Omelia (01-01-2008)
Omelie.org - autori vari


1. Quello che più colpisce di Maria è il suo silenzio. Lei, Mater Sapientiae che avrebbe sempre potuto dire la parola giusta e più opportuna, preferisce un pudico silenzio per istruirsi interiormente. È così lontano dal nostro modo di intendere la vita il suo comportamento. Tace per essere ammaestrata da Dio, mentre noi più che apprendere pretendiamo in ogni occasione, nella nostra pochezza, di insegnare, soprattutto quando abbiamo attorno a noi persone che riteniamo più rozze e più semplici. A costoro, nel nostro superficiale modo di considerare il prossimo, ci sembra di essere superiori, per esperienza e per scienza.

2. Eppure, questo brano evangelico, dovrebbe smontare tutte le nostre assurde presunzioni. È detto che tutti "si meravigliavano delle cose che erano dette dai pastori". Gente illetterata, rozza, spesso poco raccomandabile, ma è proprio il parlare di costoro che consola Maria. La Madre di Dio sa imparare anche dai pastori e custodisce nel silenzio le loro parole. Che miseria la nostra che non sa neppure considerare i consigli di chi è più avanti di noi nelle vie dello spirito e che anzi, sovente, nella nostra presunzione ci sentiamo in dovere di criticare se non addirittura di denigrare! Che mancanza di spirito di preghiera anima la nostra vita quotidiana!

3. Siamo così insensibili perché da Maria non abbiamo appreso, neppure lontanamente, la sua capacità di meditare. Il nostro, quando c'è, è un silenzio sempre distratto che non sa far durare in noi le sensazioni e gli insegnamenti che lo Spirito Santo ci elargisce. Il Signore parla, è il vivente per eccellenza, ma noi non sappiamo ascoltarlo. Maria è in questo la nostra unica maestra. Ognuno di noi dovrebbe apprendere da Lei la capacità di farsi istruire da Dio. È questa è la prima grazia che dovremmo chiedere. In questo dovremmo essere solleciti, proprio come i pastori che vennero in fretta, convinti che, in quel momento, niente altro fosse più importante.

4. Questa sollecitudine ci rende figli di Dio. Lo dice chiaramente San Paolo nell'odierna lettura. Il Signore nacque da donna per riscattarci, "affinché ricevessimo la dignità di figli adottivi". È per questo che possiamo dire "Abbà, Padre!" e non solo siamo figli, ma grazie a Dio anche eredi. Per darci questo dono, Cristo nacque da donna, una Madre della quale, in qualche modo, siamo figli. Questa misteriosa maternità le fa assumere la preoccupazione per il nostro destino: se la ascoltiamo, cammineremo nella via della salvezza.

5. La nascita da donna riveste il Cristo della nostra umanità, ci assimila a Lui e, se lo vogliamo, ci rende partecipi del suo destino. Ci adotta senza alcun merito da parte nostra. Ci dona quella vita che nessun altro è in grado di darci. Non solo arriva a dirci, per bocca dell'Apostolo, "di conseguenza, tu non sei più schiavo ma figlio". Un'affermazione che ci sorprende per la sua grandezza e che richiede silenzio per assimilarne la spiegazione.

Commento a cura del prof. Rocco Pezzimenti




Ogni volta che ci incontriamo con Dio, con la sua parola, ci accorgiamo che è necessario abbandonare i nostri schemi mentali. Allontanarci dai nostri piccoli orizzonti, e salire sulle Sue "ali di aquila" per librarci in alto e guardare la novità ricca di meraviglia che ogni volta ci offre.

Il natale è l'annuncio di una promessa realizzata che possiamo chiamare "la passione di JHWH per l'uomo". L'Emmanuele, il Dio con noi, si incarna dentro la storia per offrirci - missionario di speranza, di gioia, di luce, di amore - la Vita. Si fa uomo con noi per essere il Dio per noi.

Per dire questo annuncio esplosivo come un big bang primordiale, il Dio strano, perché straordinario, non si serve di classici angeli dalle ali variopinte e dai vestiti svolazzanti, che vediamo raffigurati in tante chiese, ma di poveri e di quelli più esclusi dalla società, cioè dei pastori, che in quel tempo erano considerati personaggi da evitare, proprio come si evitano i ladri, i disonesti, coloro che fanno il male. E Dio sceglie proprio questa categoria di persone per farsi annunciare, per farsi raccontare al mondo.
Straordinario!

D'altra parte Gesù, il salvatore del mondo, il figlio dell'Altissimo non va a nascere in un tempio, luogo che la logica di alcuni si addice di più a un Dio, ma in una stalla.
Non nasce nella città santa Gerusalemme, ma in una piccola città: Betlemme.
Se l'angelo di Dio fosse andato ad annunciare la nascita del Messia ai sacerdoti del tempio e avesse detto loro di andare a cercare il Salvatore in una stalla, forse gli avrebbero riso in faccia...
Avrebbero certamente pensato: "è un annuncio sballato!"... gli angeli sono andati in tilt!

Tutto questo invece è realtà, perché è "giunta la pienezza dei tempi", dice Paolo nella seconda lettura.
Ecco allora la nuova creazione, l'era Messianica che porta a compimento il sogno di Isaia di un Dio che non alzerà la voce, che ridarà la vista ai ciechi e la forza di camminare agli zoppi, che libererà ogni uomo dal male e da ogni tipo di emarginazione, di dolore.

Solo gente "povera" che sa poco di religione e molto di necessità, accoglie la speranza di questo "nuovo giorno" che viene loro offerta. Il viaggio verso e da quella grotta, esprime la loro accoglienza al dono offerto da questi tempi nuovi.
In quella grotta trovano un padre: Giuseppe, una giovane madre Maria e suo figlio che giace in una mangiatoia: ascoltano e vedono il segno "bambino" che mostra loro l'evento compiuto.
I Pastori, Angeli dalle vesti e dalle ali sporche, con il loro annuncio sono il segno di questa trasformazione in atto, ricolmi di gioia perché il "Dio con noi" bandisce ogni povertà ed emarginazione, lo glorificano e lo lodano per ciò che vedono e ascoltano".
Ecco i tempi nuovi, i tempi messianici che offrono dignità ad ogni uomo che eliminano ogni barriera e ogni divisione sociale, politica, economica, religiosa, perché c'è Gesù, il Dio che salva.

Sono i tempi nuovi che si avverano, nel nuovo anno sociale che si apre sotto il segno della benedizione divina affidata da Mosè ad Aronne. In questa brevissima lettura tratta dal libro dei Numeri, Dio – JHWH viene nominato tre volte. È il nome che attraverso questa antica formula di benedizione viene imposto sui figli di Israele. Bene-dire è una parola che esprime ogni fecondità, ogni energia vitale, tutto il benessere sognato, e l'ideale atteso.

Questa benedizione di fecondità si realizza su ogni uomo perché Dio, proprio lui, è il custode, è la sentinella vigile e garante del bene offerto.
Il dono di benedizione ogni volta che viene pronunciato eleva il nostro sguardo verso l'alto fino ad incontrare il volto di Dio. Il suo volto luminoso su noi che cerchiamo luce. Così il suo splendore illumina e rischiara le nostre tenebre offrendoci la possibilità di essere anche noi luce in questa storia.
Luce che risplende attraverso le opere buone. Opere di giustizia, di verità, di pace.
Opere dettate da una fraternità voluta, cercata, scelta non solo oggi primo giorno dell'anno e giornata speciale dedicata alla pace, ma portata avanti per gli altri 365 giorni.
Solo così saremo davvero uomini di pace.
Buon anno.
Che sia davvero buono, non perché la fortuna ci sorride, ma perché ciascuno di noi segnato con il nome di JHWH diventi "la fortuna" o meglio la benedizione per ogni uomo.

Commento a cura di suor Piera Cori