Omelia (25-12-2007)
padre Raniero Cantalamessa
Natale, suprema epifania della filantropia di Dio

Un'antica consuetudine prevede per la festa di Natale tre Messe, dette rispettivamente "della notte", "dell'aurora" e "del giorno". In ognuna, attraverso le letture che variano, viene presentato un aspetto diverso del mistero, in modo da avere di esso una visione per così dire tridimensionale. Il vangelo della Messa della notte si concentra sull'evento, sul fatto storico. Questo è descritto con sconcertante semplicità, senza apparato alcuno. Tre o quattro righe fatte di parole umili e consuete, per descrivere l'avvenimento, in assoluto, più importante nella storia del mondo e cioè la venuta di Dio sulla terra.

Il compito di mettere in luce il significato e la portata di questo avvenimento è affidato, dall'evangelista, al canto che gli angeli intonano, dopo aver dato l'annuncio ai pastori: "Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama". In passato quest'ultima espressione veniva tradotta diversamente, e cioè "Pace in terra agli uomini di buona volontà". Con questo significato l'espressione è entrata nel canto del Gloria ed è diventata corrente nel linguaggio cristiano. Dopo il concilio Vaticano II si usa indicare con questa espressione tutti gli uomini onesti, che ricercano il vero e il bene comune, siano essi credenti o non credenti.

Ma è una interpretazione inesatta e perciò oggi abbandonata. Nel testo biblico originale si tratta degli uomini che sono benvoluti da Dio, che sono oggetto della buona volontà divina, non che sono essi stessi dotati di buona volontà. In questo modo l'annuncio risulta ancora più consolante. Se la pace fosse accordata agli uomini per la loro buona volontà, allora essa sarebbe limitata a pochi, a quelli che la meritano; ma sic­come è accordata per la buona volontà di Dio, per grazia, essa è offerta a tutti. Il Natale non è un appello alla buona volontà degli uomini, ma annuncio ra­dioso della buona volontà di Dio per gli uomini.

La parola chiave per capire il senso della proclamazione angelica è dunque l'ultima, quella che parla del "benvolere" di Dio verso gli uomini, come fonte e origine di tutto quello che Dio ha cominciato a realizzare a Natale. Ci ha predestinati a essere suoi figli adottivi "secondo il beneplacito della sua vo­lontà", scrive l'Apostolo; ci ha fatto conoscere il mistero del suo volere, secondo quanto aveva prestabilito "nella sua benevolenza" (Ef 1, 5.9). Natale è la suprema epifania di quella che la Scrittura chiama la filantropia di Dio, cioè il suo amore per gli uomini: "Si sono manifestati la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini" (Tito 3, 4).

Solo dopo aver contemplato la "buona volontà" di Dio verso di noi, possiamo occuparci anche della "buona volontà" degli uomi­ni, cioè della nostra risposta al mistero del Natale. Questa buona volontà si deve esprimere mediante l'imitazione dell'agire di Dio. Imitare il mistero che celebriamo significa abbandonare ogni pensiero di farci giustizia da soli, ogni ricordo di torto ricevuto, cancellare dal cuore ogni risentimento anche giusto, verso tutti. Non ammettere volontariamente nessun pensiero ostile, contro nessuno: né contro i vicini, né contro i lontani, né contro i deboli, né contro i forti, né contro i piccoli, né contro i grandi della terra, né contro alcuna creatura che esiste al mondo. E questo per onora­re il Natale del Signore, perché Dio non ha serbato rancore, non ha guardato il torto ricevuto, non ha aspettato che altri facesse il pri­mo passo verso di lui. Se questo non è possibile sempre, tutto l'an­no, facciamolo almeno nel tempo natalizio. Così il Natale sarà davvero la festa della bontà.