia a consumare la colazione e poi Simone di Giovanni, detto Simon Pietro riceve una nuova solenne investitura a guidare la comunità uscita così cambiata da quella Pasqua senza precedenti.
Gesù parla e le cose si mettono a posto sotto molti aspetti. Gesù vede che vicino alla barca c'è la possibilità di togliere fame e stenti agli apostoli, parla e la barca si riempie di centocinquantatre grossi pesci. Gesù vede che in Simon Pietro c'è ancora l'animo generoso del pescatore che aveva lasciato tutto per seguirlo, un animo fatto più riflessivo dall'esperienza triste del rinnegamento e del successivo pentimento; Gesù perdona l'apostolo della prima ora e lo conferma a capo della sua Chiesa preannunciandogli la sua testimonianza finale con il martirio.
La capacità di vedere dentro alle cose si chiama intelligenza e lo strumento di cui si serve l'intelligenza per realizzare la sua opera è l'intelletto. Dopo la sapienza, l'intelletto è il secondo dei sette doni dello Spirito santo.
"Anche voi siete senza intelletto?" chiede ad un certo punto Gesù ai suoi apostoli a riguardo di certi problemi che si faceva sul puro e sull'impuro e poi dopo la paziente spiegazione che dà della questione, di fronte alla loro ottusità ripete: "Siete ancora senza intelletto?"
Che cosa è allora l'intelletto? Possiamo dire che è la capacità di vedere dentro, sotto l'involucro della materia lo spirito, oltre il limite dei sensi materiali trovando il significato trascendente degli avvenimenti. Se il dono della sapienza ci porta la luce di Dio, il dono dell'intelletto rende il nostro occhio penetrante, capace di vedere nel dettaglio e senza farsi abbagliare.
Al momento dell'apparizione sul mare, o lago salato di Tiberiade, gli apostoli già sapevano che Gesù era risorto dai morti: lo avevano già incontrato per due volte. A questo punto mancava loro ancora l'intelletto per poterlo riconoscere. San Pietro deve farsi dire da Giovanni, il più giovane di tutti: "Quello è il Signore!" e solo allora si lancia in acqua per fare più presto ad incontrare Gesù apparso sulla riva. Non per niente san Giovanni evangelista viene rappresentato sotto il simbolo dell'aquila il cui occhio riesce a scorgere una preda a terra da cinque chilometri di altezza.
Se la sapienza evita al cristiano credente i giudizi frettolosi, l'intelletto permette di arrivare prima alle conclusioni giuste, perché gli impedisce di lasciarsi distrarre dalle apparenze e gli insegna a rivolgersi subito all'essenziale.
Per un cristiano il centro di tutto è Gesù morto e risorto, crocifisso per i nostri peccati e tornato alla vita per la nostra giustificazione. In base a questo punto di riferimento, egli è capace di valutare tutti gli altri avvenimenti, quelli di cui viene a conoscenza e quelli che lo riguardano personalmente.
Non basta sapere che Dio è all'opera nella storia del mondo e che non lascia solo l'uomo sua creatura, e si prende cura di lui; il dono spirituale dell'intelletto riesce a mettere in evidenza dove Gesù è presente nella storia di ciascuno e a far risaltare il suo richiamo.
E' un grande dono l'intelletto, che ci impedisce di smarrirci nella nostra incredulità o solo nella superficialità del ritmo quotidiano e ci permette di entrare in comunicazione con quel Gesù che è stato sepolto ed è risorto per non lasciarci da soli, ma per guidarci sulla strada della salvezza.
Fu per questo dono dell'intelletto che gli apostoli non ebbero bisogno di domandare per trovare conferma della loro convinzione che davanti a loro ci fosse Gesù in persona e per questo dono dello Spirito santo anche noi, seppure così lontani nel tempo, possiamo essere sicuri che nella Messa incontriamo il Signore e che Egli si interessa a noi come un giorno si è interessato dei suoi apostoli bisognosi del suo aiuto.