Omelia (01-01-2008) |
Il pane della domenica |
L'altro volto del Natale I pastori trovarono Maria e Giuseppe e il bambino Non tanto per sapere, quanto piuttosto per credere e contemplare: a questo ci serve il vangelo di oggi. Il brano dei pastori che si recano nella notte santa ad adorare il Bambino "avvolto in fasce, che giaceva nella mangiatoia", non ci dice niente di nuovo che già non sappiamo circa la nascita di Gesù. Del resto lo stesso brano è stato già proclamato il giorno di Natale nella messa dell'aurora. È vero che, nella sequenza di oggi, la pericope evangelica si allunga fino al versetto contenente quel rapidissimo cenno alla circoncisione del Bambino, avvenuta esattamente come oggi, a otto giorni dalla nascita. Ma è vero pure che quell'evento non assume un particolare rilievo nel racconto di Luca e neanche nella liturgia del Vaticano II, che non celebra più la festa della circoncisione di Gesù, ma la maternità divina di Maria. 1. Oggi dunque non ricordiamo un altro avvenimento che si aggiunga a quello del Natale; noi oggi contempliamo un altro svelamento dell'inesauribile mistero del Bambino, una ulteriore rivelazione di quel "misterioso scambio che ci ha redenti", secondo le parole rapite della liturgia. È lo scambio sorprendente e strabiliante - come lo declina Paolo con accenti singolarmente audaci - fra la ricchezza del Signore Gesù e la nostra povertà; tra la sua forza e la nostra debolezza; tra la sua pienezza e il nostro nulla. Spinto al limite, lo scambio transita tra i poli più distanti: tra il peccato degli uomini e la giustizia di Dio. La Lettera a Diogneto riprenderà fedelmente questi temi in uno scatto improvviso di ammirazione: "Dolce scambio! L'ingiustizia di molti viene riparata da un solo giusto e la giustizia di uno solo rende giusti molti criminali". Ed ecco come traduceva questa ardita teologia del misterioso e meraviglioso "scambio" natalizio, Gertrud von Le Fort (1876-1971), la scrittrice tedesca protestante convertitasi a Roma al cattolicesimo: "Colui che abbiamo sfuggito, ci ha seguito. Colui che avevamo perso, si è riunito a noi!/ Ci ha raggiunti nel grembo della nostra miseria e si è umiliato nelle nostre mani./ Abita nel vino dei calici e nel pane bianco degli altari./ Tu, o Chiesa, lo stendi sulle nostre labbra affamate. Tu lo sprofondi nel cuore della nostra solitudine, per dischiuderla come una porta disserrata". 2. In questo primo giorno dell'anno, festa di Maria Madre di Dio e Giornata Mondiale della pace, vogliamo tentare di cogliere l'altro verso del Natale, o - se si vuole - l'altro versante dello "scambio", quello che riguarda noi, così come lo esprime il canto della liturgia: "Oggi la nostra debolezza è assunta dal Verbo, l'uomo mortale è innalzato a dignità perenne e noi, uniti a lui in comunione mirabile, condividiamo la sua vita immortale". Quel Bambino, guardato con gli occhi stupiti di Maria - che osservava e "serbava tutte queste cose" - e adorato con l'ardore del suo cuore credente, non ci dice solo l'umanizzazione di Dio, ci dice anche la divinizzazione dell'uomo. "Chi è l'uomo perché te ne ricordi, e il figlio dell'uomo perché te ne curi?", si chiedeva, trasognato, l'anonimo salmista, e si dava una risposta che doveva sembrargli vertiginosa: "Eppure l'hai fatto poco meno di un Dio!" (Sal 8). Ma questa risposta non vale più, perché ormai è stata superata dagli eventi, dall'evento stupefacente e insuperabile del Natale: "Dio si è fatto uomo, perché l'uomo diventasse Dio", aveva scritto s. Agostino. E citando lo stesso salmo, s. Bernardo in un discorso natalizio, arrivava a dire: "Nulla mostra maggiormente la misericordia di Dio che l'aver egli assunto la nostra stessa miseria. Da questo sappia l'uomo quanto Dio si curi di lui. (...) Da quello a cui egli giunse per te, o uomo, riconosci quanto tu valga per lui". Questa è la verità dell'uomo, svelata a Natale: "In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo" (GS 22). Ed è nella verità - ha scritto Benedetto XVI nel suo primo Messaggio per questa Giornata - il fondamento della pace. Non è vero - soltanto - che la prima vittima della guerra sia la verità. Papa Benedetto va oltre e scorge nella menzogna non solo l'effetto, ma la causa della guerra: "Quando viene a mancare l'adesione all'ordine trascendente delle cose, quando viene ostacolato o impedito lo sviluppo integrale della persona e la tutela dei suoi diritti fondamentali, quando tutti i popoli sono costretti a subire ingiustizie e disuguaglianze intollerabili, come si può sperare nella realizzazione della pace?". Visto con gli occhi di Maria, quel Bambino - ogni bambino - non è affatto "l'ingegnoso montaggio di un impianto idraulico portatile", come voleva il meccanicismo positivista. Il corpo umano non può essere scambiato - come si pensava nella Germania pre-nazista - per il serbatoio di "una quantità di grasso sufficiente per produrre sette pezzi di sapone, abbastanza ferro per produrre un chiodo di media grandezza, una quantità di fosforo sufficiente per allestire duemila capocchie di fiammiferi, abbastanza zolfo per liberarsi dalle proprie pulci". L'uomo non è neanche quello immaginato dalla nostra era tecnologica: un animale un poco più evoluto di altri, prodotto dal gioco del caso: materia organica, destinata a stare sulla crosta della terra per una manciata di anni, e indirizzata all'annientamento. Così, dopo aver sofferto il delirio di onnipotenza per il miraggio dell'oltreuomo, la nostra società è costantemente a rischio di generare il sottouomo. Il materialismo è tuttora la grande e non superata tentazione di questo Occidente orgoglioso e disperato, che rischia di pensare l'uomo quasi come un "pollo in batteria", poco capace di sollevare il capo dal becchime. 3. Dobbiamo ritornare alla vera "scuola della pace", quella di Betlemme: "il Natale del Signore è il Natale della pace" (s. Leone Magno). Se non impariamo a ridiventare umani, se non superiamo il nostro analfabetismo di ritorno che ci ha fatto dimenticare la grammatica del dialogo, la terra potrà essere solo quella "aiuola che ci fa tanto feroci". Se non riascolteremo il messaggio angelico che coordina nell'unica sintassi corretta la consecutio temporum (l'articolazione logica dei tempi) della gloria a Dio e della pace in terra; se non ricominceremo a distinguere le armi della pace dalla pace delle armi; se non riprenderemo a usare bene il vocabolario umano e a leggere "embrione" come sinonimo di "bambino" e non di "cosa" o al di più di "esserino", e a non tradurre "musulmano" con "fondamentalista", ma con "uomo"; se non reimpareremo ogni giorno di questo nuovo anno a muovere i nostri passi sulla via della pace, le nostre vite saranno dimenticate dalla speranza e non potremo superare la paura del gran botto finale. Ogni uomo è figlio di Dio, ci ripete oggi la Madre di Gesù. Ogni uomo è mio fratello, diceva lo slogan pensato da Paolo VI per la prima Giornata Mondiale della pace. "Perdono chi mi ha ucciso il figlio", ha dichiarato Giancarlo Malfer, l'anziano padre di Stefano, assassinato da un marocchino, per aver dato lavoro a un'immigrata, ex convivente dell'omicida, qualche settimana prima dell'ultimo Natale. E si aggrappava a un foglietto con su trascritte le parole di Giovanni Paolo II per la Giornata della pace del 2002: "Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono". E questo, con fare discreto: "Non ingigantiamo le cose: ce ne sono centinaia di persone che fanno come me, migliaia". Ci auguriamo - e per questo preghiamo Maria, madre e regina della pace - di cominciare o ricominciare ad essere anche noi tra queste migliaia di persone. Buon Anno, per ogni giorno del nuovo anno! Commento di Mons. Francesco Lambiasi tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Ave, Roma 2007 |